Femminismo e linguistica

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Non sempre femminismo e linguistica si sposano in maniera ottimale; il recente “caso sanremese” di Beatrice Venezi (nella foto) – la cosa curiosa e “magica” del festival di Sanremo è che ti raggiunge con i “casi suoi” anche se non lo segui e ti fai i casi tuoi – ha evidenziato ancora una volta la profonda divisione esistente in seno al movimento femminista (per fortuna non basta essere donne per farne parte d’ufficio, ma c’è chi continua a ragionare col proprio cervello!) su questioni di natura boldriniana e quindi inutili, che al confronto le spaccature della sinistra politica sono microlesioni impercettibili. Questioni su cui si fiondano, come mosche sugli escrementi, personaggi del calibro della Meloni che, al pari della Boldrini ma sul versante opposto, è capace di ideologizzare e trasformare in caciara politica persino una diatriba linguistica televisiva.
La bella “addetta alla direzione orchestrale” (con questo stratagemma acrobatico cercherò per ora di salvarmi dagli anatemi di chi vorrebbe uno schierarsi immediato a favore del termine “direttore” o “direttrice”) ha osato ribadire la sua preferenza per il termine “direttore” applicato a un corpo e a una personalità che di maschile, per la gioia della nostra vista, ha ben poco. Anzi la Venezi – che vorrei proprio vedere (Bioscalin a parte!) se non fosse consapevole di essere bella! – in più di un’occasione ha “usato” il proprio aspetto in maniera complementare a una professionalità che non ha avuto certo bisogno di aiutini estetici per affermarsi.


Apriti cielo! Subito le femministe e, cosa ancor più scandalosa, le sue stesse colleghe “convintamente direttrici” hanno urlato alla retrocessione di conquiste ottenute nel corso di decenni, alla vanificazione degli sforzi emancipatori, alla sottomissione al “potere maschile” che in quasi tutti gli ambienti lavorativi fa ancora sentire la propria pressione (il che è vero), e bla bla bla!
Invece, secondo il mio umile parere, la Venezi, così ribadendo, ha “deghettizzato” la battaglia femminista, l’ha fatta uscire dal “circolo antimaschilista delle femmine in carriera”, l’ha sottratta a un’anacronistica contrapposizione lessicale tra uomo e donna, ha espugnato la roccaforte del significato della parola “direttore” a un uso prettamente maschile senza rinunciare alla propria femminilità. E soprattutto senza delegittimare le conquiste fatte, anzi, paradossalmente rinforzandole confrontandosi su un terreno semantico tradizionalmente maschile. Sfidando il maschio sul campo del significante. Della serie: “sono direttore ma sono una bella donna e dirigo con la gonna!”.
Ma è mai possibile che, dimostrando anche una certa ingenuità, le femministe non abbiano colto questo passaggio strategico della Venezi così palese persino per un maschio limitato come me?

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