Fenomenologia della “poesia facile”

versione pdf: Fenomenologia della “poesia facile”. Dalla neolingua alla neopoesia

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Dalla neolingua alla neopoesia

Ho assistito recentemente a una innovativa e coraggiosa trasposizione teatrale del famoso romanzo “1984” di George Orwell, già immortalato nella memorabile riduzione per il cinema del regista Michael Radford: inevitabilmente uno dei temi nevralgici ripresi anche dalla pièce è stato quello riguardante la cosiddetta neolingua inventata dall’autore di fantascienza britannico per descrivere il lento ma inesorabile processo di semplificazione del linguaggio, attuato dal partito del Grande Fratello, quale premessa per una decostruzione del pensiero critico nei confronti dell’ideologia dominante. Un’ideologia di regime bisognosa di pedine acritiche e non di uomini e donne pensanti. Eliminare quanti più termini è possibile dal vocabolario corrente per impedire sul nascere l’elaborazione di sillogismi e quindi di critiche in grado di mettere in difficoltà la presa diretta del dittatore sulle menti dei cittadini. La semplificazione del linguaggio per realizzare un più efficace controllo del pensiero della popolazione non è purtroppo solo un’invenzione di Orwell ma è stata nel corso della Storia anche una pratica ampiamente applicata; alcuni esempi attualizzabili: gli slogan propagandistici, le frasi a effetto per stupire l’elettore e parlare alla sua pancia, gli annunci lapidari non verificabili riguardanti opere pubbliche che non verranno mai realizzate…

È di questi giorni l’uscita nelle librerie dell’ennesimo best seller di un noto “poeta televisivo” che non fa mistero del proprio successo editoriale attribuendolo principalmente alle sue doti comunicative dirette, sincere, geo-onnipresenti, limpide, intorno a tematiche basilari, primitive, “domestiche” e a un suo stile poetico che potremmo definire “facile”, semplificato, consolatorio, medicamentoso come la panacea delle nonne realizzata con ingredienti casalinghi, non complessi, alla portata di tutti. A ogni pubblicazione di questo autore ne consegue un putiferio mediatico alimentato da critici indignati, da autori che non credono nell’autenticità letteraria di certi successi editoriali pompati dal marketing… A essere messa sotto accusa, ogni volta, è una non poesia che viene spacciata per Poesia e che misteriosamente (poi mica tanto misteriosamente, per motivi che diremo dopo!) riesce a raggiungere molti più lettori di quanto non faccia la “poesia vera”, quella riconosciuta dai manuali di metrica e dalla storia ufficiale della letteratura; quella degli autori che sgobbano su un verso per giorni e giorni, a volte per anni, (mentre il nostro, a dire degli invidiosi — anzi, lo dice lui stesso! —, le sue poesiole le concepirebbe in ascensore, in una sala d’attesa d’ospedale o in viaggio sul treno tra un reading pubblico, una soppressata da affettare e una lectio magistralis via Skype).

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“Pomeriggi perduti”, presentazione ad Agropoli…

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Il prossimo 29 ottobre, alle 17:30, presenterò la mia raccolta “Pomeriggi perduti” ad Agropoli (Aula Consiliare “A. Di Filippo”), nell’ambito della XV rassegna letteraria “Settembre culturale al castello” curata e coordinata dal consigliere del Comune di Agropoli e delegato alla cultura Francesco Crispino

Riguardo al film “Genius” e agli editor, su Pangea.news

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Il mio articolo “Due, tre cose sul (dal) film Genius di Michael Grandage” (già pubblicato su questo blog, qui) è stato riproposto su Pangearivista avventuriera di cultura e idee, “una delle migliori rassegne culturali in Italia”, curata dal giornalista, poeta, scrittore e critico letterario Davide Brullo e che da sempre pubblica articoli interessanti e culturalmente stimolanti.

Per leggere l’articolo: QUI!

Intervista a Michele Nigro, a cura di Roberto Guerra

Ho avuto il piacere di rispondere alle domande di Roberto Guerra per un’intervista pubblicata su NeofuturismoAsino Rosso Ferrara. Segue uno stralcio…

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[…] Più in generale, come vedi oggi la poetica/cultura contemporanea? 

È meno audace, più uniformata a standard che, forse per ragioni generazionali, non comprendo e con cui non sono assolutamente in sintonia: dalla musica all’editoria, tranne rari casi, vige la regola per cui se esci da una scuola omologante o sei un autore affermato che ha già portato introiti, anche se in seguito scrivi boiate continui a usufruire di un certo “pompaggio” del marketing. In sintesi, viene portato avanti il personaggio che vende e non l’opera o, appunto, la poetica di un autore. Quindi, anche se lo scenario non è del tutto disastrato e irrecuperabile come potrebbe sembrare da questa mia risposta, in un sistema del genere di quale poetica si può mai parlare?

La cultura è una “cultura di piazzamento” e bisognerebbe parlare di “ranking poetico”. La colpa non è solo delle case editrici o  ̶  per dirla alla Battiato  ̶  degli “addetti alla cultura”, ma soprattutto di un abbattimento della qualità della domanda da parte di un pubblico impreparato e che ama volare in superficie, a pelo d’acqua, per mancanza di tempo e di un autentico interesse: a una poetica di ricerca, non subitanea e quindi poco accattivante, si preferisce il guitto che fa cantare il suo pubblico durante i reading, che va in tv tre volte a settimana, che riempie le sale credendo così di diffondere la poesia, che litiga sui social, che innesca polemiche politiche e alza polveroni mediatici per vendere meglio e di più… Parlerei di una “poetica mediatica” che è l’unica, oggi, a contare.

La cultura è la risposta che la parte pensante di una società dà ai problemi del tempo attraverso le sue opere: se la risposta è quella attualmente in circolazione nel mainstream, è evidente che sono mutate le esigenze culturali e, arrivo a dire, spirituali del pubblico che alla fine acquista una tipologia di prodotti. Non c’è soluzione, deve andare così. È la caratteristica dell’epoca. L’importante è essere coerenti con sé stessi e con la propria poetica. […]

Per leggere l’intervista completa:

Neofuturismo

Asino Rosso Ferrara

Roby Guerra Futurista

Per leggere la “versione small”:

CorrierePL.it

versione integrale pdf: Intervista a Michele Nigro, a cura di Roberto Guerra

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Nota a “Lo scarto della retina” di Daniele Zanghi

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Dietro la poeticità bella a leggersi e la sicurezza dell’eloquio rappresentate nelle 12 poesie della silloge di Daniele Zanghi, intitolata “Lo scarto della retina”, si nascondono un milione di domande irrisolte e ataviche. C’è una domanda incombente sull’origine delle cose quotidiane apparentemente scontata e dei ricordi, sulla natura del presente visibile; una domanda — “Ma le linee dove furono stabilite?” — che non può non interessare il confine tra sogno e realtà, da sempre esplorato e mai del tutto (per fortuna!) definito. I conflitti umani nascono dall’ignoranza e da una visione limitata della realtà, ma il dolore reale non fa domande, è sincero: semplicemente è. L’umanità in generale — il poeta in particolare — vede oscillare gli eventi storici tra l’entusiasmo scientista per un impietoso progresso di fine ‘800 e un più ingannevole e micidiale benessere moderno ed estetizzante in cui, soddisfatti e acritici, siamo tutti immersi. Nessuno escluso. A salvarci, forse, è uno scarto della retina: quel non visto o visto appositamente male (offerto dalla poesia?) che ci assicura sopravvivenze tra terre inesistenti e vuoti su cui dover passare nonostante tutto. Quella di Zanghi è una poesia che s’interroga continuamente: sul perché dell’esserci (“Perché mi trovo a questo tavolo?”), sul mistero delle scelte umane (“è mai esistito qualcuno / che volesse qualcosa?”), sulla fatalità del trovarsi in un dato posto. L’abc di domande filosofiche formulate millenni fa, qui diluite in versi non facili ma impegnativi per il lettore nel tentativo di disinnescare un gioco ben riuscito tra gesto concreto e surrealismo. A volte una necessaria lontananza (“Sono così lontano da tutto”) offre le risposte più giuste; ci predispone a un salvifico distacco del pensiero dall’ovvietà del vivere quotidiano, per riscoprire il bambino che ritarda dietro il gruppo e che, per questo motivo, è ancora capace di difendere i propri sogni in evoluzione.

V *

Ad uno scarto della retina
affido la mia sopravvivenza,
il mio essere,
l’ho detto,
si schianta come un carro in piena corsa
dal quale mi butto.
O meglio, scivolo giù discretamente,
sapendo perfettamente la non-esistenza
della terra
e l’orrore più grande
di un’automatica passerella nel vuoto.

* (da “Lo scarto della retina”, silloge di Daniele Zanghi; Fallone Editore – 2019. Collana “Il leone alato”, diretta da Andrea Leone)

leggi anche:

Recensisco

Scambiamoci i libri!

Dodecalogo del recensore (di poesia)

Dodecalogo del recensore (di poesia)

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  1. Lasciate “decantare” il pacco postale contenente il libro: l’impetuosità non è da recensore freddo, scientifico e imparziale, e fa scrivere sciocchezze; a volte le scrive anche quand’è freddo, scientifico e imparziale, ma questa è un’altra storia…
  2. Saltate prefazioni ed eventuali postfazioni: per non farvi influenzare inconsciamente e perché in teoria non si dovrebbe aver bisogno di attingere alle altrui opinioni. Vi è stato chiesto di farvene una vostra e di scriverla: l’autore – quello serio – cerca questo e ve ne sarà grato. Le leggerete solo dopo aver terminato la stesura della recensione per eliminare eventuali coincidenze con ciò che hanno già affermato prefatore e postfatore. Puntate all’originalità! A pensarci bene, saltate anche la quarta di copertina…
  3. Leggete, invece, anche già durante la stesura della recensione, la biografia dell’autore, quasi sempre accennata in una bandella del libro: vi aiuterà a interpretare da un punto di vista esistenziale alcuni passaggi del testo.
  4. Soprattutto per quanto riguarda le raccolte di poesie, leggetene una alla volta, concedendovi una pausa, facendo altro prima di ritornare sulla successiva: ogni singola lirica è un mondo a sé stante, non è parte di un melting pot poetico da leggere senza soluzione di continuità.
  5. Annotate a matita, nelle parti bianche del foglio, tutto ciò che v’interessa della poesia letta; sintetizzatene in pochi appunti – anche in una singola parola – lo spirito che la pervade, la filigrana, quello che secondo voi è il significato centrale del componimento, fosse anche solo una vostra impressione che si rivelerà errata in seguito: la poesia (così come la critica poetica) non è esattezza matematica ma è soprattutto interpretazione soggettiva, sostenuta, certo, da una conoscenza dei canoni che non deve tuttavia soffocare la voce istintiva proveniente dai versi; e senza eccedere nella soggettività, però, stravolgendo l’intento originario dell’autore. Quel che una poesia dirà a voi, non lo dirà ad altri. Il poeta saggio, che accetta il rischio di farsi leggere, lo sa. E se voi puntate a essere dei recensori trasparenti – che non seguono il già detto da altri recensori – dovrete accettare il rischio di poter male interpretare alcuni passaggi o di difendere la soggettività della vostra lettura. Spesso interpretazioni audaci o inizialmente considerate errate, vengono “riabilitate” dagli autori e considerate come interessanti punti di vista non presi in esame da loro stessi.
  6. Non annotate a penna. Il libro va rispettato: un giorno, cancellando le annotazioni a matita, potrete dare in prestito quel libro, fare bookcrossing o regalarlo a chi non conosce quell’autore. Le vostre annotazioni (nonostante il tanto decantato fascino del libro usato, scarabocchiato e maltrattato) potrebbero distrarre il futuro lettore. E poi le vostre considerazioni annotate sono come confessioni intime, su argomenti sensibili sollevati dall’autore, che non è detto faranno parte della futura recensione: lasciarle scritte sul libro che andrà in seguito tra le mani di un altro lettore è un po’ come lasciare il biglietto col numero telefonico dell’amante nella tasca dei pantaloni da lavare…
  7. Assicuratevi che una di queste annotazioni scritte nel corso della lettura abbia la forma di un possibile incipit per la recensione che scriverete.
  8. Non fissatevi solo sul mood delle singole liriche; di tanto in tanto lasciate in giro sul libro considerazioni generali sul testo come opera e sulla poetica dell’autore: le recupererete in seguito e vi serviranno per costruire la struttura portante della vostra nota critica: intorno a quell’impalcatura aggiungerete rapide pennellate sui passi che maggiormente vi hanno colpito. Alla fine della lettura, sfogliando il libro come a volerlo rileggere un’ultima volta velocemente, il libro vi parlerà! Seguite quella voce…
  9. A meno che non stiate scrivendo un saggio sulla poetica dell’autore, non dilungatevi eccessivamente: la recensione deve essere come un taglio chirurgico, profondo e convincente, ma al tempo stesso leggera e veloce. Il citazionismo deve essere funzionale alla dimostrazione di un precedente illustre che ha già esplorato determinati terreni; non eccedete in “fini diciture” da questi sommi, sia per non mettere in imbarazzo (o, peggio ancora, far esaltare ingiustificatamente) l’autore con paragoni improbabili (la citazione dovrebbe servire a creare una lontana analogia al fine di meglio far comprendere al lettore di che tipologia d’autore parliamo e non per affermare che il poeta “famoso” e il nostro… sono uguali!), sia per non perdere credibilità voi stessi in qualità di recensori. Allo stesso modo non bisognerebbe eccedere nel citare il testo dell’opera in esame: molti “recensori” con la scusa di “voler far parlare l’autore” – in realtà hanno poca voglia di lavorare e di sforzarsi per un autore che considerano minore – trascrivono sostanzialmente montagne di versi intercalando di tanto in tanto frasi “collante” per dare una ragione alla propria firma in calce alla recensione. I versi vanno citati per dimostrare le proprie affermazioni e non come arredo per raggiungere il numero di battute richieste dal capo redattore in vista del “pezzo”. Inserite, invece, alla fine della nota un’intera poesia (una sola, non mezzo libro come nelle segnalazioni che non recensiscono!) tratta dalla raccolta: il lettore si farà un’idea diretta del tipo di scrittura poetica.
  10. Rileggete più volte: smussate, levigate, aggiungete, togliete, riscrivete, se necessario rinnegate una vostra affermazione su un punto del libro… La recensione deve scivolare ed essere funzionale. Non dovete spiegare il libro: la recensione è un volo panoramico su un testo che in seguito, se il lettore vorrà, leggerà facendosi una sua opinione, caso mai sbugiardando il recensore. Seguite il vostro istinto e immortalate uno o più dettagli: per le sinossi ci sono gli editori, e i redattori editoriali, che devono preoccuparsi di vendere le copie. Non voi.
  11. Non fate rileggere la vostra recensione all’autore prima della pubblicazione: è una recensione, non un concordato. Se l’autore non gradirà qualche passaggio, beh… pazienza! L’errata corrige solo per insormontabili castronerie da voi pronunciate.
  12. Se un libro non vi piace e non ispira considerazioni positive, non scrivetene. È troppo facile e anche piuttosto malignamente gustoso elencare quelle che per voi sono le negatività di un testo. Molto più difficile essere equilibrati e giusti nell’evidenziare il bello. Quando c’è. L’autore intelligente non insisterà nel chiedere la vostra valutazione: sarebbe come andare a controllare da vicino perché un botto inesploso di capodanno non abbia fatto ancora BOOOM! Meglio girare a largo e conservare le dita per continuare a scrivere…

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Nota a “Qui non v’è vanità” di Gino Giacomo Viti

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Non vale solo per quella, difficilmente classificabile, seppur evocativa, ricca di sprazzi esistenziali e colti omaggi al non detto, del giovane Gino Giacomo Viti (classe ’96), bensì per tutta la Poesia, la regola non scritta di una giusta lotta “… per tornare ad ascoltare il Vento…” (III. Sulla tomba di Ezra Pound); in nome di quali altri valori dovrebbe combattere un Poeta? Affinché, al termine del viaggio, il Vento canti il poeta che finalmente, dopo una vita dedicata alla parola, tace.

Ma il vento, quello comune con la “v” minuscola, “non è epoca”, non può parlare per tutti: il poeta è solo, sa di essere solo (“… per fare di questa stagione / una piccola solitudine”). D’altronde: “il mio voto è al vuoto / all’assenza universale”; un’assenza che per un poeta diventa presenza necessaria, materia raffinata che riempie i veri vuoti, quelli del vivere scellerato e senza un autentico progresso. Anche il tema dell’abbandono esige un altro tipo di sguardo sul mondo e sulle cose quotidiane. Ma non tutto è metafisico: finalmente una Venezia reale, nonostante un oggetto poetico indefinibile e di fatto indefinito, offre segni tangibili, scevri da ogni vanità. Non serve dichiararsi morti o vivi, vinti o finiti: basterà, indossando una maschera per fingersi vivi come piace al mondo, registrare in versi quel “dolore che nessuno / conosce. Non serve altro per rendere / muta una quercia…”.

(pag. 30) *

Traendo dal mondo sicura visione
tradisci forse il silenzio divino?
Perché sia un’esigenza pregare
o strappare un fuoco ai ciliegi
per saper immolare una traccia;
tacciano miti nei quali scompari
i gridi alla memoria dei mondi,
che riaffondi ogni nome nella Storia.

Dove non voli, pienezza e dono
è un ritorno al silenzio, luce:
il tuono che ricuce l’abbandono.

* (da “Qui non v’è vanità”, silloge di Gino Giacomo Viti; Fallone Editore – 2021. Collana “Il fiore del deserto”)

Leggi qui: Recensisco

“Nugae” n.11 / ottobre – dicembre 2006

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In seguito all’esaurimento delle copie cartacee riguardanti il numero 11 (anno 2006) della rivista letteraria trimestrale “Nugae – scritti autografi” da me curata fino al 2009, (l’ultimo “esemplare” tipografico dell’11 è stato venduto recentemente; restano in “magazzino” copie gutenberghiane del 13, 14, 15 e 16: il doppio numero 17/18 e il 19, il “gran finale” dell’esperienza, sono disponibili su Lulu.com), ho pensato di uploadare su questo blog il formato pdf del suddetto numero (ottobre/ novembre/ dicembre 2006), così come è già avvenuto sul blog storico di “Nugae” con altri numeri ormai introvabili in versione cartacea. Buona lettura! 

Per scaricare il pdf di “Nugae” n.11: NUGAE N.11 – 2006

Sommario “Nugae” n.11 / ottobre – dicembre 2006

L’EDITORIALE
di Michele Nigro
IL LABORATORIO: La fiaba
di Teresa Castellani
Del perduto amore
di Giovanni De Matteo
L’attesa
di Erika Dagnino
Breve viaggio tra gli astri
di Vito Cerullo
Hikikomori: anno 2032
di Michele Nigro
Peter Sellars
di Alessandro Tacconi
Il conflitto nel politico
di Antonio Piccolomini
Campana, i “Canti orfici” e gli occhiali di Jung
di Mariano Lizzadro
LA RECENSIONE: “Il volo dell’aquilone” di Mario Gravina
di Vito Cerullo
Il Classicismo attraverso il Cinema
di Antonio Scarpone
Un giorno ad Aliano
di Michele Nigro
Artifici alentani e tedeschi
di Antonio Piccolomini
Poesia
di Alessandro Faraoni
Pè scrive ‘na poesia contr’a la guerra
di Angelo Petrella
CONTROEDICOLA

Moratoria poetica

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Avete ragione, care amiche e cari amici poeti (o forse dovrei scrivere poet* per essere al passo coi tempi) quando andate dicendo che oggi si pubblica troppo, che ci sono troppe raccolte (quelle degli altri però, non le vostre) di poesia in circolazione… Avete stramaledettamente ragione!
Allora facciamo una cosa onesta, democratica e sincera, una cosa che stesso la vostra giusta lamentela mi suggerisce, ed è la cosa più logica da fare: facciamo una moratoria delle pubblicazioni poetiche per un decennio (limitiamoci “sperimentalmente” al solo ambito poetico), di TUTTE le pubblicazioni poetiche, e torniamo – come credo e mi auguro stiate già facendo similmente al sottoscritto – a leggere esclusivamente i poeti estinti già assurti all’olimpo dei grandissimi verseggiatori, i “classici” per capirci, gli autori affermati e celebrati dalla critica… Meglio se sono morti: quelli vivi sì, sono bravi anche loro (alcuni), ma sono troppo vivi per essere già importanti. Se sono un po’ morti è meglio.
Leggere solo loro e non i coevi: questi ultimi sono da ignorare, più di quanto non lo siano già, ovvero ignorati, da parte di tutti noi. Se abbiamo detto che si pubblica troppo ed è complesso seguire tutti, va ignorato anche il già pubblicato recentemente, non solo ciò che si pubblicherà a breve.
C’è solo un modo per sfuggire al traffico cartaceo dei giorni nostri e alla conseguente (secondo alcuni e a ragione) scarsa qualità imperante causata da una certa (apparente?) disponibilità editoriale a pubblicare tutto e tutti. Il motto è o dovrebbe essere: “Diminuire la quantità per far riaffiorare la qualità” soprattutto quella passata. Ma siete disposti a sacrificare anche le vostre pubblicazioni? Quelle che ritenete (e vorrei vedere il contrario) validissime? Quelle che coccolate come figli, ritenendole necessarie al dibattito letterario e indispensabili per segnare quest’epoca dal punto di vista poetico? Ah no? Non lo siete? Non siete disponibili? Pensate che le vostre opere (e questo in fin dei conti è ciò che pensa ogni autore del proprio prodotto) siano meritevoli di esistenza? Che si debba comunque pubblicare, poi sarà il tempo dell’analisi critica (ma quale e quanto tempo?) a decidere chi sopravvivrà all’oblio? Allora sono solo “gli altri” che pubblicano troppo, non voi? Sono gli altri che con i loro ridicoli volumetti sfornati senza cura generano bailamme intorno al vostro capolavoro…
Ah, ho capito: ora mi è tutto chiaro in maniera cristallina!
 
A me comunque l’idea della moratoria piaceva…
 

L’Almanacco dello scrittore

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L’opera contiene i nominativi di oltre 500 scrittori italiani, con i loro generi letterari, la loro storia, la biografia, gli indirizzi email e molto altro. Un volume prezioso che sarà consegnato presso le Biblioteche comunali e su richiesta anche alle Case editrici.
All’interno della piattaforma digitale della Community Facebook TraLeRighe è possibile acquistarlo al prezzo scontato di € 9,50.
Per acquistare la tua copia clicca qui: https://www.nuuuuz.com/product-page/l-almanacco-dello-scrittore

Scambiamoci i libri!

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Cari Poeti, ho voglia di leggervi! E anche di farmi leggere da voi…

Se avvertite la mia stessa esigenza, allora non ci resta che compiere uno scambio dei nostri libri di poesie (rigorosamente in cartaceo e non in PDF o in formati e-book; non self publishing anche se provvisti di codice ISBN).

Attenzione: scambio di libri, non di “favori”!

Qual è il fine ultimo di un libro edito? Farsi leggere e… criticare.

Dalla lettura, che suscita pensieri e sensazioni, potrebbe nascere da parte mia una recensione ai libri ricevuti o un’intervista a voi che siete gli/le Autori/trici delle vostre “creature”. O le due cose insieme: io la chiamo, ormai da anni (da quando la proposi per la prima volta sulle pagine della rivista letteraria “Nugae” da me diretta), rece-intervista. Oppure una più agile segnalazione… Lo stesso, se dopo averla letta la raccolta “Pomeriggi perduti” vi ispirerà, potreste fare con il mio libro attraverso le modalità e i canali a voi più congeniali.

L’idea vi piace?

Contattatemi: mikevelox@alice.it

versione pdf: Scambiamoci i libri!

Federica Gallotta su “Pomeriggi perduti”

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A distanza di più di un anno dall’uscita della mia raccolta “Pomeriggi perduti”, la recensione sulla rivista Shockwave Magazine a firma della poetessa Federica Gallotta si attesta immediatamente tra quelle più belle, interessanti e “sentite” lette finora… In un mondo editoriale svenduto e in crisi da anni, e in quello “poetico”, in coma farmacologico, costituito da “personaggetti” dal successo incomprensibile, troppo concentrati a guardarsi l’ombelico o a difendere un territorio nato arido, marcato con urine versificanti, le recensioni libere non affette da “scambismo di favori” sono diventate merce rarissima e quindi preziosa; da valorizzare e conservare gelosamente.

<<… Il verbo ritornare percorre l’intera raccolta: è verbo cardine, che ci segnala un tema strettamente legato a quello del tempo: la ciclicità della vita. La vita è un ciclo in cui tutto passa e ritorna. Non esattamente uguale a prima ma seguendo il modello logico della sintassi: muta la superficie ma lo schema profondo resta immutato. Torneranno le stagioni (non quella precisa estate, non quel preciso temporale…): “Prima di partire / in avide dispense / metto da parte / le cose belle di sempre, / per gli inverni / che non tarderanno” (Le cose belle di sempre (La dispensa), pagg. 25-26); “Alla vita ormai persa / che scorre nel mare calmo / della morte che accoglie, / sperando di ritornare / giovane umidità / e nuvole / e di nuovo pioggia / tra i vivi di domani” (Acqua di ritorno, pag. 30)…>>

Per leggere la recensione di Federica Gallotta: QUI!

Per acquistare “Pomeriggi perduti”: QUI!

Tardes perdidas, 5 poesie da “Pomeriggi perduti” tradotte da João Luís Barreto Guimarães

Per Iris News – Rivista di poesia il poeta portoghese João Luís Barreto Guimarães ha tradotto 5 poesie tratte dalla raccolta “Pomeriggi perduti” (Edizioni Kolibris 2019, prefazione di Stefano Serri, con una nota di Chiara De Luca).

versione pdf articolo Iris News: Pomeriggi perduti_Tardes perdidas – Iris News

per leggere le traduzioni sul sito Iris News: qui!

Espadas chilenas

para Pablo Neruda

Caem as palavras
amareladas como folhas
sobre papéis de erva,
sob os golpes de Outonos
ditadores, escrevem páginas
para um canto geral.
Não foi em vão
o seu estar no céu
reunindo luzes
para o dizer eterno.

Não ficaram mudas
as folhas caídas
de Neruda assassinado,
tal as espadas afiadas
de um poeta fugitivo
brilhando perigosas
na cobarde noite
da liberdade.