
Dicono che sia stata tradotta malamente l’intervista a Bono Vox degli U2, che abbiamo frainteso tutta la faccenda e che come al solito noi provinciali anglofobi non si è capita una mazza del significato delle sue parole, del Bono-pensiero ambiguo per questioni di marketing, sembra che in realtà non abbia detto ciò che abbiamo voluto capire… Fatto sta che il “casus” mi fornisce l’occasione per (riba)dire quanto sia bello e salutare rinnegare e rinnegarsi, guardarsi con occhi nuovi, trovarsi ridicoli, prendere le distanze da se stessi e dalle proprie cose (anche quelle che in un altro momento ci sono sembrate, e sono sembrate agli altri, care, ben fatte e importanti), addirittura farsi schifo, non riconoscersi in una forma ormai passata del proprio sé… Che meraviglia! Odiare il proprio nome, la propria voce, quella Vox che era diventata cognome d’arte, le canzoni che ci hanno portato al successo. “Allora ridateci i soldi che abbiamo speso per acquistare i vostri album e ascoltarvi!”, staranno gridando forse i fan più intransigenti e puristi. Macché, state buoni! Non lo sapete che le opere (capita con le canzoni ma anche con le poesie e i romanzi) una volta usciti dal “grembo materno” di un cantautore o di una band non appartengono più agli autori ma a chi ascolta (o legge) anche se i “genitori” continueranno a portarle in giro per decenni, campandoci e costruendo su di esse altre opere o alla fine rinnegandole? Non chiedete i soldi indietro, scalmanati che non siete altro! Il brano che a voi continua a piacere, nonostante il dietro-front del cantautore, è già vostro da anni, da quando vi ha detto qualcosa anche se al suo autore oggi non dice più niente. Se avete una personalità vi dovrebbe continuare a piacere con o senza il consenso dell’autore; with or without you…
“La poesia non è di chi la scrive: è di chi gli serve” così veniva bacchettato per finta il poeta cileno Pablo Neruda dal postino innamorato Massimo Troisi.
Non si tratta di essere inutilmente severi con se stessi come quando si è inesperti e acerbi; è la serenità della vecchiaia che giudica “gli altri io” lasciati indietro. Non tutti possono.
“Cosa diresti a te stesso se potessi incontrarti all’età di vent’anni?” leggiamo spesso questi quesiti demenziali sui social. E per fortuna che non possiamo incontrarci perché quel che siamo stati appartiene alla ferrea giustizia dell’attimo irreversibile e non alla sua stupida rivisitazione grazie a una “time machine”. Rivisitare no, ma rinnegarsi sì, è bello: come un’evasione da se stessi, una fuga dall’Alcatraz dell’immagine storica che ci siamo costruiti o che gli altri ci hanno aiutati a costruire. Il rivisitare implica un improbabile poter tornare indietro per rifare e farlo meglio, diversamente (ma sarebbe giusto?); il rinnegare, invece, dinanzi alla dittatura del tempo che non si riavvolge, prevede solo “veli pietosi” per coprire parti di sé; ma quel che è fatto, è fatto.
È segno di evoluzione il rinnegarsi, il non riconoscersi più in una forma, in uno stile che ad altri continua a piacere. Il cantautore ha il dovere di seguire i nuovi richiami; il suo estimatore ha il diritto di continuare a trovarci qualcosa nel brano rinnegato (Battiato, ad esempio, è stato un maestro della strafottenza nei confronti delle “richieste” dei suoi estimatori; ma Battiato – per sua e nostra fortuna – non era sottoposto alle stesse pressioni commerciali a cui è sottoposta una band “interplanetaria” come quella degli U2). Dissociarsi dal proprio operato per ricominciare o anche no; osservarsi da un altro punto di vista: le cellule del cantautore in tutti questi anni sono state quasi totalmente rinnovate. L’autore che abbiamo acclamato non c’è più, al suo posto c’è un essere materialmente nuovo, totalmente diverso anche se equivalente all’originario, che tuttavia ha memoria dell’altro sé. La chiamano “esperienza”: te la porti dietro anche se invecchi e non sei più tu; a volte rimuoviamo, cancelliamo capitoli scomodi della nostra esistenza, ma quando sei uno famoso possiedi un bagaglio artistico di cui non puoi disfarti e che ti viene costantemente ricordato dagli altri, dagli impresari, dal marketing, dai tuoi fan che te lo cantano sotto la finestra della tua abitazione, da quelli che ti seguono e ti adorano da anni. L’oblio dell’operato diventa arduo.
Rinnegarsi è libertà: dall’ego, dal giudizio degli altri quando ci asserragliamo in difesa di una posizione, dai vincoli del destino e della Storia… Dissociarsi da un io passato a cui sono rimasti affezionati (per comodità) solo gli altri: etichettare è così liberatorio! Vivere il “drop out”, ritirarsi dalle proprie intenzioni programmatiche, da ciò che ci ha resi orgogliosi di noi stessi in un periodo storico. Ritirare dal commercio l’immagine di sé venduta in saldo. Ribaltare il tavolo alla Martha Medeiros tra lo stupore di chi aveva già stabilito che fine avremmo fatto e in quale veste.
Si diventa “reperti” in vita, archeologi di se stessi.
Lo scavo lo affidiamo a chi ne ha voglia, il futuro attende.
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Pubblicato da michelenigro2
Michele Nigro, nato nel 1971 in provincia di Napoli, vive a Battipaglia (Sa) dal 1978. Si diletta nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi, articoli per giornali e riviste. Ha diretto la rivista letteraria “Nugae – scritti autografi” fino al 2009. Ha partecipato in passato a numerosi concorsi letterari ed è presente con suoi scritti in antologie e periodici. Nel 2016 è uscita la sua prima raccolta poetica – che ama definire “raccolta di formazione” – intitolata “Nessuno nasce pulito” (edizioni nugae 2.0). Ha pubblicato “Esperimenti”, raccolta di racconti; il mini-saggio “La bistecca di Matrix”; nel 2013 la prima edizione del racconto lungo “Call Center”, nel 2018 la seconda edizione “Call Center – reloaded” e la raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”. Nel 2019, per i tipi delle Edizioni Kolibris, viene pubblicata la raccolta di poesie intitolata “Pomeriggi perduti” (collana di poesia italiana contemporanea “Chiara”), che è anche il nome del suo blog. È del 2020 il volume 2 della raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”; nel 2021 la terza e ultima silloge dei materiali di risulta. Alcune sue poesie sono state tradotte in portoghese, inglese e spagnolo.
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