Vite parallele

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Vite parallele

“Credo nella reincarnazione
in quel lungo percorso
che fa vivere vite in quantità
ma temo sempre l’oblio
la dimenticanza…
E già qui vivo vite parallele.”
da “Vite parallele” – Sgalambro/Battiato

 

Gli anni che precedettero il viaggio a Vienna furono duri.

Certe velleità artistiche possono spingere l’essere umano lontano, molto lontano. E la capitale austriaca rappresentava, agli occhi del giovane disegnatore, la “terra promessa” in cui poter realizzare il sogno da sempre coltivato: diventare un artista di successo.

Oltre alla cartellina contenente i disegni e l’astuccio con i lapis già consumati, il bagaglio del giovane consisteva in una semplice valigia ricolma di rabbia, frustrazione, intolleranza e tanta voglia di cambiare le cose. La miseria e la promiscuità del quartiere che l’ospitava non avrebbero certo migliorato il suo stato d’animo tetro e diffidente. 

Ma i sogni richiedono sacrificio e, tutto sommato, era finalmente giunto a Vienna dove, non importava se tra settimane o mesi, avrebbe avuto i primi contatti con il vero obiettivo del suo viaggio: l’Accademia di Belle Arti.

L’adolescenza costellata di insuccessi e il superbo isolamento in cui si adagiò, avevano sviluppato in lui la solipsistica certezza che il gusto per il bello non poteva e non doveva appartenere a tutti gli esseri umani: solo alcuni sparuti eletti, forgiati nel dolore e nella consapevolezza di dover ricercare una presunta purezza smarrita, potevano avvicinarsi alla comprensione di certe forme anatomiche ideali e all’apprezzamento di quei paesaggi naturali che richiamavano alla memoria la responsabilità e l’onore nell’essere teutonici.

I primi dischi di Wagner sul grammofono di casa e la commozione dinanzi all’impenetrabile barriera verde scuro della Foresta Nera; la dolce armonia delle vette innevate e la calma sorprendente dei laghi di montagna; la gelida agitazione del Mare del Nord e i ricordi infantili nella Selva bavarese; la bellezza della sua gente e l’orgoglio per la storia di un paese che nascondeva le sue nobili origini sotto una coltre di vergogna storica. 

Tutti questi aspetti trasparivano dai tratti nostalgici dei suoi disegni e le scene rappresentate in essi non testimoniavano la Germania del presente, ma sembravano piuttosto i promemoria di chi attende il ritorno di un’epoca arcaica mai vissuta e soltanto letta o sognata.

La bolgia umana che ritrovò a Vienna, rinforzava ancora di più le sue paure nei confronti di una minaccia che presto avrebbe assunto i connotati di un gruppo di responsabili da combattere con veemenza e ossessionante paranoia. E la ricerca di una “fonte pura” da cui attingere l’acqua sacra di un nuovo ordine divenne il subdolo imperativo del giovane artista.

Sicuramente l’arte e la ricerca insita nel processo artistico lo avrebbero aiutato in questa sua missione, ed era per questo che doveva assolutamente essere ammesso all’Accademia. Si trattava di un passaggio fondamentale che avrebbe dato un senso a quella sua vita precaria e raminga, trascorsa nei vicoli notturni del quartiere ebraico, tra birre solitarie e osservazioni sociologiche arrotate su una pietra scintillante d’odio.

O almeno l’ammissione avrebbe, in un certo qual modo, compensato le ingiustizie finora subite.

L’esistenza non è una strada rinchiusa tra due invalicabili muri di pietra: spesso il cammino dell’uomo è interrotto da sottopassaggi, sopraelevate, incroci custoditi, piccole stradine a fondo cieco e bivi. Non ne comprendiamo la funzione, non sappiamo come adoperare queste varianti, fino a quando non ci viene presentata la necessità di cambiare direzione, e quando ciò accade pensiamo ancora di percorrere il tragitto iniziale che noi crediamo di aver deciso di percorrere. Ma non è così.

La presunzione umana si sviluppa contemporaneamente all’inconsapevolezza che ne caratterizza le gesta. Anche l’uomo più determinato nella sua follia, e ideologicamente appassionato, è sottoposto a tale regola; anzi, la pressione evolutiva che accompagna le decisioni di tali uomini è maggiore che in altri, e ha un effetto coadiuvante su quegli storici cambiamenti di rotta che non conosceremo mai nel loro aspetto più intimo.

Perché tali personaggi pensano di essere loro stessi i demiurghi delle variazioni di percorso e non il caso o chissà che. Poveri illusi: vittime della stessa vana gloria di un granello di sabbia che vaga sospinto tra le onde dell’oceano, illudendosi di nuotare.

La mattina del primo colloquio con i docenti dell’Accademia possedeva tutte le caratteristiche dell’animo oscuro e minaccioso del disegnatore: dapprima un cielo plumbeo e in seguito una pioggia incessante, preannunciavano una serata fredda fatta apposta per rintanarsi in una fumosa birreria del centro.

Salendo lungo le scalinate dell’Accademia il pensiero dell’artista andava incessantemente a rivalutare le opere che avrebbe di lì a poco presentato alla commissione: “… andranno bene? … piaceranno?” – chiedeva in modo ossessivo una voce interiore che lo tormentava da anni, costringendolo a oscillare rovinosamente tra le onde vorticose della disistima di sé, sempre in agguato, e i porti sicuri dell’autoerotismo artistico. 

Aveva atteso quel momento per molti mesi e aveva sopportato in silenzio la vicinanza di tanti esseri inutili e abietti nella squallida pensione in cui alloggiava: non poteva tirarsi indietro proprio ora che era a due passi dalla verità. 

Una verità che avrebbe aperto le porte del suo futuro in quella città e non solo.

Era attratto dalle adunanze, dalle accese discussioni ideologiche e dalla vita politica, anche se disprezzava i politici e non poteva certo affermare di possedere degli “amici” in ambito sociale; con l’eccezione di qualche raro estimatore dei suoi disegni e delle sue idee in alcune famiglie abbienti dell’alta borghesia austriaca. Una sorta di condizione schizofrenica lo induceva a un’eterna transumanza tra l’amore viscerale per la propria terra e il rifiuto di ogni coinvolgimento sentimentale nei confronti della gente comune che incontrava tutti i giorni. Allo stesso modo, proprio in virtù di questa contraddizione interiore, sentiva crescere dentro di sé la necessità di dedicare la propria esistenza totalmente all’arte e in modo particolare al disegno, alla pittura.

Sapeva di sicuro che la vita politica appena in parte avrebbe potuto colmare i laceranti vuoti creati dai rancori e dalle sconfitte della sua esistenza, e che solo la rappresentazione artistica sarebbe stata in grado di ricreare nel suo cuore e nella sua mente gli scenari idealistici di un mondo ormai scomparso. La bruttezza, il disordine sociale e l’ingiustizia che incontrava per le strade di Vienna sarebbero state sostituite dal suo personale ideale di bellezza. Ideale a cui – così sperava – si sarebbero ispirate le generazioni successive a quella presente, sempre più stanca, disincantata e avvilita, ma bisognosa di ritrovare volontà, forza e orgoglio per combattere le nuove minacce e quelle antiche, radicate da secoli nel cuore dell’Europa.

“Venga più avanti giovanotto…! Ci faccia dare un’occhiata!” – disse il docente più anziano con tono autoritario mentre, da sopra gli occhialini in bilico sulla punta del naso e circondato dai colleghi attenti e silenziosi, osservava l’indigenza portata con dignità dal giovane artista.

“Vediamo, vediamo…!”

“Questi sono tra i miei disegni preferiti: alcuni rappresentano i paesaggi naturali della regione da cui provengo; questi altri, invece, sono nudi ritratti a Linz la scorsa estate…” – illustrava alla commissione i suoi disegni con fierezza e passione.

“Bene, bravo…! Devo dire che c’è del talento in lei, mio giovane artista. Certo, un talento che va smussato, indirizzato ed educato… Ma credo che si possano gettare le basi per una discreta carriera artistica. Tutto, naturalmente, dipenderà dal suo impegno e dalla sua tenacia: questa Accademia è conosciuta per il suo rigore e non sono ammesse licenze artistiche o di altra natura che abbiano la pretesa di minare il metodo d’insegnamento da noi perseguito.”

“Sono d’accordo!” – rispose convinto e felice di aver trovato nella disciplina dell’Accademia quella dimensione esistenziale che tanto aveva cercato invano tra le masse cittadine. E aggiunse speranzoso: “… quindi, accettate la mia richiesta di iscrizione all’Accademia?”

“Certamente! Ma dovrà votarsi completamente all’arte, senza alcuna condizione o cedimento a distrazioni. Niente più birrerie, cortei, adunanze, riunioni politiche – lo sappiamo, cosa crede?, in che modo perdete il tempo voi giovani! Siete tutti uguali! – o quant’altro che possa deviarla dal suo obiettivo primario ovvero diventare un artista degno di questa Accademia.” – sentenziò il vegliardo. E aggiunse: “Non mi fraintenda: questa non è una prigione. Potrà e dovrà sicuramente girare per la città alla ricerca di soggetti umani e scorci cittadini da ritrarre, di perfezioni anatomiche e di imperfezioni esistenziali da trasformare in arte. Ma le sue energie, d’ora in poi, appartengono all’Accademia e se uno dei nostri studenti viene sorpreso in attività del tutto superflue e finalizzate alla dispersione degli obiettivi artistici prefissati, quello stesso studente può ritenersi fuori dall’Accademia. Mi sono spiegato?” E continuando con un tono più rilassato: “… forse poco le importerà sapere, mio giovane artista, che io sono ebreo e noi ebrei siamo noti, oltre che per le nostre attitudini commerciali, anche per il parlare chiaro!”

“È stato chiaro e, ripeto, sono d’accordo con lei, Signor Professore!”

“Bene, sono contento che lei condivida gli scopi di questa scuola e sono sicuro che riuscirà a integrarsi perfettamente. Buona fortuna!”

“Grazie, Signor Professore: ne sono sicuro anch’ io!”

“Tuttavia, mi scusi se la trattengo ancora, ci sono alcuni aspetti della sua matita che mi lasciano alquanto perplesso…” – riprese all’improvviso il canuto docente. “Nei suoi disegni ho scorto una certa nostalgia e al tempo stesso una rabbia repressa, come se fosse causata da una perfezione arcaica desiderata ma non ancora raggiunta nella sua quotidianità.” E aggiunse: “Vede, ad esempio, il paesaggio ritratto in questo suo disegno? Non è un paesaggio reale, ma rappresenta piuttosto l’idealizzazione di un mondo scomparso, estinto o mai esistito, e che lei vorrebbe ricreare, riportare in vita nella sua arte, tramite la sua arte… L’introduzione di elementi che si riferiscono alla morte contrasta con la bellezza del paesaggio da lei scelto come se ci fossero degli eventi nella sua esistenza in grado di interrompere una piena e totale accettazione della semplice gioia umana dinanzi alla natura. Forse mi sbaglio?”

E insistendo nell’analisi: “E questi nudi: non esistono esseri così perfetti! E le posso assicurare che qui all’Accademia di nudi ne vediamo tantissimi durante le lezioni di disegno; ma tutti i nostri modelli e le nostre modelle posseggono, come tutti noi d’altronde, quei piccoli difetti anatomici e di postura che rendono intrigante il soggetto da ritrarre. Lei, invece, sembra che voglia escludere la presenza di difetti e idealizza un corpo quasi sovrumano, divino, ultraterreno, arcaico…”

“Ha ragione, Signor Professore: ma se all’arte venisse tolta la prerogativa di poter creare un mondo alternativo perfetto, mi scusi, non sarebbe più arte. È vero, la rappresentazione artistica puramente concepita dovrebbe riprodurre fedelmente la realtà utilizzando gli strumenti che ha a disposizione, ma cosa diventerebbe l’essere umano se non avesse più la possibilità di pensare e sognare un mondo differente riproducendolo nelle sue poesie, nei suoi romanzi, nei suoi quadri…?”

“Io non contesto la sua personale ricerca artistica o i singoli elementi da cui sono costituiti i suoi disegni. Mi preoccupa, o meglio, m’incuriosisce soprattutto la spinta emotiva e ideologica che si nasconde dietro i soggetti e gli oggetti che rappresenta. Comunque avremo modo di affrontare questi argomenti filosofici durante le future lezioni a cui parteciperà!”

“La mia infanzia non è stata facile, Signore, e non le nascondo che sono stato sempre circondato da individui incapaci di sviluppare un discorso costruttivo riguardante le mie doti artistiche. Sono stato sempre sbeffeggiato e umiliato, deriso e sottovalutato, isolato e castigato. Con lei, forse, è la prima volta che parlo di tali cose. Lei capirà che non potevo non creare un mondo alternativo a misura delle mie esigenze, oserei dire, spirituali! Per salvarmi da una realtà opprimente e denigrante. Io dovevo disegnare in questo modo: per sopravvivere, per fuggire via e volare verso un mondo che tutti continuavano a negarmi senza speranza. Ecco perché sono qui, Signor Professore! Ecco perché sono venuto a Vienna.”

“Capisco, mio giovane artista… Vada pure in segreteria a perfezionare la sua iscrizione e, di nuovo, le auguro buona fortuna!”

“Grazie!”

Uscendo dalla sala colloqui, il disegnatore di Linz sentì all’improvviso che la vita non sembrava tanto spinosa come le era sempre apparsa fino ad allora, ma realizzò che a tratti avrebbe potuto persino stupirlo, manifestando timide sorgenti di balsamico ottimismo da cui prelevare boccate di vigore e speranza.

Avvertì la mobilitazione di un’incontenibile riserva di felicità mai utilizzata e di immense possibilità liberate grazie al risultato positivo di quell’incontro, per troppi giorni immaginato e temuto.

Era stato accettato alla rinomata Accademia di Vienna e la sua gioia, improvvisamente, si ritrovò a competere con la rabbia coltivata negli anni precedenti, e a riprendersi gli spazi vitali a questa concessi con troppa facilità in passato.

Non era abituato a tali soddisfazioni personali e per un attimo aveva creduto di non poter gestire una situazione così ambigua ma al tempo stesso piacevole e sconosciuta. La cultura del sospetto cominciava inesorabilmente a perdere colpi dinanzi ai nuovi orizzonti artistici che finalmente si dispiegavano davanti ai suoi occhi interiori dopo anni d’attesa. 

“Il suo nome, prego…” – il segretario interruppe la pensierosa distrazione del giovane mentre attendeva la risposta con la penna già intinta nell’inchiostro e pronta a entrare in azione su di un enorme registro aperto.

“Adolf… Adolf Hitler.”

“Nato a …?”

“Braunau am Inn”

“Il…?”

“Il 20 Aprile 1889”.

Il lato oscuro della volontà di potenza aveva ceduto il passo alla speranza.

Uscendo sulle gradinate dell’Accademia per dirigersi verso la pensione, il giovane artista si accorse che aveva appena smesso di piovere e un timido raggio di sole tentava a spintoni, tra le nuvole grigie, di guadagnarsi un dignitoso posto sulla terra. Forse ci sarebbe riuscito o forse avrebbe ripreso a piovere più violentemente di prima.

Ma ciò non interessava al disegnatore perché nella sua mente una sola piacevole ossessione stava prendendo il sopravvento: disegnare, dipingere e ancora disegnare… Fino alla fine dei suoi giorni.

Era l’unica cosa che veramente gli importava e non riusciva a immaginare un altro modo per donare gloria e splendore alla nazione che tanto amava nonostante tutto.

I rancori e gli anni bui si sarebbero dileguati sulla tavolozza dei colori.

La sua vita sarebbe stata perfetta così.  

(immagine: foto di Adolf Hitler nel 1889 a pochi mesi di vita)

versione pdf: Vite parallele

racconto rivisto e corretto: 1 aprile 2020

inizialmente pubblicato sulla rivista “Nugae” (2006)

e nella raccolta “Esperimenti” (2009)

– video correlato –

“Vite parallele”, Franco Battiato

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