Patti

patti-smith-1650662428

La provincia è un vestito ristretto, non entra più
dopo sciagurati lavaggi in calmi vortici,
non c’è spazio invidiato che per pochi viscidi ego

muoviti verso l’estinta New York di Patti Smith
lì forse canterai al microfono di chi ti somiglia,
la poetessa del rock è in cerca di parole
nuove ma vissute, è bastato il silenzio di un lutto
[a trovarle

rimandi ancora la partenza per bagagli complicati,
vecchiaia e conti alla rovescia fin dall’embrione
vite concentrate in pochi disperati mesi,

conservi telefoni di chi è già morto prima del gran finale
foto nella scatola che mai più riaprirai,
collezioni rate di fiducia per giorni canuti che non vivrai.

Intervista a Francesco Innella sulla raccolta “Kimera – Poesie dell’Io”

versione pdf: Intervista a Francesco Innella sulla raccolta “Kimera – Poesie dell’Io”

IMG_20230416_082255

Intervista a Francesco Innella sulla raccolta “Kimera – Poesie dell’Io”

a cura di Michele Nigro

 

Michele Nigro. Perché il titolo “Kimera – Poesie dell’Io”?

Francesco Innella. Prima di scrivere questa raccolta ho pensato di trovare il filo conduttore delle mie poesie e sono arrivato alla conclusione che il mio poetare è stato sempre una ricerca dell’Io. Nella mia poesia ho sempre investigato il ruolo del poeta nel vivere quotidiano. In base a questo principio ho selezionato le poesie contenute in Kimera, che è una aporia: nell’antica filosofia greca con questo termine si indicava l’impossibilità di dare una risposta precisa a un problema, poiché ci si trovava di fronte a due soluzioni che, per quanto opposte, sembravano entrambe valide, ossia – nel nostro caso specifico  ̶  senza soluzione dei conflitti dell’Io.

Che cos’è l’ego per l’uomo-poeta Innella? Bisogna conoscerlo per domarlo, educarlo o semplicemente assecondarlo?

Sulla mia concezione dell’ego ti rispondo con un aforisma di Cioran: “Avremmo dovuto essere dispensati dal trascinare un corpo. Bastava il fardello dell’io.” Ma che cosa è l’ego? È la lotta per mantenere un equilibrio precario tra noi e gli altri. È, in effetti, un conflitto. Conoscerlo è impossibile perché tende sempre a cambiare negli atteggiamenti quotidiani. Quindi non si può domare una cosa che muta. Dobbiamo rassegnarci, e ritornando ancora a Cioran: “Siamo costretti all’io, al veleno dell’ego”.

La tua ricerca sull’Io ha origini “antiche”. Non è la prima volta che con la tua poetica esplori e cerchi di ridimensionare l’ipertrofia dell’Io (anche adottando uno stile sobrio per dare l’esempio!), però scegli comunque la parola, strumento di quell’”effimera verbosità” che citi nella poesia Egoità, per comunicare i risultati della tua ricerca a noi lettori. Può la poesia diventare un valido esercizio di auto-eclissamento?

No, assolutamente: oggi si scrive tanto. Il fenomeno è ben evidente sulla rete perché c’è un grande bisogno di “glorificare” l’ego. Si può raggiungere una distanza dall’ego con la poesia impersonale  ̶  vedi l’haiku  ̶  ma nulla di più.

La Natura ci mette a tacere con i suoi fenomeni, ci rende umili. Perché in seguito dimentichiamo la nostra caducità e ritorniamo a essere arroganti?

Secondo me è tutta colpa dell’antropocentrismo. Concezione secondo cui tutto ciò che è nell’universo è stato creato per l’uomo e per i suoi bisogni, per cui l’uomo si viene a trovare al centro dell’universo e può considerarsi misura di tutte le cose.

La necessità dell’oblio mentre siamo ancora vivi. Perché questo bisogno di annientarsi, di eclissarsi, di perdersi, ritorna spesso nei tuoi versi?

La quiete assoluta è del mondo inorganico, di cui appunto la vita è alterazione. Allora in me prende corpo il principio del nirvana, ossia il ritorno alla quiete, quello che è in fondo il messaggio buddista, ma escludo l’autodistruzione. Il suicidio, secondo Arthur Schopenhauer, è un modo sbagliato di rispondere alle sofferenze della vita.

In Lenimento parli di “antiche presenze” che mormorano: sono ricordi personali dal passato o si tratta di catene interiori tipiche della condizione umana e quindi innate?

Sì, da una parte ci sono i ricordi personali che mi hanno segnato in maniera molto rilevante. Luca Canali, nell’antologia “I poeti della ginestra”, mi descrive come una persona che ha l’animo vulnerato per l’assedio dei suoi simili; dall’altra parte non riesco a superare le catene interiori tipiche della condizione umana, e tutte e due queste situazioni sono evidenti nel mio poetare; mi sento toccato da un’angoscia che ha origini antiche, che ho sempre avvertito e che non si dilegua ma continua nel tempo a sussistere; è una ferita interiore che non guarisce.

Il dolore è solo un’esperienza che causa tristezza o può rivelarsi fonte di energie preziose inutilizzate e da rimettere in gioco per costruire il bene?

Oggi si usa molto la parola resilienza che in psicologia indica la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Io credo che il dolore favorisca la crescita: Aldo Carotenuto, psicoanalista junghiano, ha sempre parlato della ferita interiore come di una feritoia dalla quale osservare il dolore e iniziare il suo superamento e trasformarlo in bene dal momento in cui si è giunti alla consapevolezza della propria dolorosa  condizione.

In La luna “uomini in torri d’avorio / sognano illusioni”; forse sono gli stessi esseri umani che come noi percorrono “le strade del nulla” citate nella poesia I gatti. Quali sono queste illusioni e cosa potrebbe contribuire alla nostra liberazione da esse?

Carlo Michelstaedter sostiene che ognuno di noi non riesce a uscire dal cerchio illusorio della vita, ci rinchiudiamo nelle nostre torri d’avorio e scriviamo poesie, siamo noi stessi che coltiviamo la poesia come rimedio al vuoto: io sono poeta perché ho sperimentato il nulla e le sue numerose strade. Difficile definire le illusioni, sono molteplici: ogni essere umano ha le proprie ed è difficile liberarsi da esse; forse, come dice Krishnamurti, dovremmo avere il coraggio di eliminarle e avvertire il vuoto che si nasconde dietro di loro, ma poi si ha il coraggio di affrontare il vuoto? O ci spaventiamo e ci facciamo catturare dalle illusioni che permettono a tutti noi di vivere?

“Il canto si spegne / tra i fatui bagliori / di una esistenza mancata” (Il camino). Quale esistenza abbiamo già mancato o stiamo per mancare? 

Tutta la nostra esistenza è una mancanza: se non lo fosse, non avremmo voglia di completarci attraverso la scrittura, o altre esperienze più significative; quando si sperimenta la privazione e si sente il bisogno di esplorare, di tuffarsi nell’indefinito, allora la mancanza viene assorbita dal fare e forse in quel momento si può toccare l’essere, o sfiorarlo almeno.

“… nel mistico silenzio / l’ego si appanna / e tace” (La Via interiore). Come può l’uomo contemporaneo tornare a ricercare, ammesso che voglia ricercarlo, questo mistico silenzio?

L’uomo contemporaneo, tranne poche eccezioni, è assorbito dal frastuono della vita e ascolta i nuovi imbonitori che lo distraggono dalla cosa più essenziale: la conoscenza di sé; quindi parlare di mistico silenzio è una cosa ardua per l’uomo di oggi, se non impossibile. Io ho raggiunto il silenzio in poche occasioni, generalmente dopo la recitazione di un mantra, ma ti posso assicurare che è una cosa difficile e rara da realizzare, e ti dico questo perché non sono un mistico, ma comunque ci ho provato. E l’esperienza del silenzio interiore è totalizzante, ti senti assorbito nel Tutto.

Continua a leggere “Intervista a Francesco Innella sulla raccolta “Kimera – Poesie dell’Io””

Nota di Francesco Innella a “Poesie sospese, silloge seconda” di Michele Nigro

versione pdf: Nota a “Poesie sospese, silloge seconda – Di Morte e di Rinascite” di Michele Nigro

Poesie sospese - silloge seconda cop. jpeg

Il dolore che colgo in questi versi, non si acquieta nei meandri dell’esistenza vissuta dal poeta, ma si estende in “sprazzi di estranea gioia / da tavolini di perse gioventù”. E il dolore si riacutizza nel ricordo di una vita, quella della madre ormai lontana, che suscita nostalgia. “Siamo fi(g)li spezzati, / ancora un altro tramonto / senza i suoni di casa / le litanie serali / i rituali in cucina.” E anche il ricordo si appanna e si traveste di malinconia e allo stesso tempo di rabbia: “Quando torni al paesello / ridiventi selvatica e nubile / come una liberta liberata / o uno schiavo raggiunto / dal colpo di vindicta del padrone / sul capo di nuove speranze”; ma Nigro vuole rinascere da questo dolore: “Ho confidato a un’impiegata del reale / di avere sete di luce quest’anno / di volere primavera addosso, / c’è un ghiaccio alle ossa da sciogliere / un odore di candele da disperdere”. Un voler in ogni caso esorcizzare l’angoscia, che tanto lo ha addolorato pur conservando il caro ricordo della madre: “due punti luminosi, occhi distanti tra loro / muti, fissi come nascita e morte / e noi sotto a sperare ancora nelle stelle.” 

Francesco Innella

versione pdf: Nota a “Poesie sospese, silloge seconda – Di Morte e di Rinascite” di Michele Nigro

L’autismo e la “società dello scarto”

articolo “versione estesa” in pdf: L’autismo e la “società dello scarto”

foto articolo in pdf: L’autismo e la “società dello scarto”

anche su: “la Città” on line

L'autismo e la società dello scarto jpeg

Nella foto, il mio articolo intitolato “L’autismo e la società dello scarto” pubblicato su “la Città” (quotidiano di Salerno e provincia) del 14 aprile 2023; a seguire la “versione estesa” dello stesso che per ovvi motivi di spazi redazionali è apparso in “versione sintetica” sul quotidiano.

L’autismo e la “società dello scarto”

Papa Francesco, durante i suoi discorsi, ritorna spesso e volentieri sul tema, oggi più che mai attuale, dei cosiddetti “scartati”. Ci ricorda costantemente che viviamo in una “società dello scarto” che esclude i diversi, gli ultimi, i deboli; molteplici sono le cause che inducono ad assecondare la “cultura dello scarto”: sociali, economiche, culturali, occupazionali, sanitarie, generazionali…

Molti di noi hanno un concetto alquanto “esotico” dello scartato: pensiamo quasi subito ai lebbrosi, ai paria in India, al clochard sotto casa, al povero in fila per ricevere un pasto o un letto in un dormitorio pubblico… Accanto a queste tipologie “macroscopiche” di ultimi, rese ancora più evidenti a livello planetario in questi anni caratterizzati dalla pandemia e da una guerra in corso, e dalla crisi economica che ne è conseguita, vi è una categoria di scartati più nascosta, impercettibile, difficilmente catalogabile. Sono gli “scartati d’oro”: appartengono a famiglie benestanti, hanno genitori che svolgono una professione, posseggono mezzi per poter vivere quella che generalmente viene definita “una vita normale”, ma osservandoli più da vicino ci accorgiamo che di fatto sono ugualmente esclusi dalla società.

Recentemente ho avuto modo di incrociare la storia di uno di questi “scartati d’oro”: E. S., bella ragazza ventenne della provincia di Salerno, residente a Battipaglia ma domiciliata a Buccino per motivi di famiglia; due genitori con un buon stipendio, una bella casa in cui vivere, vacanze assicurate, vestiti alla moda… e una diagnosi di spettro autistico invalidante al 100%.

Dopo 5 anni di regolare frequentazione presso un istituto superiore di Buccino, accompagnata nel suo percorso scolastico da un docente specializzato – il cosiddetto “insegnante di sostegno” –, E. S. si è visto negato il tanto agognato diploma, sostituito da un non ben precisato “attestato” il cui valore, al fine di un eventuale proseguimento degli studi universitari specifici per la sua categoria, è pari a zero.

Continua a leggere “L’autismo e la “società dello scarto””

Poesie sospese, silloge seconda: “Di morte e di rinascite”

“… Questa seconda silloge, sottotitolata “Di morte e di rinascite”, è divisa in sei tempi all’apparenza slegati, sei momenti di graduale passaggio dalla sconfitta della fine alla tenace possibilità di una risalita imparando nuove strategie dal dolore, preservando il ricordo degli estinti, coltivando la speranza nell’esserci ancora, aspettando tiepide primavere.” (dalla Premessa)

La vita si celebra con altra vita, non con le parole.
Ma una vita, senza le parole, non sa di essere celebrata.

Per leggere, clicca QUI: Poesie sospese – silloge seconda

Strade diverse

scout00.jpg__1800x1000_q85_crop-1_subsampling-2_upscale-1

Da tempo è finito il tempo,
– cari personaggi estinti! –
dei canti d’addio intorno al feretro
come un fuoco di carne antica
e di amicizie infartuate al passato,

vi ritrovate in tarde riunioni di lacrime luttuose
più per gli anni trascurati e imbiancati
dal non chiedere di noi oltre il sembrare,

degli aneddoti ormai riti noiosi, stantii
simili a pane chiuso in ridicole galere,
non più nutriti dal fresco presente.

Eppure risuona ancora la valle di tende
vicina al fiume dei verdi cammini
del saluto notturno sussurrato a lune piene
tenendoci per mano in preghiera
anticipo sui funerali dell’autunno,

risplende dei visi roventi di brace e canzoni
danzando in cerchi già imperfetti alla vita,
delle buone intenzioni su lunghe distanze
appassite sotto un sole distratto e cattivo.

Prospettive

b-n
Siamo la generazione autodidatta
degli incompiuti programmi scolastici:
non abbiamo più saputo – non c’era tempo! –
se Renzo e Lucia alla fine s’incontrarono
se la seconda guerra mondiale è finita (e chi ha vinto?)
se sulla tavola periodica hanno aggiunto anche il vino
se Dante poi arrivò in Paradiso o tornò indietro
se seno e coseno si sono dati al cinema per adulti
se i principi della termodinamica sono rimasti in tre per principio
se è la Terra a girare intorno al Sole oppure…
se l’impero romano è caduto sul morbido
se il latino ha declinato l’invito della vita
se Cartesio ha smesso di dubitare davanti a una pinta
se, non solo in disegno, avevamo bisogno di una “prospettiva”.
(ph M.Nigro©2018)

Le case sono guardiani

il corridoio

Le case sono guardiani
di aliti impermanenti,
testimoni muti e fedeli
come i vuoti corridoi di Scola
le sue famiglie e i passaggi
di generazione in estinzione,

lì sopravvivono antiche passioni
per dirsi ancora vivi negli anni
e foto che non rispondono
al matto saluto di ritorno da fughe.

Vegliate, anime non liberate!
sui rimorsi per uno stolto esistere
sulle stanze silenti di vite passate
sul ricordo di voci, le vostre, che non tornano
sul nostro andare sconsolato e testardo.

(immagine tratta dal film “La famiglia” di Ettore Scola – 1987)

Sete di luce

The dark side of the walk...

Ho confidato a un’impiegata del reale
di avere sete di luce quest’anno
di volere primavera addosso,
c’è un ghiaccio alle ossa da sciogliere
un odore di candele da disperdere.

Nel frattempo Venere e Giove, in prima serata
danno repliche di dio, gratis
nel cielo terso dell’attesa

due punti luminosi, occhi distanti tra loro
muti, fissi come nascita e morte
e noi sotto a sperare ancora nelle stelle.

(ph M.Nigro©2023; titolo: “The dark side of the walk”)

Dite il mio nome

b-n

Siamo fi(g)li spezzati,
ancora un altro tramonto
senza i suoni di casa
le litanie serali
i rituali in cucina.

Quando non c’era nulla da comprare
per quale motivo c’incrociavamo
tra le strade della città invernale?

Qualcuno dica il mio nome
prima che il buio prevalga!,
qualcuno sciolga quest’assurdo incantesimo
battendo le mani al ritmo di respiri assenti

e all’alba riapparirò
nel corpo di sempre.

(ph M.Nigro©2023)

Vendetta

quadro di He An

Quando torni al paesello
ridiventi selvatica e nubile
come una liberta liberata
o uno schiavo raggiunto
dal colpo di vindicta del padrone
sul capo di nuove speranze.

Non lasciarti giudicare dal passato
dai passanti,
sii presente e sii futuro
a te stessa, agli ultimi atti di fede
alla penombra del dolore che sveglia
maestro di vita in punta di morte.

Ti ho sfiorata, indecente e cocciuta
a un poetry slam di provincia,
ti allenavi a rinate energie
sapevi di sbadigli e vocali,

da quel piccolo teatro di quartiere
ti ascoltava un mondo ormai finito.

(immagine: quadro di He An)

L’età dell’ironia

328679413_2814192902048511_6166739092878205441_n

Naftaline evaporano sotto forma d’insetti al naso,
il sorriso di una ritrovata donna, la ricerca della felicità
un libro già masticato da troppi inverni editati
mandarlo al macero visivo di lettori distratti,

farine di grilli per saltare la vecchiaia
altro che polvere di stelle da favole illuse!
Abbiamo avuto mille occasioni per sparire
ma insiste il dito opponibile sotto la lampada di Ritsos
lasciare almeno un verso animale,
una pensione di sincere intenzioni, un poetico rutto
nella notte indigesta delle parole in guerra.

(ph M.Nigro©2023; titolo: “Santo per caso!”)

La forza che non ricordi

L’età verde, per sua natura
conserva testarde speranze,
anche nel cadere più rotto
mai del tutto si sbuccia l’anima
e il suo ideale vive di rendita,

non latita l’abbraccio di un progetto
umano, divino, casuale ispirazione.

Sguarniti dell’essenza, prima del tramonto
le mani graffiate guardiamo attoniti
nel rialzarci sì, ma senza crederci,

date una nuova ragione per andare
all’uomo orfano dei passi di ieri,
quell’incosciente forza
nel cominciare viaggi cosmici
perché un faro muto l’attendeva
nell’oscurità del suo vivo ritorno.

Non mancò il buio
negli anni dell’esilio,

ti scrivi con la biro
sulla punta delle dita di rughe
per sentirti giovane come a scuola
ancora una volta,
all’inizio di un’altra lezione.

“Desiderata” di Max Ehrmann (1927)

“Desiderata” di Max Ehrmann (1927)

“Passa tranquillamente tra il rumore e la fretta, e ricorda quanta pace può esserci nel silenzio. Finché è possibile, senza doverti abbassare, sii in buoni rapporti con tutte le persone. Di’ la verità con calma e chiarezza; e ascolta gli altri, anche i noiosi e gli ignoranti; anche loro hanno una storia da raccontare. Evita le persone volgari e aggressive; esse opprimono lo spirito. Se ti paragoni agli altri, corri il rischio di far crescere in te orgoglio e acredine, perché sempre ci saranno persone più in basso o più in alto di te. Gioisci dei tuoi risultati così come dei tuoi progetti. Conserva l’interesse per il tuo lavoro, per quanto umile; è ciò che realmente possiedi per cambiare le sorti del tempo. Sii prudente nei tuoi affari, perché il mondo è pieno di tranelli. Ma ciò non accechi la tua capacità di distinguere la virtù; molte persone lottano per grandi ideali, e dovunque la vita è piena di eroismo. Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti, e neppure sii cinico riguardo all’amore; poiché a dispetto di tutte le aridità e disillusioni esso è perenne come l’erba. Accetta benevolmente gli ammaestramenti che derivano dall’età, lasciando con un sorriso sereno le cose della giovinezza. Coltiva la forza dello spirito per difenderti contro l’improvvisa sfortuna, ma non tormentarti con l’immaginazione. Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine. Al di là di una disciplina morale, sii tranquillo con te stesso. Tu sei un figlio dell’universo, non meno degli alberi e delle stelle; tu hai il diritto di essere qui. E che ti sia chiaro o no, non v’è dubbio che l’universo ti si stia schiudendo come dovrebbe. Perciò sii in pace con Dio, comunque tu Lo concepisca, e qualunque siano le tue lotte e le tue aspirazioni, conserva la pace con la tua anima pur nella rumorosa confusione della vita. Con tutti i suoi inganni, i lavori ingrati e i sogni infranti, è ancora un mondo stupendo. Fai attenzione. Cerca di essere felice.”

Lettore: Michele Nigro

Continua a leggere ““Desiderata” di Max Ehrmann (1927)”