Fa bene Vitaldo Conte a parlare di “tabù” nel suo “opuscolo-ebook” dedicato a Julius Evola (Tiemme Edizioni Digitali, 2021): tenuto in disparte durante periodi storici nevralgici del nostro paese, per poi essere ampiamente “riutilizzato” in qualità di punto di riferimento filosofico da una certa parte politica per fini ideologici, riscopriamo attraverso questa piccola ma intensa raccolta di saggi e interventi di Conte, un Evola pittore e poeta pressoché sconosciuto, un Evola prodromico al ben più noto filosofo, da scoprire o riscoprire. Oserei dire un Evola finalmente deideologizzato.
Evola era ed è un artista e filosofo scomodo, “pericoloso” e “maledetto”, controcorrente – occupandosi di alchimia, di trascendenza e di Metafisica del sesso -, persino antipatico e quindi ostracizzato; criticò il Fascismo e da questo fu sistematicamente distanziato, per poi essere riletto dalla “… gioventù alternativa dell’area di destra, negli anni ’50 e ’60, dopo decenni d’assenza di pensiero…”. Un po’ come è accaduto allo scrittore inglese Tolkien, al quale ancora oggi tirano la giacchetta da destra e da sinistra, ognuno in base alle proprie esigenze ideologiche. Il Tolkien delle “… radici profonde che non gelano…”, per intenderci, riciclate per accompagnare dal punto di vista letterario certi rigurgiti neofascisti della contemporaneità.
Scrive Vitaldo Conte: “… I movimenti studenteschi di contestazione europea – del maggio ’68 e ’69 e delle successive opposizioni – trovarono in Evola un referente e imprevedibile anticipatore di antagonismi “a tutto campo” (un esempio noto: brani dei suoi libri furono letti nella Facoltà di Lettere di Roma, occupata dai contestatori del ’68). La sua influenza sotterranea fu più vasta delle apparenze. Il suo Cavalcare la tigre (1961), che ebbe varie edizioni, «fu una specie di “libretto rosso” tra gli studenti di sinistra e di destra dopo il ’68 francese» (V. Scheiwiller). Viva Evola comparve sui muri di diverse università italiane. Cavalcare la tigre si rivolge a una specie di uomo che non sente appartenenza, né vincoli spirituali, col mondo moderno, vivendo in un contesto in cui l’esterno è considerato come immodificabile: può divenire «un manuale di autodifesa personale». Il detto orientale di “cavalcare la tigre” significa, appunto, non farsi travolgere da ciò che non si può controllare direttamente, mentre è possibile evitarne così gli aspetti negativi e ipotizzarne un cambio di direzione. Evola – da maestro pericoloso – continua a parlare a generazioni che rifiutano suggestioni esteriori, anche attraverso i fascinosi richiami e le simbologie più radicali della Tradizione. Le sue idee “rincuorano” i malesseri (soprattutto giovanili) di chi è “contro” la perdita di valori antichi e interiori, di chi si oppone ai sistemi dominanti: come potrebbe essere l’odierna globalizzazione, che tende a ridurre l’intero mondo a un gigantesco mercato, dissolvente frontiere ma, anche, diversità culturali sempre meno tutelabili. La stessa dicotomia di destra e sinistra, così ben definibile agli inizi della modernità, diviene meno evidente con la sua fine. Il pensiero di Evola, definito negli anni ’60 il “Marcuse della destra”, potrebbe presentare oggi, nei suoi aristocratici aspetti ribellistici, qualche affinità con l’antagonismo no-global, anche se nel suo caso si potrebbe parlare di esistenziale alternativa contro-global…”.
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