Federica Gallotta su “Pomeriggi perduti”

shockwave

A distanza di più di un anno dall’uscita della mia raccolta “Pomeriggi perduti”, la recensione sulla rivista Shockwave Magazine a firma della poetessa Federica Gallotta si attesta immediatamente tra quelle più belle, interessanti e “sentite” lette finora… In un mondo editoriale svenduto e in crisi da anni, e in quello “poetico”, in coma farmacologico, costituito da “personaggetti” dal successo incomprensibile, troppo concentrati a guardarsi l’ombelico o a difendere un territorio nato arido, marcato con urine versificanti, le recensioni libere non affette da “scambismo di favori” sono diventate merce rarissima e quindi preziosa; da valorizzare e conservare gelosamente.

<<… Il verbo ritornare percorre l’intera raccolta: è verbo cardine, che ci segnala un tema strettamente legato a quello del tempo: la ciclicità della vita. La vita è un ciclo in cui tutto passa e ritorna. Non esattamente uguale a prima ma seguendo il modello logico della sintassi: muta la superficie ma lo schema profondo resta immutato. Torneranno le stagioni (non quella precisa estate, non quel preciso temporale…): “Prima di partire / in avide dispense / metto da parte / le cose belle di sempre, / per gli inverni / che non tarderanno” (Le cose belle di sempre (La dispensa), pagg. 25-26); “Alla vita ormai persa / che scorre nel mare calmo / della morte che accoglie, / sperando di ritornare / giovane umidità / e nuvole / e di nuovo pioggia / tra i vivi di domani” (Acqua di ritorno, pag. 30)…>>

Per leggere la recensione di Federica Gallotta: QUI!

Per acquistare “Pomeriggi perduti”: QUI!

Eremo

[…] Nostalgia dei rumori,
richiami di strada e di futuro,
riverberi di lontane feste
e di amori abortiti
raggiungono irriverenti
la cella buia. […]

(tratta da “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

N I G R I C A N T E

Lontano da affetti e caos

ipotizzava distacchi e fughe.

I monti scalati del priore

la salma di fratello Balsamo

portata a spalla

verso l’eterno vespro

gli immensi corridoi

vuoti di vocazione

le umide grotte di preghiera

i silenzi masticati tra letture sacre

e le sublimi elevazioni latine

anticipando albe.

Prove di vita.

Aveva cercato

di essere molte cose

in quegli anni.

Nostalgia dei rumori,

richiami di strada e di futuro,

riverberi di lontane feste

e di amori abortiti

raggiungono irriverenti

la cella buia.

Era solo

un effimero bisogno

di silenzio.

View original post

Preghiera quasi laica del camminatore

Tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito” (ed. nugae 2.0 – 2016)

IMG_20200721_195945

Ph M. Nigro©2020

N I G R I C A N T E

DSCI0153

Osservatore supremo del debole passo umano

benedici con acqua piovana

la gentile strada posta dinanzi a me,

quella che mi accingo a percorrere per il gusto

di non raggiungere nessun traguardo.

Regalami gli spazi infiniti e i colori della natura

la varietà degli esseri viventi

il suono del vento tra le foglie

e la sua carezza sulla pelle scoperta

l’odore del rosmarino, della menta, delle ginestre,

del fieno, dell’erba e del letame

il sapore delle more mature e del sudore.

Concedi ai viandanti la gioia del silenzio

per riflettere sulla bellezza dell’esserci

e della voce lontana di un contadino tra i campi,

alla sagoma di giovane donna apparsa sul crinale della collina

la forza di insegnare al suo piccolo uomo

le prime regole di vita fuori dall’uscio.

Feroci cani

fedeli al massaro che vi nutre senza amore

per rendervi simili all’uomo e diffidenti di mestiere

abbaiate puntuali e…

View original post 179 altre parole

Beat: beati o battuti? (1967 – 2007)

Un mio vecchio editoriale…

N I G R I C A N T E

<<… Il 40° anniversario della Summer of love del 1967 – a San Fran­cisco – è, in realtà, solo un pretesto utilizzato da noi per parlare d’altro: i fermenti culturali beat erano già cominciati da un bel po’ di tempo. Dalla fine della seconda guerra mondiale (affondando le lunghe radici in Walt Whitman, William Blake, Henry David Thoreau, Edgar Allan Poe, Aldous Hu­xley…) fino alla metà degli anni 60, furono realizzate le pre­messe da cui scaturirono gli eventi successivi, quelli – tanto per intenderci – che culminarono nel “mitico” e cinematografico 1968, e che ormai fa parte prepotentemente dell’imma­ginario collettivo (riassunto nel famigerato e riduttivo “sesso, droga e rock’n’roll”) solo grazie ai luoghi comuni diffusi nel mondo dall’industria filmica di Hollywood e ad alcune noti­zie di cronaca ormai passate alla Storia.

Sulla beat generation, alla quale appartenne un gruppo ristret­to ma combattivo di scrittori e poeti (rappresentarono…

View original post 428 altre parole

L’abitudine di andare

Tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito” (ed. nugae 2.0 – 2016)

N I G R I C A N T E

10411723_10204873817277216_612851339108943631_n

Quando il viaggio diventa gesto naturale

leggera è la fatica del tragitto,

con un tenue bagaglio nell’anima

attraversi umanità e umori geografici.

Testimone delicato

in sintonia perfetta

con il ritmo del mondo.

Come acqua solcata

da vocazione al movimento

non ti si addice più

la tranquillità dei porti.

View original post

Epitaffio

Tratta dalla raccolta “Pomeriggi perduti” (ed. Kolibris, 2019)

N I G R I C A N T E


a Edgar Lee Masters

Herman Coluccio

Avrebbe voluto che qualcuno

un giorno

avesse posto una piccola targa di legno

(non davanti casa, di marmo, come per i grandi)

sul balcone della cucina bucolica

insaporita dagli odori del tempo

nella sua dimora di Barjeanville

con su inciso:

“Qui Herman Coluccio,

seduto in quest’angolo

del West Virginia

guardando le case

dei vivi, le cose dei morti

e la campagna dei padri

in ogni stagione voluta da Dio,

ha forse vissuto

le ore più serene

(non diciamo felici)

della sua apparente-

mente

inutile esistenza

in compagnia delle fredde stelle

e di un sigaro infinito

fumante parole.”

C’è miglior epitaffio

per un poeta appartato?

View original post

Come la prima volta

IMG_20200714_105812

(manifesto del silenzio)

 

Non voglio abituarmi
allo sguardo posato su di te
sul verde selvaggio dietro casa
mentre invade i ruderi contadini
al vento secco che accarezza
la pelle assetata di buio e libertà,

non voglio abituarmi
al tuo facile soddisfare le mie voglie
allo stupore per il vecchio curvo
che passa lungo l’assolato
desertico
orizzonte pomeridiano,
per l’essenza delle cose
che dall’altro secolo mi circondano,

alla donna che spolvera
incuriosita dal mio costante leggere
nella stessa posizione da millenni
alle parole che attendono
devote e silenziose, chiuse
in libri relegati nei luoghi
dell’intatto privilegio.

Non mi abituerò
a quella nostalgia di te
che cresce lentamente,
termometro cittadino
di lacune esistenziali
fino a raggiungere
i rossi gradi delle partenze
il cibo stipato in fretta
come durante naufragi
imminenti, tra onde di
non vita e vuoti a prendere.

Non posso abituarmi alla bellezza
al trampolino dei pensieri
ai vecchi cancelli invasi dall’erba
alla ruggine dei ferri e della gente
a quella decadenza entrata nell’anima
alla cattiveria nel vivere accanto
al crudo reagire che tutto circonda,

e nemmeno alla dolcezza dei silenzi
all’essere pendolo insoddisfatto
tra qui e là
al pedalare verso libertà locali
come se fossi nato già così
senza catene,
come se avessi dimenticato
quel che è costata la lenta conquista
del mio essere ancora in questa terra
e le luci nel cielo notturno
un tempo venerato.

Non può diventare abitudine
la morte scelta con amore
la pagina assaporata succhiando matite
lì dove tutto tace in attesa
che l’universo si sveli,
non il passo serale verso l’imbrunire
la parola scritta su sedie rotte
la famiglia di corvi sotto il ponte d’acciaio.

Non posso diventare come altri
abituati a essere fortunati
senza saperlo fino in fondo
privati di sapienti occhi esterni
eternamente prigionieri
di un consueto ereditato.

Basterà tornare a fare silenzio
lasciarsi vivere dal cosmo pulsante
rinnovare la scoperta
ascoltare l’inascoltato
l’inutile poesia negli oggetti
e negli esseri viventi senza nome.

A voi che osservate con sospetto
la mia scelta ripetuta nel tempo
donerò il lato pratico dell’esserci,
non andrò oltre, non capireste!
Sarà un inganno iniettato
con maestria e abili assenze
negli occhi annebbiati dal fare
dalla posizione nel mondo
dal frutto glorioso dei lombi.

Mi sottraggo al vostro
e al mio meccanismo scontato,
all’obbligo di fabbrica
alle facili sintesi da panchina
alle parole di circostanza,

coltiverò il vizio antico di ricercare
il succo aspro delle visioni che contano
il volo che sorprende
l’aria che cura ferite
il canto che incanta
lo sfacelo che rincuora.

versione pdf: Come la prima volta 

(immagine: disegno a china

autore: Nigro Ermanno

titolo e data: assenti)

Continua a leggere “Come la prima volta”

Che cos’è l’antiberlusconismo?

Come sembrano “vecchie” e anacronistiche queste parole di un mio post del 2011; sembrano trascorsi secoli e invece sono bastati “solo” 9 anni per farle apparire non dico del tutto superate ma in parte da correggere, bilanciare o addirittura da riscrivere per presenza di una buona dose di ingenuità. Forse sono troppo severo nel parlare di “ingenuità”: in realtà la politica è una creatura fluida che col tempo si trasforma fisiologicamente facendoci sentire sciocchi, avventati, ingenui appunto.
Come sembrano inadeguate queste mie parole concentrate tutte sul problema del “berlusconismo” che all’epoca appariva come il problema massimo, la madre di tutte le degenerazioni ideologiche, culturali e politiche. E infatti così è stato: questo ha realmente rappresentato all’epoca il berlusconismo, con tutte le conseguenze che ancora oggi paghiamo in termini di trasformazione negativa della politica e della cultura sociale. Sto rivalutando nostalgicamente la figura politica di Silvio Berlusconi? Non ci penso neanche minimamente. Berlusconi è ormai uno stanco e dislessico “vegliardo” di una certa residua politica di centro-destra, statisticamente irrilevante se considerato da solo, senza le stampelle di Meloni e Salvini (e che grazie a quelle stampelle potrebbe addirittura tornare a governare o a non governare, a seconda dei punti di vista), e che cerca disperatamente di contare ancora qualcosa in un mondo politico che nel frattempo si è trasformato. In peggio, in meglio: chissà.
Le mie parole sono obsolete se confrontate con l’attuale tragico problema, a tratti comico, di una Lega (non più Nord ma “nazionalizzata” grazie a una consistente prostituzione elettorale meridionale e non solo; senza per questo, però, gridare all'”antisalvinismo”! Non servirebbe a niente, come sto cercando di dimostrare…) che si autodefinisce “erede dei valori della sinistra di Berlinguer”. Lo accennavo nel post già 9 anni fa! Ma non pensavo che la “battuta” da avanspettacolo sarebbe stata ripetuta di nuovo da Salvini nel 2020. Si tratta di battute che fanno poco ridere (se non fosse per la valenza populistica che – ahimè – riescono ad avere!) e che purtroppo vengono perpetrate nel tempo e riformulate in varie salse a seconda dell’opportunismo del momento, a causa dell’assenza sostanziale – dobbiamo ridircelo anche se evidente – di una tangibile azione “comunista” sul territorio (cosa che la Lega di Salvini ha imparato invece a fare e a fare benissimo giocando al ribasso!) e di una conseguente incidenza elettorale inconsistente (almeno finora, salvo miracoli alle prossime elezioni anche se i numeri già sono tristemente chiari).
Le mie parole non valgono più, se confrontate con quelle della Meloni che si compiace al “TG2 Post” (ormai diventato l’alter ego RAI di Studio Aperto e Tg4) del documento firmato da 150 intellettuali americani (bipartisan) contro le “esagerazioni” reazionarie del politically correct scaturite all’indomani (ma non solo) del Black Lives Matter. “Io sono Giorgia” d’accordo con Noam Chomsky? 9 anni fa avrei riso di gusto per la battuta, oggi no: oggi ci credo subito a questa notizia, a questo connubio a distanza, e anzi trovo “normale” che la fluidità ideologica di questi anni produca simili “avvicinamenti” seppur timidi, specifici e circostanziati. D’altronde concordo in pieno anch’io con quel documento, e tuttavia continuo a stimare e seguire Noam Chomsky.
Cos’è successo allora? E’ accaduto che gli “antiqualcosismo” in voga fino a un decennio fa, sono stati gloriosamente mandati in pensione dalla fluidità partitica a cui s’accennava, da una sorta di transgenderismo ideologico e politico a cui manco Pillon può tenere testa. E’un bene, è un male, bisogna assecondare tutto ciò? Che ne so, io faccio il blogger: chiedetelo agli “esperti” oppure aspettate buoni buoni che la Storia faccia il suo corso e così potrete fare i vostri confronti e le vostre considerazioni a distanza di tempo e con dati storici reali alla mano.

N I G R I C A N T E

“NON TEMO BERLUSCONI IN SE’, TEMO BERLUSCONI IN ME”

(Giorgio Gaber)

Ieri mattina mentre bevevo un caffé con un amico iraniano in un bar del centro, discorrendo dei soddisfacenti risultati referendari del 12 e 13 Giugno, ho finalmente esternato una serie di domande che circolavano da un bel po’ di tempo tra i miei pochi neuroni ancora funzionanti, cercando il momento giusto per venire fuori.

Perché durante questi ultimi diciassette anni non ho sentito l’esigenza di un risveglio politico? Perché, nonostante le varie delusioni incassate in qualità di elettore di sinistra, non ho mai ‘perso la testa’ votando l’alternativa ‘per vendetta’ o ‘per provare’ (come disse Iva Zanicchi nel ’94: “Proviamolo!” – riferendosi a Berlusconi come se si fosse trattato di un paio di jeans o di una marca di preservativi)? Perché mi sento, durante questa primavera della politica italiana (qualcuno addirittura già parla di ‘terza repubblica’ anticipando i risultati delle prossime…

View original post 684 altre parole

Musica nel tasco

104218458_1193146471032570_7669513171527245192_o

Conservo musica
come pane nel tasco
prima dei molti cammini
nel silenzio cercato.

Tu, senza campo, ladra
di passati in estate
distruggi vecchi diari
foto di quel che eri
e metti in vendita
la casa dell’infanzia.

Donna che non lascia tracce
partirò anche per te
con il favore delle tenebre
verso la nostra dimora ideale.

“Nato il Quattro Luglio”, di Ron Kovic

vietnam-vets-agains-the-war-daniel-gomez

Gli ideali politici, religiosi, filosofici, anche quelli più strutturati, prima o poi, cadono inesorabilmente dinanzi alle esigenze naturali dell’esistenza, agli istinti semplici che ci definiscono in qualità di esseri basilari, di animali. Possono cadere lentamente, senza far rumore, con una gradualità pacifica che nasce da un contro-ragionamento deciso e anch’esso ben costruito nel tempo, oppure accompagnati da uno schianto tremendo, da un dolore lancinante, da una sconfitta personale che si propaga come un violento incendio a una visione generale del proprio mondo valoriale che sembrava inattaccabile. L’autoreferenzialità di chi vuole diventare a tutti i costi il numero uno, il campione degli interventisti, l’eroe di riferimento della comunità, il paladino della propria chiesa, deve cedere il passo alla verità di una realtà non voluta ma reale, all’assurdità dell’errore che ci rende tragicamente ridicoli, alla caducità del proprio corpo rotto, al limite difficile da accettare di una gloria presunta e immaginata attraverso i fumetti e il cinema, alla pochezza che c’è nell’essere semplicemente umani e vincibili.

“Perché la vita non è come nei film: la vita è più difficile!” rivela con disincanto un personaggio del film Nuovo Cinema Paradiso al suo giovane amico che si affaccia alla disillusione della vita. In un mondo innamorato della parola resilienza, Ron Kovic (nella foto sopra, con in mano la bandiera americana rovesciata, FONTE), autore e protagonista del romanzo autobiografico “Nato il Quattro Luglio”, rappresenta l’ideale di resiliente, di uomo spezzato nel corpo e nel cuore che, dopo aver incassato un duro colpo dalla vita che egli ha scelto e aver ingoiato una sconfitta irreversibile, comincia un doloroso, catartico e interessante viaggio di decostruzione delle proprie convinzioni politiche, patriottiche, religiose, sociali… Come una sorta di San Francesco del XX secolo, Ron Kovic parte per la guerra in Vietnam pieno di fede cristiana, di genuino e baldanzoso patriottismo anticomunista e di goliardica sicurezza nella propria posizione nell’universo, per poi ritornare a casa ferito nel corpo e nell’anima ma con una nuova visione di se stesso e dell’umanità che pensava di dover difendere da un nemico costruito a tavolino.

È il potere taumaturgico della sconfitta che apre nuovi canali interiori, che rovista tra i ricordi d’infanzia per cercare di salvare il buono sopravvissuto alla tragedia, che resetta le convinzioni di chi non ha mai provato la vera perdita. E se le convinzioni sono state poste nei luoghi alti e inaccessibili dell’immagine che si ha di sé, più forte sarà il tonfo prodotto quando, cadendo, raggiungeranno il suolo. A differenza di un altro “famoso” reduce, John Rambo – frutto però della penna e dell’immaginazione di David Morrell -, Ron Kovic, anche a causa del proprio handicap irreversibile che lo costringe su una sedia a rotelle, sublima la propria rabbia, e l’indignazione nel non essere compreso dai propri connazionali e trattato con dignità da quello stesso governo che lo ha spedito in guerra, prima in un’umile, appartata, umana disperazione e in seguito in forza sociale, in una voglia di riscatto da vivere non in solitudine ma insieme agli altri fratelli reduci. Ron Kovic passa dalla ricerca spasmodica e tutta personale di una normalità che è ormai solo un ricordo, all’accettazione piena e rassegnata di una condizione insanabile che diventa protesta politica, lotta aperta verso certi capisaldi ideologici coltivati in passato con ingenua e cieca determinazione, manifestazione pubblica di un dissenso non più privato per cercare di evitare ulteriori dolori a una generazione decimata, di bloccare il ritorno in patria di altri corpi spezzati, rotti come giocattoli dimenticati, sospesi in una non vita seppur vivi.

Continua a leggere ““Nato il Quattro Luglio”, di Ron Kovic”

Sole e luna

Manca un progetto
e la speranza che l’accompagna,
manca il verde dell’epoca
in cui speranza c’era

si vendeva a canne
lungo la strada per Futura
a donne di passaggio.

Gli strumenti sono diventati semplici
ridotti all’essenza analogica
inadeguati per questo mondo
ma sufficienti al piccolo cosmo
che circonda la casa
immersa nelle sinfonie dei migranti.

Non ti orienti più
con i disegni astrali
nel cielo notturno d’autunno,

sulla parete del buen retiro
un arazzo con l’unione di sole e luna
a cui è difficile credere
al tramonto di una luce romana.

(immagine: “La luna in una stanza”, ph M. Nigro©2020)