“Fenomenologia della poesia facile” su L’Age d’or…

fenom poesia facile l'age d'or

Il mio articolo “Fenomenologia della poesia facile” è stato pubblicato (con il titolo riportato in immagine) sul numero di febbraio/marzo 2024 (Anno V) di “L’Age d’or”, “… un blog-rivista online di cultura e società con l’intento di diffondere e sostenere il pensiero critico” curato da Marco PalladiniDésirée Massaroni che ringrazio… Purtroppo per esprimere questo pensiero critico (scambiato dal minus habens per invidia) in maniera coerente e senza ipocrisie si è costretti implicitamente a fare un po’ di book marketing e quindi di pubblicità involontaria a un “personaggio”, più che a un poeta, che invece meriterebbe l’oblio… 

PER LEGGERE SU “L’AGE D’OR”: clicca QUI!

“Ottobre è… poesia”: presentazione della raccolta “Pomeriggi perduti”…

WhatsApp Image 2022-10-29 at 18.48.32

Una bella serata, una presentazione soddisfacente, un bel pubblico (nonostante le partite di calcio in tv) e dei “supporter” di prima scelta. Un grazie particolare va al Prof. Vincenzo Pietropinto per avermi affiancato e condotto nella presentazione della mia raccolta “Pomeriggi perduti” (uscita nel 2019 e andata subito a sbattere contro il muro del “lockdown” e delle successive restrizioni sociali), al vulcanico promotore culturale Gregorio Fiscina per tutto l’aiuto di questi mesi (e quindi alle testate giornalistiche, alle radio e alle tv da lui contattate che hanno diffuso la notizia dell’evento), al “padrone di casa” Franco Crispino, organizzatore da ben 15 anni della Rassegna Letteraria “Settembre Culturale al Castello” (quest’anno contrassegnata da una inedita “diramazione” poetica fino a un estivo mese di ottobre, intitolata proprio “Ottobre è… poesia”), che mi ha aperto le porte dell’Aula Consiliare “A. Di Filippo” del Comune di Agropoli

Continua a leggere ““Ottobre è… poesia”: presentazione della raccolta “Pomeriggi perduti”…”

“Pomeriggi perduti” su Il Mangiaparole

pomeriggi mangiaparole

L’interessante recensione di Francesca Innocenzi alla raccolta “Pomeriggi perduti”, già pubblicata su questo blog, è stata riproposta sul cartaceo della rivista “Il Mangiaparole”, trimestrale di poesia, critica e contemporaneistica diretto da Matteo Picconi e Marco Limiti (Edizioni Progetto Cultura), e giunto al suo quinto anno di pubblicazione.

L’insostenibile pesantezza dell’essere (multitasking)

269305884_10225680631223213_1891187168559837125_n

L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA DELL’ESSERE (MULTITASKING)

Elogio delle urgenze

(Riflessioni messe in ordine durante una camminata veloce)

1) La vita è inevitabilmente “multitasking”; in questa nostra particolare era storica, poi, lo è ancora di più a causa di un progresso del cosiddetto “problem solving” – niente a che vedere con l’approccio epistemologico di Popper nella sua opera finale intitolata “Tutta la vita è risolvere problemi” – che porta l’utente nel giro di poche ore a “risolvere e re-impegnarsi” senza sosta (re-engagement), come il topolino che gira nella sua ruota, ovvero a mettere da parte un problema risolto per passare a quello successivo ancora da risolvere e se non c’è un problema a inventarsene uno nuovo dal nulla perché il multitasking aborrisce il vuoto, il non fare, l’ozio creativo. Deve tenersi occupato, in eterno allenamento per dare senso (o meglio, un “certo tipo” di senso) ai giorni dell’uomo del terzo millennio. Ma il fare non sempre è sinonimo di creare, anzi: il fare compulsivo distrae dalla vera creazione solida, permanente, meditata. L’elenco degli impegni da depennare contro la settimana di Dio descritta nella Genesi. Chi vincerà stavolta?

Il problema principale con il multitasking – proprio in virtù della sua caratteristica di “contemporaneità” delle azioni – è che sono state abolite le priorità tra livelli (anche nel medioevo l’uomo era multitasking nonostante una certa specializzazione corporativistica; bisognava essere in grado di spostarsi su livelli differenti di azione e questa capacità era soprattutto dettata dal ceto sociale a cui si apparteneva e quindi dalle disponibilità economiche): oggi che l’intera umanità è in gara per una vittoria sicura – perché così gli hanno promesso e l’umanità c’ha creduto! – tutti i livelli del multitasking sono al primo posto e quindi tutti sono diventati importanti anche se molti tra questi non lo sono affatto; una voce dentro di noi sa che non tutti i livelli hanno la stessa importanza e ce lo urla, ma noi ci giriamo dall’altra parte, diamo retta solo al programma che “processa” tutto contemporaneamente, e superiamo il suono di quella voce con altri rumori creati all’uopo per non farle acquisire udibilità. Tutto deve essere risolto, il fare viene prima dell’essere, del pensare, eventualmente del rimandare a un secondo momento. Durante un funerale, mentre passa il feretro, ci scopriamo a parlare di questioni condominiali con i vicini: la morte viene misurata in millesimi e le faccende terrene non ammutoliscono nemmeno dinanzi al sacro mistero della vita che finisce, e che esigerebbe silenzio e inattività riflessiva.

2) Non tutti i livelli di questa esistenza multitasking sono piacevoli: alcuni devono essere affrontati “obtorto collo” e le questioni fastidiose, le vicende tristi, gli impegni presi, vanno risolti con una razionalità quasi automatica, d’ufficio, che a lungo andare ci rende “robotici”, veloci, efficienti, produttivi. Anche la malattia ha un suo iter diagnostico supercollaudato ed efficientissimo: i vari passaggi fanno parte di un’esperienza scientifica acquisita che è diventata routinaria, scontata, istituzionale. Il progresso medico che alcuni decenni fa stupiva i primi fortunati, oggi è vissuto in una quotidianità che non sorprende più. Anche se la strada da fare per sconfiggere molte altre malattie, e per renderle affrontabili da tutti indipendentemente dal ceto sociale o dal reddito, è ancora lunga. Ma l’approccio alla possibilità di una guarigione è diventato accessibile, sistemico.

3) Per non morire dentro e salvaguardare la parte di noi non pubblica, non indaffarata, quella più intima, vera, autentica, immobile, dopo aver affrontato i vari livelli che il quotidiano ci costringe ad affrontare, c’è bisogno di sostare per un po’ presso un “livello superiore”, imparziale, non operativo ma contemplativo, che domini sugli altri, inferiori a loro insaputa, di una visione dall’alto che ognuno di noi realizza in base al tipo di ricerca impostata, alla cultura di appartenenza, al grado di sensibilità, oserei dire “di fede”… Un livello superiore strettamente spirituale o laico-filosofico, che dia un senso al nostro multitasking di cui non possiamo fare a meno, e soprattutto ristabilisca le priorità al margine del caos. Priorità che andrebbero di fatto a “smontare” e quindi ad annullare la caratteristica funzionale del multitasking.

Continua a leggere “L’insostenibile pesantezza dell’essere (multitasking)”

Call Center, reloaded

versione pdf: “Call Center Reloaded”, di Michele Nigro

140826 prescelta

Prefazione

“Call Center, alla ricerca del futuro ibernato”

di Roberto Guerra

Call Center, titolo iconico particolarmente azzeccato, è nato direttamente come libro elettronico (eBook) già alcuni anni fa: in certo senso sembrano passate decadi ma proprio la diversamente breccia temporale ne esalta oggi, nuova edizione e tradizionale cartacea, una certa lungimiranza previsionale.

Se il racconto narra poeticamente l’uomo automatizzato e robotizzato odierno, proprio i famosi Call Center ne testimoniano la quintessenza alla rovescia, esemplificano il paradosso sempre costante della rivoluzione tecnologica: il lavoro liquido estremo e la precarietà ormai generalizzata nella eterna quasi crisi contemporanea hanno nei Call Center, caratterizzati centralmente da tali dinamiche, quasi un perverso Tempio, accettato nella vita quotidiana come se nulla fosse, la normalità come patologia sociale condivisa e quindi non riconosciuta.

Simultaneamente i Call Center  simboleggiano, sempre al contrario, il computer mondo oggi letteralmente ibernato, sia le Macchine sia gli umani.

Come leitmotiv software costante nelle parole dell’autore, certa folle simbiosi strutturale contemporanea, economia-politica-tecnologia, l’attuale turbocapitalismo poco turbo e molto pietrificante come lo sguardo malefico di Medusa, ha degenerato il senso della tecnoscienza, letteralmente ucciso, appunto congelato, il futuro.

Le macchine a quanto pare non sono state inventate per liberare gli umani dal lavoro alienante o i computer per liberare l’Uomo come opera d’arte dal meccanicismo mentale e burotico, ma come sorta di gigantesche slot machine per Usurai 2.0, una assoluta minoranza, burattinai digitali quasi immateriali, come i famigerati Morlock con il popolo degli Eloi in The Time Machine di H.G. Wells, che condizionano o comandano nelle stanze dei bottoni, occidentali o meno.

Nigro si muove in un solco fantadispotico ben noto nell’immaginario scientifico e fantascientifico del Novecento: va da sé che conferma la cosiddetta science fiction, a pari di altri autori, come nuovo diversamente Post Realismo cibernetico; che è peraltro una delle vere news creative nella letteratura contemporanea, dimostrando la provocazione di un certo Marvin Minsky: “La fantascienza è la vera filosofia del nostro tempo”.

E nello specifico di Nigro la filosofia come Psicologia informatica, come ogni gioco sinaptico non lineare, ma transtemporale, come ottimamente si dilatano le pagine e le antitrame menu del libro, con flussi imprevedibili narranti, in una cifra dimensionale passato-presente-futuro, come poi nella Vita Reale, sia imprevedibile che interconnessa, come dissolvenze costanti (per la cronaca, stile prossimo a certa poetica sperimentale e d’avanguardia).

La stessa resilienza del protagonista, nella sua presa di coscienza e ribellione “fredda” all’ibernazione robotizzata e lavorativa, affiora come un puzzle nuovamente alla rovescia, un gioco di incastri a partire da un falso disegno alla partenza da smontare e ricomporre verso un nuovo futuro alternativo e umanizzante assolutamente inedito, senza mappe a priori di riferimento: Nigro è acuto nel far parlare il non detto della letteratura distopico-dispotica, non solo sintomo di certo spirito del tempo apparentemente senza vie d’uscita, ma necessario artificio di discesa nell’inconscio oggi techno, per captare nuovamente un Homme Robot creativo come specchio sinaptico del Corpo sociale.

In pillole, riassumendo e come da incipit, un lavoro narratosofico (non narratologico lineare…) che ha anche anticipato l’ulteriore degrado finanzocratico e nella grande macchina produttiva che ancora di più esige ricette di homme robot non autoalienato ma rebel rebel: oggi si parla di Big Data, Bitcoin e simili, di Algoritmi e Intelligenza Artificiale come registri di sistema per il lavoro 3.0, ma a quanto pare con ancora nuove dissipazioni di risorse tecnoscientifiche.

E visto l’andazzo, come andare su Marte e poi sul più bello dimenticarsi che ci abbiamo inviato delle scimmie con un pallottoliere per errore al posto di astronauti umani con Curiosity, concordiamo con l’autore se abbiamo beninteso: forse solo un vero default della Grande Macchina tecnoeconomica attuale, per istinto di sopravvivenza 2.0, potrebbe generare un nuovo turbocapitalismo non neoluddista, come suicidalmente un certo Green mistificante s’illude di fare, ma finalmente troppo umano o robotico complementare “più umano degli umani”.

 ♦

 

“Call Center – reloaded”

 di Michele Nigro

 

Il lavoratore, in particolar modo quello precario, va educato.

Così come il cucciolo di cane, appena giunto nella sua nuova dimora, deve essere prontamente educato nell’espletamento dei propri bisogni fisiologici in angoli ben precisi provvisti di fogli di vecchi quotidiani conservati all’uopo, allo stesso modo il lavoratore deve capire fin da subito che il suo comportamento non può tendere alla neutralità o alla riflessione (dannosa in ambito produttivo), bensì a un energico entusiasmo decerebrante capace di far ottenere al lavoratore il tanto agognato premio finale. L’allineamento, l’accondiscendenza, l’incondizionato assorbimento delle incontestabili direttive aziendali, la personalità solo abbozzata e mai eclettica, la disponibilità senza “se” e senza “ma”, l’assenza di cultura, la scaltrezza del venditore arabo, il carattere come forma di pressione, il rifiuto di proposte alternative, la repressione del confronto tra individui: questi sono solo alcuni dei cosiddetti “comportamenti premianti” che, se accettati fedelmente dal lavoratore, diventano vere e proprie armi per la conquista del successo aziendale.

Infilo il jack delle cuffie nella presa circolare della scheda audio come un duro, argenteo pene metallico che penetra, lucido ed elettrico, nell’orifizio acustico del mondo. Un filo abbastanza lungo mi concede un’impagabile libertà di movimento fino al muro alle mie spalle tappezzato di grafici colorati e motivanti sulla produttività dello scorso mese. Sono seduto su una comoda sedia girevole provvista di rotelle: divento uno yo-yo umano spingendomi all’indietro e ruotando; il filo è teso tra la mia testa e il computer della postazione. Conosco bene le misure del mio spazio lavorativo: mi fermo un millimetro prima di strappare via il jack. Poi ritorno fedele con le braccia sul tavolo del box dove mi aspettano i pieghevoli che illustrano le caratteristiche patinate dei meravigliosi prodotti da vendere e il decalogo delle cose da dire o da non dire pensati dall’intellighenzia aziendale.

Alcuni minuti prima, abbandonando il corridoio silenzioso nel fabbricato anonimo che ospita l’enorme call center in cui lavoro, mi ero immerso, puntuale come ogni pomeriggio, dal lunedì al sabato, nella chiassosa atmosfera alienante di quel nonluogo, come l’avrebbe definito Marc Augè.

“Buon pomeriggio, sono Marta!”

“Buongiorno, sono Giulio…!”

“Mi scusi se la disturbo, sono Roberta e le telefono perché ci risulta che…!”

“Sono Paola, Emilio, Giuseppe, Serena, Carlo… Sono la soluzione ai tuoi problemi, sono la fortuna che ti piomba in casa, sono la voce che attendevi, la chiave del tuo successo, sono il segreto che i tuoi vicini non vogliono svelarti, la risposta alla tua domanda. Sono la svolta che cercavi, la novità che bussa nel momento giusto, il tuo gentile consigliere pomeridiano, la tua scelta intelligente, sono il tuo assistente spirituale, il tuo miglior amico, sono il Presidente degli Stati Uniti d’America, sono Gesù Cristo, la Madonna. Se vuoi, se questo mi aiuterà a concludere un contratto, posso essere addirittura Dio!”

Lo chiamano ‘lavoro parasubordinato’: come se fosse una malattia infettiva incurabile presa sui confini venerei tra potere economico e popolo, durante un amplesso tra la ricchezza dei pochi e le illusioni delle orde di lavoratori-consumatori ipnotizzati da un benessere irraggiungibile. La mancanza di devozione mi corrode dall’interno; lavorare facendo finta di crederci: questo è il segreto.

Meravigliandomi, per l’ennesima volta, di quel vorticoso pollaio di succulente proposte lanciate nella rete telefonica, avevo raggiunto con passo veloce, attutito dalla moquette blu del pavimento, la mia postazione metamerica – il box numero 103 – e avevo inserito nel computer la password necessaria al conteggio personalizzato delle preziose ore di lavoro. Decine di voci squillanti e teatralmente rassicuranti, intorno a me, riproponevano, intrecciandosi l’un l’altra ma ognuna seguendo miracolosamente un proprio invisibile filo verso la meta contrattuale, un dialogo esistente tra cliente e teleoperatore, e testato dagli psicologi del marketing.

Tramonta il sole triste

d’inizio settembre

sui grigi parcheggi periferici

vuoti d’umanità vagante

tra lucenti vetri di bottiglia

e calme schegge di gioventù.

Sottofondo autostradale

per elettriche note di prova.

Le gru nel cielo rossazzurro

come plettri dolorosi

su anime solitarie

attendono il rock notturno.

Dall’alto, o dal basso, della sua laurea in Scienze Politiche mai usata, il mio vicino di box, inebetito dal turno di mattina che sta per terminare, m’invia un sorriso scialbo sperando in una mia amichevole risposta che l’incoraggi in zona Cesarini: se alla fine di questo mese non raggiungerà il numero di ‘pezzi’ prestabilito dalla Direzione, sarà silurato dai due impiegati gay dell’ufficio del Grande Fratello: meglio conosciuti come i “Dolce&Gabbana dell’Outbound”, Gigi e Lele, oltre a essere i sorridenti e ben vestiti addetti alle buste paga del call center, svolgono egregiamente, e non senza una comprovata dose di sadismo, anche la funzione di selezionatori. “Big Brother is watching you!”: il motto orwelliano che campeggia nel poster del loro ufficio trasformato in nido d’amore, non lascia spazio a dubbi. Compiere ‘carotaggi a campione’ sulla popolazione lavorativa del call center, in cerca di pedine improduttive da licenziare, rappresenta la loro specialità.

Esistono al mondo innumerevoli lavori, tanto assurdi quanto malpagati o con prospettive instabili.

La loro utilità è effimera come l’esistenza di un insetto: adulatori di casalinghe per via telefonica, assistenti all’eiaculazione di tori, livellatori di quadri storti, venditori di connessioni veloci in internet, riciclatori di pile scariche, smazzettatori di risme, salatori di arachidi, rappresentanti di chiodi porta a porta, psico-massaggiatori di piedi per mutilati, controbilanciatori di tubi, assaggiatrici di sperma, venditori di fumo per l’affumicatura dei salumi, sommozzatori di pozzi neri, smistatori di kipple, operatori di clisteri, lucidatori di ossa, collaudatori di giubbotti antiproiettili e bambole gonfiabili, venditori telefonici di righelli, svuotatori di portacenere, allevatori di grilli, mimo per trasmissioni radiofoniche, tester di deodoranti ascellari per uomini, domatori di fenicotteri, commercialisti per bancarelle di mercato, collaudatori di creme emorroidali, occupatori di parcheggi, collaudatori onanisti di profilattici, impacchettatori di regali per negozi, lab rats umani per case farmaceutiche, ricostruttori di reputazioni on line, massaggiatori di cani, buttadentro…

Il sottobosco lavorativo offre una vastissima gamma di occupazioni surreali e facilmente sostituibili: l’assoluta mancanza di diritti e la facile reperibilità di cosiddette ‘risorse umane usa e getta’, come lamette usate poco, infelici ma non ancora pronte a morire, rappresentano l’autentico propellente di quelle aziende che affidano la propria sopravvivenza a una delle carte vincenti della moderna economia: la precarietà del lavoratore.

La molla che fa scattare il meccanismo perverso della precarietà è il bisogno.

Continua a leggere “Call Center, reloaded”

“Padri morenti” e altri 5 inediti su Fara Poesia

Ringrazio “Fara Poesia” e Alessandro Ramberti per l’ospitalità…

Per leggere, QUI!

fara poesia

Poesie minori. Pensieri minimi: materiali di risulta (la collana)

IMG_20220122_132313

Dove finisce la poesia e comincia il pensiero? Questa collana in tre movimenti di “poesie minori e pensieri minimi”, creata con “materiali di risulta”, non vuole essere un ostentato elogio della brevità (perché in alcuni casi, pochi in realtà, non si troverà un testo breve) ma il tentativo di definire questo confine, mescolando poesie minori con pensieri minimi, senza fornire indicazioni per distinguere le une dagli altri. Sarà il lettore a separare, in base alla propria sensibilità ed esperienza, le poesie-pensiero dai pensieri poetici. Qualora ve ne fossero. Poesie e pensieri non sprovvisti di ironia, di un piglio dissacratorio, severo, lapidario, a volte rabbioso, di sfumature irriverenti, di parole eccessivamente “quotidiane”. Correndo il rischio di essere sottovalutati o fraintesi, anche se tutto è già stato previsto. Perché, forse, rischia di prendersi troppo sul serio solo chi non sa cogliere nell’apparente banalità la potenziale lungimiranza di un messaggio breve o scanzonato. (Michele Nigro)

Per leggere i 3 libri della collana: QUI!

“Pomeriggi…” su Margutte

pomeriggi margutte

Su Margutte, Non-rivista online di letteratura e altro, curata da Silvia Pio e Gabriella Mongardi, una gradita segnalazione alla raccolta “Pomeriggi perduti” per la rubrica La voce di Calliope. Un grazie alla Redazione!

Per leggere su Margutte: QUI!

Lamentazione per il Signor Ics

1527055_595292737224973_1747095363_n

Dove sono le doloranti fila in posa
davanti ai feretri del gramo poeta
e dei filosofi noiosi le camere
ardenti di idee non morte
in libri ignorati da masse
bisognose di carezze kitsch
e paillettes tra piatti da lavare e sogni
infranti come lampadine sotto stivali,

– catodico è il facile consenso
già masticato da trucco e parrucco,
predigerito è questo nostro amore
che batte il tempo
alla canzone del momento –

dove il cordoglio fatto marea di fiori
per le non principesse sfortunate
e i non re di imperi a buon mercato.
Quando la veglia funebre
per l’impopolare signor ics
e lo stonato portinaio dei nostri averi,

– ore e ore sotto il sole ignorante
per un selfie col morto,
lo chiamano omaggio (ma a se stessi!),
lo scrittore mondano va in tv
perché ha capito il congegno
e vuol essere amato come una soubrette –

nella chiesa dei non artisti
a quando l’affollata messa
per chi del proprio giorno ormai finito
ne ha fatto un’arte di sopravvivenza?

versione pdf: Lamentazione per il Signor Ics

“Pomeriggi perduti” su Periodico Daily

periodico daily

Ringrazio la giornalista Elena Canini per questa interessante, articolata e ben curata recensione/intervista alla mia raccolta “Pomeriggi perduti”, e l’e-magazine “Periodico Daily” per l’ospitalità…

“… Cosa le trasmette la poesia?

Quando leggo i “grandi” cerco di assaporare i loro versi e attraverso essi di riconoscere le esperienze esistenziali che li hanno direttamente o indirettamente influenzati. Ma più di ogni altra cosa, cerco di riconoscermi nel messaggio universale (quindi rivolto anche a me) che veicolano. Solo così la poesia “degli altri” diventa mia. La mia poetica, invece, come quella di ogni poeta, prende vita da un atto di “ricezione”: come antenne nel cielo, scriviamo ciò che percepiamo. Il trasmettere ad altri, il pubblicare, è una scelta secondaria che non deve mai prendere il sopravvento sulla sacralità della creazione…”

Per leggere l’intera recensione/intervista: QUI!

versione pdf dell’intervista: Intervista a Michele Nigro per “Periodico Daily”

“Pomeriggi perduti” su Leggere:tutti

rece leggere tutti

Una bella, originale e interessante recensione alla mia raccolta “Pomeriggi perduti”, a firma di Gisella Blanco per la rivista “Leggere:tutti”

“… Pomeriggi perduti è un’insegna al neon che richiama le suggestioni elettriche govoniane, rimbalzandole ai tempi del digitale in cui afflati retorici e ispirazioni contemporanee si mischiano, confondendosi: l’uomo si salva soltanto sfuggendo a se stesso, ed ecco l’afflato più feroce del post-modernismo…” (g.b.)

Per leggere l’intera recensione: QUI!

Nota a “Julius Evola (Vita Arte Poesia Eros come Pensiero e Virus)” di Vitaldo Conte

Conte_Julius Evola, copertina

Fa bene Vitaldo Conte a parlare di “tabù” nel suo “opuscolo-ebook” dedicato a Julius Evola (Tiemme Edizioni Digitali, 2021): tenuto in disparte durante periodi storici nevralgici del nostro paese, per poi essere ampiamente “riutilizzato” in qualità di punto di riferimento filosofico da una certa parte politica per fini ideologici, riscopriamo attraverso questa piccola ma intensa raccolta di saggi e interventi di Conte, un Evola pittore e poeta pressoché sconosciuto, un Evola prodromico al ben più noto filosofo, da scoprire o riscoprire. Oserei dire un Evola finalmente deideologizzato.

Evola era ed è un artista e filosofo scomodo, “pericoloso” e “maledetto”, controcorrente – occupandosi di alchimia, di trascendenza e di Metafisica del sesso -, persino antipatico e quindi ostracizzato; criticò il Fascismo e da questo fu sistematicamente distanziato, per poi essere riletto dalla “… gioventù alternativa dell’area di destra, negli anni ’50 e ’60, dopo decenni d’assenza di pensiero…”. Un po’ come è accaduto allo scrittore inglese Tolkien, al quale ancora oggi tirano la giacchetta da destra e da sinistra, ognuno in base alle proprie esigenze ideologiche. Il Tolkien delle “… radici profonde che non gelano…”, per intenderci, riciclate per accompagnare dal punto di vista letterario certi rigurgiti neofascisti della contemporaneità.

Continua a leggere “Nota a “Julius Evola (Vita Arte Poesia Eros come Pensiero e Virus)” di Vitaldo Conte”