La scrittura è vendetta
Consigliava Flaubert a un giovane scrittore: “Siate ordinato e normale come un borghese nella vita, per poter essere originale e violento nella vostra opera…”. Può un racconto di narrativa diventare l’occasione per una raffinata vendetta da servire fredda su carta? La scrittura, prima ancora di diventare letteratura, crea vite parallele, mondi alternativi a servizio dello scrivente, personaggi con la funzione di alter ego che riscattano l’autore anche dopo anni di paziente attesa. In questa “esistenza riciclata” creata dalla penna, lo scrittore diventa ciò che gli altri avrebbero voluto che egli fosse; le capacità inespresse vengono consegnate ai personaggi e portate a un grado di potenziamento impensabile per l’autore che continua a condurre una vita basilare, semplice, eccessivamente romantica e poetica, non ambiziosa, per alcuni “debole”. Anche nella storia raccontata, contenuta nel canovaccio di quello che forse diventerà un nuovo romanzo, c’è un personaggio simile all’autore, pacifico, tendenzialmente pavido, incapace di difendere la propria famiglia dalla violenza mortale di un gruppo di balordi incontrati per strada, di notte. Si è soli dinanzi a un dolore immenso che tuttavia non impedisce al sopravvissuto di credere nella giustizia, fino in fondo, seguendo tutti i passaggi ordinari, sperando di giungere a una verità guardando in faccia chi ha distrutto la propria vita. Ma l’occasione trasforma il personaggio del racconto, incapace di compiere il male verso un proprio simile, in vendicatore assassino: in questa trasformazione si riconosce anche l’autore che grazie alla scrittura può diventare tutto ciò che vuole.
La moglie e la figlia stuprate e uccise nella finzione narrativa, rappresentano un possibile futuro parallelo della vita dell’autore oppure sono l’allegoria della fine del suo matrimonio e dell’aborto scelto a sua insaputa dalla moglie nella vita reale? La scrittura, con le sue invenzioni, apre a una catarsi che purifica, mette in pari, ristabilisce equilibri impensabili nel quotidiano. Nell’ammazzare uno dei violentatori del racconto, l’autore uccide anche un po’ se stesso, la porzione di vita non riuscita, il suo lato inadeguato, le sue presunte debolezze divenute dogmi; ricostruisce una risolutezza che mai avrà l’opportunità di vivere; fa pace con la parte di esistenza andata male. Dall’altra parte, il lettore, resta sveglio, non trova pace, è turbato; durante la lettura esce lentamente dal proprio castello di ambiziosa e finta perfezione. Le certezze crollano, nuove paure sul benessere dei propri cari sorgono inattese dal nulla, e quella “debolezza” inizialmente biasimata diventa fonte di verità esistenziale e di rivalutazione dei propri errori. Il racconto porta il lettore in un’altra dimensione in cui dimentica quel che è, gli effimeri successi raggiunti, e si riscopre indifeso, al punto zero, senza trucco in viso e orpelli identificativi; il rimosso, seppellito sotto tonnellate di carrierismo, torna a chiedere il conto. Il difetto riscontrato nell’autore, nei propri scritti troppo ripiegato su se stesso e poco originale, viene ribaltato: ora è il lettore a essere al centro del racconto; il suo personaggio, con cui non può non identificarsi, lo mantiene sospeso sul filo della lama.
La lettura può essere motivo di rivisitazione del proprio vissuto, di riesumazione di intenzioni originarie in seguito ridimensionate dalla propria natura che sempre finisce per prevalere: attraverso i personaggi il lettore ripercorre se stesso, la propria storia che all’improvviso non appare più così lineare e sensata. La scrittura, dall’altro lato, riscatta chi non è capace di dare risposte immediate alla vita, chi è travolto da una realtà non cercata ma inesorabile. Alla fine autore e personaggio si fonderanno in un’unica persona: la vendetta, a differenza del racconto, non sarà cruenta ma sottile, silenziosa e tagliente. L’obiettivo è stato raggiunto: disarmare la controparte, ripulirla, spogliarla, riportarla al grado zero del rapporto, non per recuperare una passione o un amore, ma solo per condividere la stessa solitudine vissuta durante la stesura del romanzo. Si resta soli quando si scrive sotto dettatura del dolore; il successo, certe cose, non è in grado di insegnarle. Forse la solitudine è il solo, autentico regalo che si può fare a chi vuole scrivere scavando dentro se stesso: un regalo che non si può, prima o poi, non condividere con chi si è amato.
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versione pdf: “Animali notturni”: la scrittura è vendetta
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