L’imbrunire è quell’ora indecisa

Hansruedi Ramsauer

L’imbrunire è quell’ora indecisa
tra la luce non rassegnata a perire
e il buio senza coraggio per sorgere,
odo tralci di vite selvaggia
rampicarsi lungo la schiena
della luna piena di giugno

e la cecità serale
prendermi gli occhi ormai freschi
non più arsi di città, dove caldi mattoni
conservano i raggi del meriggio

come batterie pensate per corpi pentiti
fino allo sgocciolio di mezzanotte
e oltre, pensiero insonne che tortura
l’anima indigesta e reflussa
si sveglia senz’aria, affogata
dagli acidi della vita di giorno.

Ho fede nei tralci, arriveranno
un giorno, senza pretenderlo
a donarmi grappoli d’uva fragola
progenie di quella rubata all’infanzia

a essere finalmente domata
anno dopo anno
stupore dopo stupore per le rinnovate foglie
s’allunga la speranza
verso il sole dell’attesa
paziente stagione dell’essere,
incontro tra mani sistine
tra dio e l’uomo in questo inferno.

(immagine by Hansruedi Ramsauer)

Giorni a venire

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Un varco celeste
tra nubi rosa all’alba
e grigie residue minacce
s’apre su città dormienti
illuminate a notte
come uno speranzoso iato.

Lavora la luce
su un nuovo giro di giostra,
ma lento ancora
è il giorno a venire
prigioniero di sogni funesti
e torpori esistenziali.

(tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

immagine: dal film “Codice Genesi (The Book of Eli)”

Lamento degli amnesici mascherati

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Siamo stati forgiati nella fucina della solitudine,
non chiediamo aiuto mentre affoghiamo
non emettiamo suono alcuno
perché preferiamo il silenzio anche in punto di morte.

Senza chiedere l’elemosina del consenso
maciniamo chilometri dolenti
tra gli inciampi del buongiorno
e gli inganni della sera,
coltiviamo amori insonni
come lucciole per un domani dei sensi.
Ma è il confine della vita persa e dei colori cangianti
a sembrare invalicabile
nel via libera a singhiozzo dei prudenti.

La vita originale è perduta ormai,
non ricordiamo più il volto della città consueta
le priorità naturali dell’esistere,
spacciamo per grasse libertà
quel che resta del nulla decantato
sul fondo dell’abitudine.
È una sirena non di mare
questa musica nuova e stridente
che sfreccia tra i nostri sabati.
Non ricordiamo più
la via della facile speranza
quando la donavano a grappoli
agli angoli delle strade di ieri.

È strana quest’atmosfera
di finta salvezza sul finale
di battaglie private intrecciate a telegiornali
di catastrofe pulita, inodore
e di morti non visti, né toccati.

Malediciamo i colpi della vita
ma con l’altra metà del cuore
li benediciamo come maestri, alla fine,
da accogliere con il sorriso rassegnato
sull’uscio della disperazione fatta casa.

I passi solitari nella città mascherata
verso mete non desiderate
e i bocconi di fiele ingoiati a comando
con l’abitudine scandalosa del prigioniero
che chiama ‘mondo’ i suoi metri quadrati
nel corso degli anni condannati,
saranno le assurde nostalgie
del futuro, in tempi di insperata serenità:
è incredibile come l’essere umano
si affezioni ai travagli dell’esistere
e ai muti maltrattamenti del quotidiano.
Non siamo cronaca, ma solo crocifissi senza sangue
dispersi tra la folla del solito,
siamo le bianche vittime
delle silenti frustate della vita.

Risponderemo colpo su colpo
con la mente e il coraggio del cuore
finché ce la faremo,
siamo organizzati nei cunicoli della storia
per affrontare gli accidenti notturni
e le ingiustizie del mattino.
Siamo aperti alla nera fantasia
degli educati tribolamenti
e all’estro dell’imprevisto che bagna il bagnato,
nutrimento sono per noi
il malanno dei cari
e le noie del prossimo,
le cadute di stile e dei gravi
e le grigie notizie dal mondo.
A chi ci affidiamo non è ben chiaro,
ma abbiamo fede nell’infedeltà del cammino.

Un giorno, forse, torneremo a desiderare
le cose che oggi abbiamo dimenticato
per disabitudine a quel che dovrebbe essere
o per una salvifica amnesia: nel non ricordo s’acquieta il dolore.
Sarà bello e spietato come un matrimonio incosciente ma agognato
all’indomani di guerre mondiali finite e lasciate andare.

Tramonta, falso sole di clausura!
Lasciateci liberi di non tornare a vivere,
di tornare a risorgere un giorno
insieme a quest’umanità martoriata dai numeri
ma ancora distratta da futili motivi serali.
Uniremo i nostri dolori domestici
a quelli di tutte le nazioni del pianeta,
torneremo alla sorgente della speranza
anche quando ci saranno musica e balli per tutti
come se nulla fosse accaduto,

alla fonte di quel silenzio che salva
quando i mondi sono spenti e chiusi.

versione pdf: Lamento degli amnesici mascherati

(immagine: dal film “Matrix”)

Un giorno

riesumando diari

Un giorno
quando il distacco
allenato dal tempo
lo permetterà, senza
troppi rimorsi legati
a quelle parole scritte
con un tratto non più mio
riuscirò a leggervi,
e avrete conservato
intatto come inchiostro recente
il potere di una sciabolata
in pieno volto a una sciocca
giovinezza arresa.

Ma non oggi,
non è ancora l’ora
di spalancare pagine
di vite lontane, per finalmente
capire.
Solo sprazzi rubati
con la coda dell’occhio
da seppellite angosce.

(tratta dalla raccolta “Pomeriggi perduti”)

(ph M.Nigro©2021; titolo: “Riesumando diari”)

Quando vado al cimitero penso a Facebook

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faccialibro non tibetano dei morti

Coincidono le resurrezioni
lungo il risalire del sole invitto,
è una dolce sincronia d’ossa piegate
questa promessa di nuovi domani
tra il rinascere da pubbliche sciagure
e i trascurati desideri di sempre.

In mezzo alle silenti tombe d’inverno
agile è il passo che ancora spera,
e forte è il monito sussurrato
dai freddi marmi della sera.

Non la sconfitta claustrale dei finti giorni di festa,
ma è una sequenza di facce ancora vive e date
a rinnovare la ferita della nostra caducità.

(ph M.Nigro©2020)

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Dies irae

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I figli concepiti nella rabbia
tra false preghiere serali
diverranno fiumi in piena
nell’ora che dimentica,
pensieri malsani coltivati
all’imbrunire, come tempeste
da energie assiepate d’estate
tra la terra e l’alto dei cieli.

Restarono a casa, immobili
le membra scatenate
ora che libere, simili a molle
schizzano ribelli e pazze
nei giorni dell’evasione.

(ph M. Nigro©2020)

Giorni e non

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Quando domani tornerai a vivere
riconoscerai i giorni della non vita
che oggi chiami con nomi di fantasia:
sedia, arcobaleno, benda, corvo, sacchetto
di plastica i pensieri mentre pedali nella sera.
Il mondo è una stanza enorme e vuota
con la porta di coraggio antico stagionato
e una maniglia per aprirti alla storia
solo dal tuo lato – dice il venditore di api
abituato a farsi pungere da tre generazioni.

La stampante senza che nulla le dica
come un gatto dalla lingua elettrica
parte a pulirsi le testine di notte, nel silenzio
tramando scritture clandestine alle mie spalle,
“lei” sa cosa fare

nel buio del suo sesso d’inchiostro
puntato su fogli bianchi d’inconscio
descrive meglio di voi assenti i giorni persi
contando pillole e respiri di madri bambine.

– video correlato –

“Jump” – Van Halen

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