Nota a “Extrema ratio” di Maria Teresa Infante

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saremo versi sciolti fino a morte”  (pag. 79)

Straordinaria è la ricchezza di immagini che la poesia di Maria Teresa Infante offre al lettore. Si avverte la sensazione costante di stare in bilico tra il quotidiano e l’infinito; i versi, congegni meccanici le cui componenti piacevolmente stridono a causa di accostamenti catartici e quindi liberatori: bisogna attendere la fine della lirica per sapere a quale insegnamento condurranno. Nulla è spiegato perché “dico di cose / che plasmo a mente / a mente vorrei tenerle / dico cose che non comprendo / mentre vorrei saperle”, ma la poesia non sa, ‘semplicemente’ capta e tenta archiviazioni: in questi versi s’intravede una dichiarazione di poetica. Fare poesia, pur essendo una funzione vitale (“si dà di matto / se rimani a terra”), non sempre è sufficiente: “un po’ d’inchiostro non è mai abbastanza”. La poesia, in questo caso altamente simbolica, è anche invocazione a chiedere presenze, ritorni e risposte, che quasi mai arrivano a completare il sapere ma allargano ulteriormente l’area della ricerca oltre le possibilità della ragione. Nonostante i dolori della vita e il tempo trascorso in maniera inesorabile, si resta fermi al proprio posto, per passione o caparbietà, in attesa che il peggio passi. Ci si consola osservando la foglia accartocciata di montaliana memoria e cogliendo il suo muto messaggio, perché “Anche le foglie hanno le ossa rotte”.

Immagini da un processo di evoluzione interiore non facile o scontato, e da un “elogio della fuga”: solo al ritorno si riconoscono le funzioni dei luoghi, il valore delle persone e dei personaggi, la necessità di una poetica dell’abbandono. Condizioni personali che hanno radici maledettamente salde nel passato: “i piani di fuga fanno cerchio / imprigionano cose vecchie”. Si diceva all’inizio, si passa dal quotidiano all’infinito in un attimo che stupisce e lascia senza fiato, soprattutto grazie a un’inventiva linguistica che in molti punti positivamente spiazza per le acrobazie mentali proposte e le immagini surreali prodotte: mentre crediamo di seguire un fatto minimo, casalingo, che riguarda il corpo finito, ecco aprirsi sotto i piedi del lettore un varco sull’abisso, una botola su un maelstrom psicologico e mnemonico, drastico e fantastico al contempo. E tutto diventa instabile, insicuro, da rivalutare…

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Nota a “Poesie scritte sul retro di scontrini” di Alessandro Salvi

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In quest’epoca di poesie minori, pensieri minimi, di poeti “spacciatori di farmaci” sotto forma di versi, vendutissimi e richiestissimi sul territorio nazionale a suon di reading perché (dicono i maliziosi) facilmente assimilabili da un pubblico poco esigente e (dicono sempre i maliziosi) poco preparato in ambito poetico, uscirsene con una raccolta di “Poesie scritte sul retro di scontrini” potrebbe sembrare l’ennesima operazione ruffianesca per strizzare l’occhio ai lettori sempliciotti di cui sopra. Alessandro Salvi sa benissimo (infatti già a pag.3 decreta: “La differenza tra prosa e poesia? / La prosa dice, la poesia seduce.”) che la brevità in poesia può scadere facilmente in aforisma inutilmente lapidario o addirittura in prosa banale che nulla insegna; ma avvertiva – rivolgendosi a un suo studente furbetto – il buon Prof. Keating del film L’attimo fuggente: “Non importa la semplicità della poesia […] La poesia nasce da tutto ciò che ha una scintilla di rivelazione. Cerchi solo che la sua poesia non sia banale…”. E di rivelazioni, nella silloge di Salvi, nonostante il tempo di lettura da eiaculazione precoce, ve ne sono disseminate in gran quantità tra le pieghe di tematiche quotidiane e non sempre profondissime. E poi – vuoi mettere? – l’opportunità di imparare un termine come “miosotide”! La silloge inizia e termina in maniera leggera, con al centro un corpus di poesie “più articolate” e metricamente impegnate (accompagnate, a volte, da suoni intriganti come: “L’alterna assurda arsura alla mia gola”, pag.9). Ci piace pensare che siano state scritte non solo simbolicamente ma anche ideologicamente sul retro di scontrini come a voler dichiarare l’antagonismo dell’Autore alla messa in vendita di ciò che – ovvero la libertà del pensiero poetico – non può essere svenduto o ridimensionato a seconda dell’andamento dei mercati editoriali o del “likesimo feisbucchiano”. Stare sul lato opposto del commercio, quello “in bianco” del retro, sul lato non “scontrinabile” dell’anima: dove altro volete che dimori un poeta?

XII *

È una farfalla?
Dal bancone svolazza
uno scontrino.

* (da “Poesie scritte sul retro di scontrini”, silloge di Alessandro Salvi; Fallone Editore – 2018. Collana “Il leone alato”, diretta da Andrea Leone)

Leggi qui: Recensisco

“Pomeriggi…” su Margutte

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Su Margutte, Non-rivista online di letteratura e altro, curata da Silvia Pio e Gabriella Mongardi, una gradita segnalazione alla raccolta “Pomeriggi perduti” per la rubrica La voce di Calliope. Un grazie alla Redazione!

Per leggere su Margutte: QUI!

Nota a “Variazione madre” di Federico Preziosi

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Secondo alcuni lettori-“filosofi” la poesia contemporanea sarebbe caratterizzata da una prevalente ricerca estetizzante (magari fosse così!) a discapito di una linea filosofica che ne inquadri le motivazioni testuali, le spinte “sociali”, le ragioni che guidano le poetiche dell’epoca. Questa prevalenza causerebbe un vuoto di riferimenti che si traduce in spaesamento: che è poi ciò che dovrebbe innescare la vera poesia, quella autentica e ancestralmente rigenerante; se non proprio spaesamento almeno il non cadere nella tentazione di una compiutezza semantica che uccida il suono. Per alcuni di essi il vuoto spaesante deriverebbe dal fallimento di una logica ordinante incapace di ribellarsi al verso troppo libero. Ed è estremamente estetizzante – e quindi spaesante – la poesia di Federico Preziosi contenuta nella raccolta Variazione madre: tra Canti Disincanti – le due sezioni è una poesia carnale che come la carne viva, per nostra fortuna, si ribella a sua volta alla morte causata dal senso compiuto, dalla “solidificazione” dei soggetti e delle loro storie; una poesia che vuole stupire – forse addirittura scioccare – e stupire sé stessa, persino il suo Autore sul nascere, non solo il lettore che assiste al risultato stampato. La parola è ricercata ma mai addomesticata; le soluzioni al grido interiore sono istintive, scalpitanti, vive; immagini bellissime e crudeli s’intrecciano a formare la rete di un nuovo non detto; se non nuovo, sarà l’ennesimo, ma pur sempre originale: tutto concorre a raccontare una storia di pelle, di terra, di sangue, di sentimenti viscerali, naturali, antichissimi, che diventano elementi tangibili, vissuti con atti e verbi quotidiani, a volte forti, altre volte lievi. Un non detto che surclassa il significato finale che dovrebbe formarsi nella mente del lettore, ma non è mai un non detto povero e arido, anzi. Sfugge la “trama”, e la direzione della poesia è un mistero. Il farsi donna – nel momento più alto e caratterizzante dell’essere femmina, ovvero la maternità – non è mai vezzo sperimentale o filo-femminista bensì semplicemente suono che scava, ricerca, sviscera, ricorda, annota, descrive l’indescrivibile, il primordiale ormai rimosso; è calarsi in quei punti di vista speciali che la genetica nega all’Autore “invidioso”, incompleto, bisognoso di un’integrazione all’universalità. Combinazioni musicalmente geniali tra parole, dipingono superbi quadri privi di cornici: è la colonna sonora dell’esistenza che in assenza di recinti cavalca libera verso quei segreti che, finalmente, accomunano l’Uomo e la Donna nell’era dell’odio e dell’eccidio di genere. (m.n.)

Recensisco

Scambiamoci i libri!

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Sette quadri da “La Prigioniera”, Aa. Vv.

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Onorato di essere tra gli Autori selezionati per l’antologia proustiana di LaRecherche.it, curata da Giuliano Brenna e Roberto Maggiani, intitolata Sette quadri da “La Prigioniera”.

Per leggere e/o scaricare l’ebook: QUI!

“… in occasione dei 150 anni dalla nascita di Marcel Proust facciamo festa pubblicando la consueta antologia proustiana di LaRecherche.it. Hanno contribuito alla sua realizzazione ben 86 autori con opere di narrativa, di poesia o visive…”

 

“Pomeriggi perduti” su Periodico Daily

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Ringrazio la giornalista Elena Canini per questa interessante, articolata e ben curata recensione/intervista alla mia raccolta “Pomeriggi perduti”, e l’e-magazine “Periodico Daily” per l’ospitalità…

“… Cosa le trasmette la poesia?

Quando leggo i “grandi” cerco di assaporare i loro versi e attraverso essi di riconoscere le esperienze esistenziali che li hanno direttamente o indirettamente influenzati. Ma più di ogni altra cosa, cerco di riconoscermi nel messaggio universale (quindi rivolto anche a me) che veicolano. Solo così la poesia “degli altri” diventa mia. La mia poetica, invece, come quella di ogni poeta, prende vita da un atto di “ricezione”: come antenne nel cielo, scriviamo ciò che percepiamo. Il trasmettere ad altri, il pubblicare, è una scelta secondaria che non deve mai prendere il sopravvento sulla sacralità della creazione…”

Per leggere l’intera recensione/intervista: QUI!

versione pdf dell’intervista: Intervista a Michele Nigro per “Periodico Daily”

“Pomeriggi perduti” su Leggere:tutti

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Una bella, originale e interessante recensione alla mia raccolta “Pomeriggi perduti”, a firma di Gisella Blanco per la rivista “Leggere:tutti”

“… Pomeriggi perduti è un’insegna al neon che richiama le suggestioni elettriche govoniane, rimbalzandole ai tempi del digitale in cui afflati retorici e ispirazioni contemporanee si mischiano, confondendosi: l’uomo si salva soltanto sfuggendo a se stesso, ed ecco l’afflato più feroce del post-modernismo…” (g.b.)

Per leggere l’intera recensione: QUI!

“Nugae” n.11 / ottobre – dicembre 2006

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In seguito all’esaurimento delle copie cartacee riguardanti il numero 11 (anno 2006) della rivista letteraria trimestrale “Nugae – scritti autografi” da me curata fino al 2009, (l’ultimo “esemplare” tipografico dell’11 è stato venduto recentemente; restano in “magazzino” copie gutenberghiane del 13, 14, 15 e 16: il doppio numero 17/18 e il 19, il “gran finale” dell’esperienza, sono disponibili su Lulu.com), ho pensato di uploadare su questo blog il formato pdf del suddetto numero (ottobre/ novembre/ dicembre 2006), così come è già avvenuto sul blog storico di “Nugae” con altri numeri ormai introvabili in versione cartacea. Buona lettura! 

Per scaricare il pdf di “Nugae” n.11: NUGAE N.11 – 2006

Sommario “Nugae” n.11 / ottobre – dicembre 2006

L’EDITORIALE
di Michele Nigro
IL LABORATORIO: La fiaba
di Teresa Castellani
Del perduto amore
di Giovanni De Matteo
L’attesa
di Erika Dagnino
Breve viaggio tra gli astri
di Vito Cerullo
Hikikomori: anno 2032
di Michele Nigro
Peter Sellars
di Alessandro Tacconi
Il conflitto nel politico
di Antonio Piccolomini
Campana, i “Canti orfici” e gli occhiali di Jung
di Mariano Lizzadro
LA RECENSIONE: “Il volo dell’aquilone” di Mario Gravina
di Vito Cerullo
Il Classicismo attraverso il Cinema
di Antonio Scarpone
Un giorno ad Aliano
di Michele Nigro
Artifici alentani e tedeschi
di Antonio Piccolomini
Poesia
di Alessandro Faraoni
Pè scrive ‘na poesia contr’a la guerra
di Angelo Petrella
CONTROEDICOLA

Nota a “Pomeriggi perduti” su Atelier

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È stata pubblicata sul sito della rivista “Atelier” una nota di lettura alla raccolta “Pomeriggi perduti”, a firma di Antonio Fiori.

“… Le poesie sono settanta, senza suddivisione in sezioni, e s’ergono improvvise, ora palesemente evocative ora ammonitrici, talvolta venate d’ironia. Stefano Serri parla di ‘viaggio multiforme’ e sottolinea la precisione lessicale della poesia di Michele Nigro, ma ci segnala anche che il poeta non pretende il controllo spasmodico su oggetti e avvenimenti…” (Antonio Fiori)

Per leggere l’intera nota: qui!

versione pdf: Antonio Fiori su Pomeriggi perduti, per Atelier

Social networking for dummies

“Social networking for dummies”
(come interpretare e usare un post)
posting

Da “Non finirò di scrivere sul mare” di Giuseppe Conte

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Da “Non finirò di scrivere sul mare” di Giuseppe Conte

Lettura di Michele Nigro

Moratoria poetica

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Avete ragione, care amiche e cari amici poeti (o forse dovrei scrivere poet* per essere al passo coi tempi) quando andate dicendo che oggi si pubblica troppo, che ci sono troppe raccolte (quelle degli altri però, non le vostre) di poesia in circolazione… Avete stramaledettamente ragione!
Allora facciamo una cosa onesta, democratica e sincera, una cosa che stesso la vostra giusta lamentela mi suggerisce, ed è la cosa più logica da fare: facciamo una moratoria delle pubblicazioni poetiche per un decennio (limitiamoci “sperimentalmente” al solo ambito poetico), di TUTTE le pubblicazioni poetiche, e torniamo – come credo e mi auguro stiate già facendo similmente al sottoscritto – a leggere esclusivamente i poeti estinti già assurti all’olimpo dei grandissimi verseggiatori, i “classici” per capirci, gli autori affermati e celebrati dalla critica… Meglio se sono morti: quelli vivi sì, sono bravi anche loro (alcuni), ma sono troppo vivi per essere già importanti. Se sono un po’ morti è meglio.
Leggere solo loro e non i coevi: questi ultimi sono da ignorare, più di quanto non lo siano già, ovvero ignorati, da parte di tutti noi. Se abbiamo detto che si pubblica troppo ed è complesso seguire tutti, va ignorato anche il già pubblicato recentemente, non solo ciò che si pubblicherà a breve.
C’è solo un modo per sfuggire al traffico cartaceo dei giorni nostri e alla conseguente (secondo alcuni e a ragione) scarsa qualità imperante causata da una certa (apparente?) disponibilità editoriale a pubblicare tutto e tutti. Il motto è o dovrebbe essere: “Diminuire la quantità per far riaffiorare la qualità” soprattutto quella passata. Ma siete disposti a sacrificare anche le vostre pubblicazioni? Quelle che ritenete (e vorrei vedere il contrario) validissime? Quelle che coccolate come figli, ritenendole necessarie al dibattito letterario e indispensabili per segnare quest’epoca dal punto di vista poetico? Ah no? Non lo siete? Non siete disponibili? Pensate che le vostre opere (e questo in fin dei conti è ciò che pensa ogni autore del proprio prodotto) siano meritevoli di esistenza? Che si debba comunque pubblicare, poi sarà il tempo dell’analisi critica (ma quale e quanto tempo?) a decidere chi sopravvivrà all’oblio? Allora sono solo “gli altri” che pubblicano troppo, non voi? Sono gli altri che con i loro ridicoli volumetti sfornati senza cura generano bailamme intorno al vostro capolavoro…
Ah, ho capito: ora mi è tutto chiaro in maniera cristallina!
 
A me comunque l’idea della moratoria piaceva…
 

Commissari, preti e carabinieri in tv… e quell’Italia che non esiste

commissari e carabinieri in tv

Commissari e carabinieri, commissarie e “carabiniere” (o carabinieresse? Chiederò alla Boldrini!), magistrati e magistrate, preti e suore… Mancano all’appello solo, da quel che so, le fiction sulla guardia di finanza, la protezione civile e le piccole sorelle dell’esercito di Gesù, e poi il quadro telenarrativo sull’argomento “eroi in divisa, toga e tonaca” potrebbe considerarsi quasi completo. Nella tv italiana c’è un gran pullulare di racconti televisivi dedicati a figure sociali familiari, a simboli istituzionali immarcescibili che in fin dei conti ci fanno stare bene e ci ricordano la nostra stessa vita: durante le processioni del santo patrono in prima fila ci sono il prete, il sindaco e i carabinieri; e poi viene il popolo. Lo stesso accade in tv.

Ma tutti questi personaggi televisivi oscillanti tra il “sacro” e il laico, hanno un’importante caratteristica che li accomuna: agiscono in un’Italia che non esiste. Loro stessi non esistono, sono quasi impersonali nel loro essere al di sopra del reale; rappresentano spesso l’Italia che vorremmo. Non è un fatto nuovo: anche i personaggi di Giovannino Guareschi agivano, se le davano e si agitavano in un’Italia abbastanza irreale e perfettamente divisa in due blocchi, quello cattolico e quello comunista; sappiamo però che la realtà era molto più complessa e variegata, tragica e poco romantica. I personaggi di questi encomiabili e a volte gradevoli prodotti televisivi nostrani appartengono a un’Italia ideale e idealizzata, o forse sarebbe più corretto dire stilizzata, asciutta, semplificata per ragioni non solo di sceneggiatura (anche se in alcuni casi sarebbe più corretto parlare di scemeggiatura, dal momento che certe stilizzazioni rasentano l’offesa intellettiva dello spettatore). C’è come un bisogno, da parte di registi e produttori, di assicurare al pubblico un prodotto predigerito, di trasporre in maniera teatrale – ma su scenari non teatrali bensì realistici – una narrazione nata già semplificata dalla penna degli autori: la semplificazione della semplificazione. È chiaro che il risultato finale non può che essere un prodotto lineare, pulito, pur nella complessità delle trame e delle indagini che quelle tentano di raccontare alla voracissima casalinga di Voghera che attende le sue fiction in prima serata come un premio di fine giornata.

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