Ma che cosa significa vivere in una Città Lineare? La ciclicità permette ad ognuno di noi di ritornare al punto di partenza: in una città lineare ciò non è possibile perché il “punto di partenza” è ignoto. Vivere in un luogo simile esige una certa dose di fede: non si può conoscere tutto, ma si può accettare tutto. Una sana ignoranza viene sorprendentemente contrapposta alla sicurezza positivista di quella rigida fantascienza tecnologica dove tutto doveva essere coerente e dimostrabile – seppur in un contesto di doverosa sospensione dell’incredulità! E gli abitanti sembrano rassegnati a questa linearità imperante, anche se ogni tanto uno di loro tenta qualche romantico esperimento: “No, quella carrozza viaggiava ancora verso Ponente attraverso la nostra imperscrutabile Città dopo due settimane. Ne sono convinto. E’ stato allora che mi sono veramente impaurito. L’enormità della nostra terribile esistenza mi sopraffece. Da allora non sono più quello di prima.”
Dopo aver letto il racconto lungo “Un anno nella città lineare” (A year in the linear city – 2002) dello statunitense Paul Di Filippo, si ha come la sensazione di trovarsi nel bel mezzo di un “cambio d’aria”: vi ricordate quando a scuola (quando le classi erano numerose e l’anidride carbonica prodotta dai giovani cervelli in attività aumentava in maniera esponenziale durante le ore di lezione) ad un certo punto della mattinata il maestro ordinava all’alunno che sedeva sotto la finestra di aprire le ante per far entrare l’aria nuova? Leggere lo scrittore postmoderno Di Filippo dà la sensazione del nuovo che avanza: un nuovo che nasce dal felice incontro tra postmodernismo letterario e fantascienza.
Mi potrei soffermare sull’ambientazione fantastica e surreale creata dalla sua penna d’artigiano; potrei offrirvi delle pennellate recensorie sulla improbabile città descritta in questo racconto lungo o sulle verità escatologiche possedute da una strana popolazione…
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