Tutti quelli morti, secondo il selecercatista, in maniera inutile, se la sono cercata perché hanno vissuto provocatoriamente, hanno varcato il confine dell’ovile, e non hanno seguito la strada tracciata dai “saggi vigliacchi” vissuti prima di loro. E sì perché il selecercatista si considera saggio, umile come piace a dio, furbo perché protetto da una sapienza da borgo medievale, intelligente ma con sobrietà per non offendere i sacri Lari, previdente come un buono fruttifero postale, originale nel suo essere attento in un mondo di pazzi, mai scontato, pavido o chiuso di mente, e soprattutto pensa di possedere le chiavi per la vita eterna: noiosa, bidimensionale, grigiastra, ripetitiva ma eterna, perché chi invecchia e muore a casa propria, diciamocelo, è un po’ come se vivesse per sempre senza aver mai vissuto.
Che cos’è il “selecercatismo”? Trattasi di una “corrente filosofica” (continua e mai alternata perché l’ignoranza esige una certa coerenza) di recente definizione ma che affonda le proprie radici in epoche antiche, quando la struttura delle città-stato fortificate e autosufficienti è diventata schema di pensiero geneticamente trasmissibile, prima dell’avvento del viaggio per conoscenza e non per necessità; gli aderenti a tale corrente hanno una visione egocentrica del sistema conoscitivo: sono le esperienze che girano intorno a noi, a distanza di sicurezza e separate da un profondo fossato popolato da coccodrilli che difendono il senso d’appartenenza dalle incursioni della curiosità; non siamo noi che dobbiamo girare nell’universo in cerca di esperienze su cui schiantarci. I selecercatisti, in particolar modo quelli italici, tra i più rappresentativi per ottusità, anche se non mancano filoni con caratteristiche specifiche in altri paesi, chiosano quasi tutte le morti di connazionali avvenute non sul patrio suolo ma…
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