“Ottobre è… poesia”: presentazione della raccolta “Pomeriggi perduti”…

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Una bella serata, una presentazione soddisfacente, un bel pubblico (nonostante le partite di calcio in tv) e dei “supporter” di prima scelta. Un grazie particolare va al Prof. Vincenzo Pietropinto per avermi affiancato e condotto nella presentazione della mia raccolta “Pomeriggi perduti” (uscita nel 2019 e andata subito a sbattere contro il muro del “lockdown” e delle successive restrizioni sociali), al vulcanico promotore culturale Gregorio Fiscina per tutto l’aiuto di questi mesi (e quindi alle testate giornalistiche, alle radio e alle tv da lui contattate che hanno diffuso la notizia dell’evento), al “padrone di casa” Franco Crispino, organizzatore da ben 15 anni della Rassegna Letteraria “Settembre Culturale al Castello” (quest’anno contrassegnata da una inedita “diramazione” poetica fino a un estivo mese di ottobre, intitolata proprio “Ottobre è… poesia”), che mi ha aperto le porte dell’Aula Consiliare “A. Di Filippo” del Comune di Agropoli

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“Spazio Lib(e)ro” a Eboli…

“Spazio Lib(e)ro”, rassegna letteraria in Eboli.

Sarò tra i lettori della presentazione del 30 ottobre…

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Tra gli ideatori e realizzatori dell’iniziativa, Vincenzo Pietropinto: nato a Eboli nel ’48 dove risiede. Laureato in Scienze Naturali e appassionato da sempre di cultura. Scrive poesie e racconti brevi e si occupa di teatro e canto. Ama la natura e la fotografia, coltiva molte passioni. Collabora con “Radio Francesco Web” (La voce della comunità di Santa Maria del Carmine e Oratorio di San Francesco in Eboli) conducendo il programma settimanale “I segreti dell’anima” dedicato a scrittori emergenti e artisti. Organizza il salotto culturale “Raffaele Pepe” in cui ospita vari personaggi, dalla letteratura alla scienza, fino alle attività sportive. Dal 2022 è coordinatore della rassegna “Spazio Lib(e)ro” in cui intervengono autori locali e regionali intervistati in varie location della città di Eboli. È in giuria e presidente di giuria in vari concorsi di poesia e narrativa.

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“Pomeriggi perduti”, presentazione ad Agropoli…

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Il prossimo 29 ottobre, alle 17:30, presenterò la mia raccolta “Pomeriggi perduti” ad Agropoli (Aula Consiliare “A. Di Filippo”), nell’ambito della XV rassegna letteraria “Settembre culturale al castello” curata e coordinata dal consigliere del Comune di Agropoli e delegato alla cultura Francesco Crispino

“Pomeriggi perduti” su Periodico Daily

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Ringrazio la giornalista Elena Canini per questa interessante, articolata e ben curata recensione/intervista alla mia raccolta “Pomeriggi perduti”, e l’e-magazine “Periodico Daily” per l’ospitalità…

“… Cosa le trasmette la poesia?

Quando leggo i “grandi” cerco di assaporare i loro versi e attraverso essi di riconoscere le esperienze esistenziali che li hanno direttamente o indirettamente influenzati. Ma più di ogni altra cosa, cerco di riconoscermi nel messaggio universale (quindi rivolto anche a me) che veicolano. Solo così la poesia “degli altri” diventa mia. La mia poetica, invece, come quella di ogni poeta, prende vita da un atto di “ricezione”: come antenne nel cielo, scriviamo ciò che percepiamo. Il trasmettere ad altri, il pubblicare, è una scelta secondaria che non deve mai prendere il sopravvento sulla sacralità della creazione…”

Per leggere l’intera recensione/intervista: QUI!

versione pdf dell’intervista: Intervista a Michele Nigro per “Periodico Daily”

“Music for YouTubers”, album di Andrea Michele Vincenti

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Il compositore e performer Andrea Michele Vincenti ha voluto dedicare un album intitolato “Music for YouTubers” a tutti gli youtubers, tra cui il sottoscritto, che in un modo o nell’altro hanno utilizzato in questi anni le sue musiche per accompagnare un video o un qualche prodotto artistico bisognoso di soundtrack… L’album è disponibile su:

YouTube

SoundCloud

Nello specifico, la traccia dedicata a me, e che molto mi rappresenta, è la #54

Grazie ad Andrea Michele Vincenti e… buon ascolto!

Prefazione a “Nessuno nasce pulito”, di Antonio Scarpone

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Prefazione a “Nessuno nasce pulito” di Michele Nigro

a cura di Antonio Scarpone

Leggendo l’opera di Michele Nigro, fin da subito si evince la sua ecletticità: dai temi trattati al modo in cui li tratta, nonché le poliedriche critiche che lancia. Come in ogni autore, si possono ritrovare degli elementi che lo fanno accostare ai grandi. Personalmente, forzando un po’ la ricerca, in alcuni passaggi ho ritrovato gli errori di sempre dell’uomo e la solitudine del mondo di Quasimodo e il Montale del “spesso il male di vivere ho incontrato”, nonché alcuni temi felliniani (la strada) ma anche il vagare dei gabbiani del Cardarelli. Tuttavia lo stile di Michele Nigro è unico, personalissimo, con chiari riferimenti alla sua variegata formazione, cosa che ne fa un autore completo. Padroneggia il linguaggio, alquanto ricercato, tanto che le sue poesie sono ricche di minuzie che creano nel lettore vere e proprie immagini. Ottime le costruzioni sintattiche (diverse dislocazioni), utilizza ossimori (prigionieri liberi, presente assente), scomoda l’antropologo Marc Augé e i suoi “non luoghi”. Mentre l’opera è pregnante di scienza e filosofia, la religione viene sfiorata, vorrebbe quasi accantonarla, ma il palese laicismo deve necessariamente confrontarsi con la filosofia e la religione. La sua opera è un viaggio sulle ali dell’incertezza, con continui attacchi al presente, un ciclico tornare indietro per la preoccupazione di aver vissuto male, o quantomeno di non aver vissuto fino in fondo la propria vita. Non c’è paura, però, né del buio né dell’avventura. Tutto nasce dalla perdita dei valori, traditi da un consumismo esistenziale, e per questo è critico sul mondo d’oggi, tanto da sentirsi quasi un estraneo in questa generazione liquida, dove gli uomini innalzano sepolcri mentre sono vivi, a differenza degli animali. La vita è vista come un continuum, di cui l’uomo è solo un brevissimo segmento, nel quale occorre cercare sé stessi, continuandosi a voltare indietro mentre immagina il futuro, e quasi dimentica (volutamente?) il presente: si affida ai messaggi in bottiglia e alla rete, sempre per andare oltre il moderno disordine esistenziale, per superare l’ostacolo. C’è un continuo orientarsi, quasi si fosse smarrito (la “selva oscura” di Dante?), per ritrovarsi: un voltare pagina con un tocco personale. Magari oniricamente ritrova fiducia e speranza. Passa, attraverso varchi spazio-temporali, dai rimedi della nonna ai probabili futuri, poiché questa è, giustamente, un’epoca di passaggio. Si è immersi nella natura con tutti i sensi, a coglierne l’insegnamento. Il passaggio è difficoltoso (un passo insicuro), andando alla ricerca di sé stesso (il vero spettacolo della vita interiore): a volte la solitudine ricercata serve! La suprema azione della poesia sul caos: è la poesia l’ancora di salvezza? C’è il rischio di ritrovarsi in un circolo vizioso e continuare così ad avere rimpianti per quello che non è stato. Dall’antica saggezza, grazie a un ponte, a dei gesti liberatori, si passa nel futuro, poiché tutto sembra essere rimandato ad altro tempo, in attesa che germoglino nuove speranze (disperata voglia di vivere). C’è quasi l’illusione di una nuova giovinezza. Se non si coglie l’attimo si perde l’ennesimo tramonto. Il sentimento è parallelo alla razionalità, non c’è frontiera se non nel cuore e nella mente, e il viaggio deve continuare senza il fardello di memorie da portare dietro, alla ricerca di una nuova memoria (senza tempo), quindi occorre essere pronti a ricominciare e non bisogna fermarsi, perché ripartire è fondamentale.

“Nessuno nasce pulito”, Michele Nigro. Ed. nugae 2.0 – 2016

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Ivano Mugnaini intervista Michele Nigro

a tu per tu

Ho avuto il piacere di rispondere alle domande del poeta, romanziere, saggista, critico letterario, traduttore Ivano Mugnaini per un’intervista pubblicata sia sul blog “Dedalus” che sul suo sito personale.

Segue uno stralcio, ma per leggere l’intera intervista: QUI!

“… Fai parte degli autori cosiddetti “puristi”, coloro che scrivono solo poesia o solo prosa, o ti dedichi a entrambe? In caso affermativo, come interagiscono in te queste due differenti forme espressive?

Mi piacciono le contaminazioni (termine non molto amato in questo periodo!), non riuscirei a essere un purista coerente. In passato mi sono cimentato nella scrittura di racconti, anche di genere fantascientifico, e di tanto in tanto, come se mi assegnassi da solo un esercizio, li ri-edito, li rimastico, perché credo che la riscrittura, il rivedere con occhi evoluti le proprie parole, sia molto più importante che sfornare spasmodicamente nuovi testi. Lo stesso vale anche in poesia, ecco perché credo, sì, nella pubblicazione delle raccolte, senza per questo esasperarne gli obiettivi finali: spesso poesie di differenti sillogi convergono in un nuovo progetto che le accomuna, che le trasforma riassegnandole, donando al lettore attento un nuovo approccio, un rinnovato punto di vista sullo stesso componimento collocato in un contesto diverso.

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Poeti e no

Alfred Kubin, Des Menschen Schicksal (The destiny of man), 1903.

Da quando la critica letteraria, quella austera che non concedeva il minimo spazio all’avanguardia e all’evoluzione poetica, diciamo così, s’è data, rintanandosi per nostra fortuna in qualche rigida e poco letta pubblicazione accademica, si assiste a un fenomeno piuttosto divertente e per certi versi intrigante per la periodicità con cui si manifesta e per l’omogeneità categoriale dei suoi iniziatori. Di tanto in tanto, sul web soprattutto, divenuto ormai luogo proficuo di conoscenza diretta dello scrittore e di costruttivo confronto letterario, appaiono “studi” critici sotto forma di agili post attraverso i quali i loro autori cristallizzano teorie su nuove poetiche affioranti e nuove correnti individuate nonostante il caos delle pubblicazioni, filtrano voci considerando solo alcuni rapidi frame, militano in maniera parziale (e incompleta per loro stessa ammissione), veicolano manifesti improbabili e non sottoscritti ufficialmente da nessuno, basati su impressioni stilisticamente e statisticamente irrilevanti, raggruppano – in base a parametri discutibili o a empatie effimere nate sull’onda goliardica di qualche festival della poesia, tra una birra e un reading  ̶  nomi di poeti che a loro dire rappresenterebbero le nuove leve letterarie, il nuovo sol dell’avvenire poetico, le speranze evoluzionistiche di un genere letterario così particolare come è quello poetico. Tutto molto incoraggiante e avventuroso.

Ma chi stabilisce cosa? Non tutto può essere letto, compreso, valorizzato, contestualizzato, è chiaro, e molti autori sono destinati  ̶  a volte anche giustamente  ̶  a restare nell’ombra per molto tempo o forse per sempre. Una domanda giusta da fare, tuttavia, potrebbe essere: proprio perché è impossibile tastare il polso poetico generale di un’epoca, è giusto e soprattutto è scientificamente onesto trarre conclusioni generalizzanti basandosi esclusivamente su un paniere di nomi a cui associamo alcune gradevoli letture che comunque non possono rappresentare l’intero andamento di un periodo storico? In base a quante e quali letture è possibile stabilire la linea evolutiva della poesia nel corso di una determinata epoca? Difficile da stabilire soprattutto se è in fieri, e quindi proprio perché difficile, alcuni articoli appaiono ancora più faziosi, superficiali, quando non del tutto inutili dal punto di vista critico, per non dire disonesti. Si tratta di isole oziose: come quella sorta dalle acque intorno al tema superfluo dell’omosessualità di Leopardi, e creata a tavolino per soddisfare i pruriti gender di chi utilizza la storia della letteratura pro domo sua. Lo stesso si può dire della maggior parte delle antologie-contenitori in circolazione: i loro curatori s’illudono di fare epoca, di deviare il corso della storia letteraria contemporanea, o forse sarebbe più corretto dire che illudono gli autori convocati, i quali vi partecipano sborsando denari e cullando il sogno di far parte di una corrente artistica nata intorno alla pubblicazione. Il mito dei manifesti e dei “gruppi” all’epoca dell’esposizione mediatica più fluida che la storia della comunicazione abbia mai conosciuto.

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“Dialoghi da bar”: libere conversazioni su libri & dintorni

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È nato un nuovo canale su YouTube, “Dialoghi da bar”: nel video di presentazione io e l’amico Francesco Innella spieghiamo qual è l’intento di questo progetto basato sull’immagine e sulla voce.

Per iscriverti al canale, clicca QUI!

“DIALOGHI DA BAR”

Libere conversazioni su libri & dintorni

Canale ideato e curato da Francesco Innella e Michele Nigro che, partendo da un libro letto o cogliendo l’occasione di un ospite invitato a parlare di determinati temi, tenteranno di affrontare “quasi a braccio” argomenti di varia natura senza la pretesa di essere esaustivi o culturalmente divulgativi, ma con la leggerezza tipica di chi ama incontrarsi in un bar per chiacchierare. I rumori di sottofondo, che accompagnano e sembrano contrastare i dialoghi, fanno parte della caotica vita quotidiana: la solitudine degli interlocutori – magistralmente rappresentata dal noto dipinto “Nighthawks” di Edward Hopper – è circondata dai suoni a volte disturbanti di un mondo distratto e forse, troppo spesso, disinteressato alla cultura.

immagine: “I nottambuli” (Nighthawks) dipinto di Edward Hopper (1942)

Video di presentazione su Instagram

L’Almanacco dello scrittore

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L’opera contiene i nominativi di oltre 500 scrittori italiani, con i loro generi letterari, la loro storia, la biografia, gli indirizzi email e molto altro. Un volume prezioso che sarà consegnato presso le Biblioteche comunali e su richiesta anche alle Case editrici.
All’interno della piattaforma digitale della Community Facebook TraLeRighe è possibile acquistarlo al prezzo scontato di € 9,50.
Per acquistare la tua copia clicca qui: https://www.nuuuuz.com/product-page/l-almanacco-dello-scrittore

Poesia senza mecenati

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Poesia senza mecenati

 

“… Clamori nel mondo moribondo…”

(Franco Battiato)

Esistono, forse da sempre, due tipi di poesia: c’è una poesia famosa, sostenuta e promossa dalle masse (anche da quelle che non l’hanno mai letta e non sanno nulla di poesia), che motiva i mecenati e attira i “fan”, acclamata e distribuita per inerzia, spinta più da clamori sociali e da partiti presi che da un’effettiva validità letteraria; una poesia cosiddetta “civile” – figlia anch’essa del “pensiero unico” applicato alla letteratura? -, incentivata dalle vicende personali dell’autore e dal presenzialismo che ne consegue, il cui testo passa in secondo piano perché il primo piano è occupato dalla figura del personaggio, dalla sua immagine eclatante che rappresenta la novità, lo scandalo, lo strappo alla normalità, il gap epocale, il politicamente corretto in cerca di consensi attraverso i versi di una poesia.

Molteplici i fattori che possono corroborare una poetica famosa: una diversità generica, un percorso di riassegnazione sessuale (transgenderismo), un handicap fisico o mentale, un diverso orientamento sessuale, un’ingiustizia sociale subita, una disabilità relazionale, un qualcosa che prima di assestarsi in ambito poetico sia in grado di circolare tra la gente per mezzo dell’informazione generalista. È il fatto in sé che lo richiede, non è il poeta che ricerca (almeno non inizialmente) un certo clamore mediatico. A passare, a bucare lo schermo poetico, è la mancata accettazione della diversità divenuta – ahinoi! – tema principale di una ricerca disoggettivizzata, attraverso il racconto poetico della discriminazione vissuta o del percorso psicofisico personale, e non la poesia. La poesia, quella vera, è stata già uccisa molto tempo prima della pubblicazione del libro famoso.

Il “successo poetico” che ne consegue è effimero, anche se quantitativamente consistente dal punto di vista editoriale; si tratta di un successo studiato a tavolino e fortemente voluto da potenti mecenati già affermati in ambito letterario, decisi a lanciare un nuovo “prodotto” in linea con i tempi: si potrebbe infatti parlare di instant poetry; è una poesia che ammira se stessa, è fine a se stessa e insegue se stessa, come nel simbolo dell’Uroboro o nel quadro intitolato “Noi, Vittorio Sgarbi” del pittore Rocco Normanno; una poesia buona per il divano della D’Urso o per la piazza de “I Fatti Vostri”, che non può occupare un tempo di senso sulle lunghe distanze ma che soddisfa l’esigenza del momento (del poeta e di altre persone che hanno vissuto un’esperienza simile o di lettori politicamente solidali ad essi), che segue la moda travestita da battaglia civile, descrivendo l’evento soggettivamente, senza donargli la necessaria universalità che trasforma una poesia in Poesia.

La poesia, è vero, nasce (anche) dall’esperienza esistenziale dell’autore ma di questa non ne dovrebbe mai diventare la schiava, almeno non apertamente, (così come non ne dovrebbero diventare schiavi i suoi lettori o il poeta stesso!), cercando sempre una rielaborazione più faticosa, spalmata nel tempo, resa impersonale e che non conduce a una comprensione facilitata delle istanze del poeta immediatamente riconoscibili nel verso o a un successo istantaneo ottenuto stimolando la “pancia” di un certo bacino di utenza.

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