
Continua a leggere “Edoardo Bennato e il “Peter Pan Rock ’n’ Roll tour””
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Che Guglielmo Scuotilancia mi perdoni!
Da “Amleto” di William Shakespeare
Atto terzo, scena I
per la Giornata mondiale del teatro 2021
#giornatamondialedelteatro2021
(ph M.Nigro©2021)
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Continua a leggere ““Amleto” di Guglielmo Scuotilancia per la Giornata Mondiale del Teatro 2021″
Il mio articolo “Commissari, preti e carabinieri in tv… e quell’Italia che non esiste” (già pubblicato su questo blog, qui) è stato riproposto su Pangea, rivista avventuriera di cultura e idee, “una delle migliori rassegne culturali in Italia”, curata dal giornalista, poeta, scrittore e critico letterario Davide Brullo e che da sempre pubblica articoli interessanti e culturalmente stimolanti.
Per leggere l’articolo: QUI!
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Il mio articolo “Joker, perché i supereroi non possono esistere” (già pubblicato su questo blog, qui, con il titolo “Joker è tutti noi”) è stato riproposto su Pangea, rivista avventuriera di cultura e idee, “una delle migliori rassegne culturali in Italia”, curata dal giornalista, poeta, scrittore e critico letterario Davide Brullo e che da sempre pubblica articoli interessanti e culturalmente stimolanti.
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Che cos’è la napoletanità che, a detta di qualcuno, Sergio Castellitto non avrebbe saputo riprodurre, insieme al regista De Angelis, nella nuova versione filmica di “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo andata in onda pochi giorni fa in televisione? È un cliché, un marchio di fabbrica, un mood antropologico che risponde a una genetica territoriale giustamente irriproducibile, un’atmosfera particolare che può essere ricreata solo da attori nati e cresciuti in determinate zone della Campania? Da campano non saprei dare una risposta univoca o forse ne potrei dare tante, perdendomi in un discorso lungo, retorico, nostalgico e quindi noioso. Eduardo è Eduardo: e questo è un dogma inconfutabile; così come Castellitto è Castellitto. Fermo restando che lo stesso Eduardo De Filippo ha messo in scena altre versioni teatrali della stessa opera che non mi hanno convinto, precedenti a quella che noi tutti ricordiamo e a cui siamo televisivamente affezionati e direi anche un po’ assuefatti, possiamo dire che “Natale in casa Cupiello” è ormai da tempo diventata opera universale; cosa s’intende per “universalità del teatro di Eduardo”? Che tutti possono metterlo in scena? No, significa che i contenuti umani, psicologici, filosofici, antropologici, culturali, addirittura quelli testuali, gergali e quindi teatrali, non appartengono più alla sola zona geografica che ha fornito l’imprinting decisivo all’opera stessa, ma al mondo intero; a tutto il mondo teatrale indipendentemente dalla formazione e dall’origine dell’interprete. Interprete e non imitatore. Non abbiamo bisogno di emulazioni dell’universo domestico cupiellano — caso mai fatte male; per questo ci sono delle ottime compagnie teatrali parrocchiali senza pretese con cui trascorrere ore piacevoli e divertenti —, bensì di interpreti universali che sappiano fare proprio, re-interpretandolo appunto, il messaggio drammatico di quest’opera. E sì perché “Natale in casa Cupiello” è un dramma travestito da commedia: la condizione dell’uomo che non riesce più a controllare la propria esistenza, o forse non è mai stato in grado di controllare, non può che essere una condizione drammatica interrotta da sprazzi di comicità spontanea recuperati grazie a un istinto primordiale che salva esistenze. E di questo spontaneismo comico i napoletani sono maestri, ma non gli unici sul mercato: ogni dialetto, ogni area popolare, indipendentemente dalla latitudine e dalla cultura predominante, possiede una propria zona franca, un colorito locale libero dalle pastoie del “bel parlato”, in cui giocano altre logiche linguistiche, altri schemi di pensiero più rapidi e spesso più saggi di certi sillogismi educati, condizionati dall’ufficialità culturale. Questi sprazzi comici, come grimaldelli dialettici tipici nel teatro eduardiano in cui il dialetto non prevale mai sulla “lingua nazionale” (da qui un altro punto di forza della sua universalità), dilatano le piccole ferite del quotidiano facendo colare in esse l’oro riparatore e tragico del dramma napoletan-shakespeariano: Luca Cupiello subisce la propria esistenza e quella degli altri, dei suoi cari; non pilota i destini di chi ama perché riesce a malapena a guidare sé stesso all’interno della propria dimora esistenziale; egli è ospite in casa propria, è tenuto all’oscuro delle trame, dei risvolti scomodi, è “figlio di famiglia”. Alla domanda su cosa stia accadendo si sente rispondere imperterritamente con un “niente… niente!”. La verità non si può conoscere; la comunicazione domestica è telegrafica, veloce e incomprensibile: gli interessati è come se volessero proteggere quel genitore-figlio dal dolore delle verità che attraversano il tessuto familiare, lasciando che si trastulli col suo passatempo preferito, il presepe, ultimo baluardo-rifugio di una genuinità assediata dalla realtà. Dirà lo stesso De Filippo, in un’altra commedia, per mezzo di un altro suo personaggio: A furia ‘e dicere “è cosa ‘e niente!” siamo diventati cos ‘e nient… È l’annullamento della personalità di un essere umano attraverso la finta semplificazione dei problemi o il loro oscuramento in nome di un dannoso senso di protezione. Al protagonista non gli resta che la difesa orgogliosa del brodo vegetale contro l’arroganza del brodo di gallina.
[post a basso tasso di spoileraggio; tuttavia, per una migliore comprensione dello stesso, se ne consiglia la lettura dopo aver visto il film, n.d.b.]
Joker è tutti noi
I supereroi non esistono: non per le cose fantastiche che fanno e per i superpoteri improbabili che posseggono. Non possono esistere perché sono il frutto irreale di ciò che vorremmo essere, la condensazione in un’unica persona creata a tavolino del meglio dell’umanità, l’epicizzazione e la razionalizzazione dell’immagine di noi che vorremmo dare al mondo, l’idealizzazione di quella parte nobile della nostra anima che ancora riusciamo a considerare salva. Salva dal punto di vista della visione comune di quello che è il bene e il male: un limite che le sovrastrutture imposte dall’educazione e dalle regole di una parte della società che cerca di isolarsi dal marcio imperante, cercano di mantenere vivo. Il bene comincia, guarda caso, dove iniziano gli interessi dei pochi: il potere difende, grazie alle leggi e alle forze dell’ordine create per eseguirle, la propria stabilità, ma taglia i fondi che servono a proteggere e curare i più deboli. Il “reddito di cittadinanza della salute mentale” è poca cosa se confrontato con i mirabolanti progetti dei tanti imprenditori pronti a scendere in campo e ad impegnarsi in politica in prima persona.
C’hanno sempre fatto credere che i “cattivi” fossero i necessari alter ego dei protagonisti buoni, la “spalla” anti-idealistica per giustificare il bisogno cieco di servire il Bene, quello supremo, alto, così alto nei cieli da dimenticare, più in basso, lì dove viviamo noi, le cause del Male, sempre le stesse, apparentemente irrisolvibili; ce l’hanno fatto credere (è successo anche con certe pagine di storia scritte dai vincitori e assunte senza fiatare come farmaci alle scuole primarie) e invece è esattamente il contrario: ma ci accorgiamo di questa differenziazione forzata solo quando l’arte, il cinema come nel caso del film di Todd Phillips intitolato “Joker”, pellicola dedicata alla lenta evoluzione (per i meno audaci ‘involuzione’) psichiatrica del famigerato anti-eroe creato dalla DC Comics e magistralmente interpretato dal notevole Joaquin Phoenix, riesce a trovare il coraggio di essere politically incorrect e soprattutto a distaccarsi dalle regole non scritte dei cinecomics riguardanti il rispetto dei ruoli, della caratterizzazione dei personaggi e da altre catene narrative e cronologiche.
Nonostante la nostra speranzosa (a volte ingenua) reazione uguale e contraria, come c’insegna la fisica, nonostante “la risposta” che tentiamo di dare alla vita, alla fine non siamo nient’altro che il maledetto risultato dell’azione di forze esterne esercitate in maniera costante sul nostro corpo e sulla nostra mente (con buona pace del corredo genetico vincente di cui pochi fortunati sarebbero provvisti): il diverso, non per forza dal punto di vista mentale o sessuale – si può essere diversi in tantissimi altri, più o meno impercettibili, modi (lavoro assente o tipologia dello stesso quando c’è, disponibilità economica, fede religiosa, cultura etnica, lingua, gusti sportivi o assenza di gusti, fortuna con le donne o con gli uomini, modo di vestire, se vivi ancora con i tuoi, disabilità, capacità comunicative,… devo continuare?) – subisce questa pressione in maniera incidentalmente più dannosa. La sua congenita debolezza, i casi fortuiti e bizzarri della vita, la mancanza di quella che certi ricchi e fortunati radical chic travestiti da democratici chiamano – abusando del termine a fini propagandistici per mettere in mostra un paese vincente che in realtà non esiste – resilienza, rendono il diverso più esposto alle “intemperie” del vivere sociale, ai suoi repentini e poco gentili cambi di rotta: all’inizio della sventura a prevalere è ancora la gentilezza, il lathe biosas (“vivi nascosto”) di epicureana memoria che entra in conflitto con l’esigenza di far sapere al mondo che esisti (il from zero to hero dei terroristi radicalizzati, p.e.), il rifiuto delle armi quale mezzo non solo per difendersi ma anche per imporsi e pareggiare i conti, la caparbietà moraleggiante a non risolvere i problemi della vita adoperando la violenza, perché così c’hanno insegnato, seguendo la linea gialla tracciata sul pavimento che porta verso la tomba.
Maria Rosaria Teni
rivista di letteratura
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a cura di Alfredo Rienzi
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
Rivista culturale on line
occhi aperti
Una libreria per immagini
"Mi lasciai dove avrei avuto tempo per pensare e attesi il fiato grosso del maestrale"
Quando scrivo dimentico che esisto, ma ricordo chi sono.
International Poetry Journal
Rivista Del Possibile
Poesia, scrittura, musica e arte digitale di Sonia Caporossi
"La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca"
Poesie, racconti, verità, fantasie, ma soprattutto l'amore.
"Voi, seduti nei comodi uffici abbuffati di tasse e di grasse imposte, diventerete un giorno cibo per i vermi e nessuno s'accorgerà della vostra mancanza. Scarti dell'Universo" cit. I.T.Kostka "Trittico sul cibo" (Quadernetti poetici 2017)
la bellezza non è che una promessa di felicità
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Poesie, disegni, fotografie, racconti, pensieri ed altre amenità di Carlo Becattini. Tutti i diritti sono riservati.
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