Quarantena e poesia: 3 domande a Franco Arminio

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Franco Arminio è un autore che – come si usa dire in questi casi – non ha bisogno di presentazioni. Poeta, documentarista e paesologo (nel 2015 dà vita alla “Casa della paesologia” a Trevico), direttore artistico del Festival della paesologia “La Luna e i Calanchi” di Aliano, ha pubblicato romanzi e numerose raccolte di prosa breve e di poesie, registrando un successo che, nell’ambito di un genere letterario di nicchia come quello poetico, potremmo considerare raro: “Cartoline dai morti”, Cedi la strada agli alberiPoesie d’amore e di terra”, “Resteranno i canti” e il più recente L’infinito senza farci caso”, solo per citarne alcune. Apprezzato su tutto il territorio nazionale per i suoi reading in cui il pubblico non ha mai un ruolo marginale ma è co-protagonista attivo, è un intellettuale ad ampio spettro che mi piace definire – rubando un termine al lessico medico – “internista”, per il suo impegno letterario e civile nel cantare, valorizzare e difendere la cosiddetta Italia interna, fatta di borghi appenninici, paesi fantasma, terre desolate ma sacre per chi il sacro sa come cercarlo.

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In questo periodo difficile per l’Italia e il mondo, ho voluto rivolgere a Franco Arminio tre domande che, pur orbitando intorno ai temi madre della sua poetica, non potevano non subire l’influenza degli eventi attuali. 

  • Questo periodo di quarantena per molti è un tempo di sacrificio, di asfissia psicologica, di nevrosi solitaria o familiare; il ritrovarsi isolati costringe “a darsi retta”, a frequentare se stessi e a concentrarsi sulle piccole cose ignorate. Per altri, invece, più “predisposti” dei primi, al netto della tragedia in atto, è un piacevole tempo di conferme nel silenzio, di armonia interiore coltivata in tempi non sospetti e che torna utile nel disorientamento generale. La Sua poetica incita a una ricerca dell’essenziale, del bello nascosto, di una semplicità lontana dalle luci della città, della libertà autentica. Crede che questa forzata esperienza collettiva orienterà, a emergenza conclusa, i più “distratti” verso una rivalutazione di questa ricerca?

Non lo so, ovviamente, ma temo che non lo sappia nessuno. Credo che una parte di persone comunque si orienterà nella ricerca di una forma di attenzione. Diciamo che “saranno un po’ meno distratti”, ma si tratterà purtroppo di una piccola parte.

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  • Nel libro “L’Italia profonda” (2019), scritto con Giovanni Lindo Ferretti, si descrive un’Italia assopita, nascosta, disabitata e dimenticata. Due riflessioni differenti ma complementari: ognuna scaturita da una diversa esperienza di vita “appenninica”. Che sviluppi avrà, secondo Lei, la diatriba non nuova (accentuata dai “fatti pandemici” di questi giorni) tra globalizzazione e una sempre più crescente rivalutazione paesologica delle piccole realtà?

Nell’immediato ci sarà una crisi di tutto ciò che è legato alla globalizzazione, al dominio del modello produzione-consumo e del modello economico in generale. Ma ciò accadrà solo nella prima fase di questa storia nuova che stiamo vivendo; poi piano piano è probabile che tutto si assesterà e ritornerà a come era prima della pandemia. Quindi sarà importante in un primo momento, che andrà da maggio alla primavera successiva – in un arco di tempo che coprirà circa un anno! -, realizzare una grande battaglia culturale per dare più spazio alle posizioni che nella tua domanda definisci paesologiche o comunque no-global.

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