E il giorno della fine non ti servirà la laurea

versione pdf: E il giorno della fine non ti servirà la laurea

italian-singer-songwriter-franco-battiato-in-his-house-milo-news-photo-1572455966

E il giorno della fine non ti servirà la laurea 

Tempo fa risposi alle domande di un questionario proposto a più persone da una studentessa (il cui nome per questioni di privacy ovviamente non mi è possibile rivelare) in procinto di preparare una tesi di laurea sul periodo sperimentale del cantautore Franco Battiato e sul mio rapporto con lo stesso in qualità di ascoltatore/estimatore di lungo corso. Il titolo dell’intervista sopra riportato, parafrasi di un verso di un brano di Battiato, è di mia invenzione e non riguarda la tesi di laurea dell’intervistatrice e tesista. 

Esperienza con Franco Battiato

(Intervistatrice/tesista) Da quanto tempo ascolti la musica di Franco Battiato?

(Michele Nigro) Dalla fine degli anni ’70. Ma più consapevolmente dall’inizio degli ’80.

Qual è il tuo album o periodo preferito di Franco Battiato tra quelli che spaziano dall’avanguardia elettronica al pop e alla musica classica? (Se ne hai uno)

Premesso che secondo me ‘tutta’ la produzione artistica di Battiato è stata sperimentale se confrontata con il cantautorato “standard” dell’epoca, e anche dopo, posso affermare che ho amato e amo in particolare il periodo pop ovvero quello durante il quale Battiato veicolò tematiche lontane dalla cultura di massa grazie a una musicalità non più d’avanguardia, di nicchia, ma accessibile a quasi tutti gli ascoltatori.

Come hai vissuto il passaggio di Franco Battiato da un genere all’altro durante la sua carriera? Hai preferenze per uno stile musicale specifico tra quelli sperimentati dall’artista?

Non mi sono mai lasciato influenzare dai cambi di rotta del Maestro: ho ancora oggi difficoltà a collocare i singoli brani nei vari album, anche cronologicamente, perché seguo una lettura trasversale di tipo tematico e non in base al genere o al periodo, pur distinguendone ovviamente le diversità. Torno a ripetere: il pop, anche quello più tendente allo sperimentalismo, ha rappresentato a mio avviso lo stile più vincente dal punto di vista comunicativo.

Qual è la canzone di Franco Battiato che senti rappresenti meglio il suo sperimentalismo musicale? Perché?

Credo che “L’era del cinghiale bianco” (che dà il nome anche all’album che lo contiene) sia il brano da cui tutto è scaturito, il primum movens. Non solo perché segna il passaggio discografico dallo sperimentalismo al pop, ma per gli accostamenti strumentali (ad es. violino con batteria e chitarra elettrica) che caratterizzeranno in seguito una convivenza tra diversità anche su altri livelli…

RAI TV PROGRAMMA DOMENICA IN
Personaggio: FRANCO BATTIATO

Hai mai assistito ad un concerto di Franco Battiato? Se sì puoi elencare quali.

Sì, a molti. Il primissimo fu subito dopo il terremoto dell’80 in Irpinia: venne a suonare in provincia di Potenza, a Ruoti per essere precisi, con la formazione dell’epoca (Pio, Destrieri, ecc.). Ero piccolo: fu una rivelazione che tuttavia “esplose” in seguito, nella maturità. Dopo c’è stato un certo periodo di lontananza: mancai ad alcuni suoi tour, per poi riprendere a seguirlo fino alla fine. Di concerti ne ricordo uno in particolare di piazza – gratuito – ad Anagni per i 700 anni dallo schiaffo di Anagni, il 7 settembre 2003. Fu memorabile… Poi c’è stato (vado in ordine sparso spulciando tra i biglietti conservati) l’Apriti Sesamo Live (Auditorium Conciliazione Roma 2013), a Ercolano nel 2011, all’Arena del mare a Salerno nel 2013, Franco Battiato e Alice nel 2016 a Roma (Auditorium Conciliazione), all’Ippodromo delle Capannelle Roma 2011, Fleurs Tour a Napoli nel 2002… Impossibile ricordarli tutti; molti furono anche concerti di piazza o di fine anno sempre in piazza (uno tra tutti un 31 dicembre a Salerno); sempre tra quelli di piazza ne ricordo uno ad Avellino (non ricordo l’anno) in cui, stando sotto il palco, ammirai un Battiato in piena forma che suonava la sua chitarra elettrica (come poi non avrebbe più fatto rientrando in una veste più classica e sobria: per capirci, il Battiato che cantava seduto tranquillo sul tappeto)… L’ultimo a cui ho assistito, prima di quelli in cui cadde rovinosamente, è stato a Napoli in piazza Plebiscito: era già un Battiato “distratto”, disinteressato a ricordare i testi, direi “etereo”, dalla voce insicura e debole, diretto ormai verso un suo mondo interiore da cui non sarebbe più riemerso.

Hai mai avuto la possibilità di interagire con Franco Battiato? Se sì racconta l’esperienza.

Non l’ho mai inseguito per un selfie, per costringerlo a un dialogo, per esprimergli pensieri profondi, come molti suoi estimatori più coraggiosi e sfacciati di me hanno fatto nel corso degli anni… L’ho avvicinato solo una volta per avere un suo autografo sul libro “Attraversando il bardo” abbinato all’omonimo documentario in dvd. L’occasione si presentò in Cilento (Campania) nel 2015 durante un pubblico dialogo tra lui e Ruggero Cappuccio; ti allego il link all’evento.

Cosa rappresenta per te Franco Battiato? Quali emozioni o pensieri evoca nella tua mente?

Pur essendo stata una presenza virtuale, distante, per i motivi che ho già illustrato nella risposta precedente (non ho mai amato “pedinare” i personaggi famosi, amo di più la casualità degli incontri), Battiato è stato per me una guida spirituale, un Maestro, un “padre”, un ricercatore puro, ma prim’ancora è stato un colto indicatore di percorsi geografici e interiori, un istigatore a ricerche “altre”… In alcuni periodi della mia vita è stato anche un ottimo “antidepressivo” perché mi ha offerto un punto di vista alternativo, sollevandomi da certi “sbalzi d’umore”…

Perché secondo te è importante parlare di Franco Battiato oggi?

Perché, senza preoccuparmi di esagerare, posso dire che Battiato farà parte della “musica classica” del futuro; non è importante parlarne perché scomparso e quindi per tenere accesa la luce sul suo operato: non ha bisogno di questo tipo di agevolazioni perché a volte mi capita di sorprendere giovanissimi ascoltarlo in piena autonomia. Quindi c’è speranza per il domani. Credo sia importante parlare di lui oggi affinché le tematiche culturali, spirituali, veicolate dalla sua musica, restino sempre tra le priorità di chi compie un certo tipo di ricerca su se stesso e sul mondo.

Battiato-Biografia

Nello scenario italiano chi era Battiato per te e per l’opinione pubblica? C’era già una consapevolezza, diffusa o individuale, che si stava assistendo ad una vera e propria avanguardia musicale?

I più attenti musicalmente hanno subito captato il cambio di passo e l’hanno continuato a seguire in quel senso. Lego i suoi primi brani pop a epoche fanciullesche della mia vita, quindi Battiato è entrato a far parte di un substrato culturale di stampo popolare e oggi mi è difficile scindere quell’esordio dal mio vissuto: la consapevolezza su “basi scientifiche”, almeno per me, è giunta forse dopo, leggendo libri su di lui, andando a spulciare sue indicazioni al di là dei motivi musicali ma “analizzando” direttamente i testi. Temo che per altri, invece, questa consapevolezza non sia mai arrivata: Battiato per alcuni resta inaccessibile e indecifrabile, quindi ci si limita a citarlo decontestualizzando alcuni stralci dei suoi testi solo per far vedere di conoscere qualche suo ritornello. Questa consapevolezza è stata ritardata appositamente dallo stesso Battiato, credo, proprio perché scelse di utilizzare un veicolo pop: solo chi si è soffermato sulla sua opera andando al di là dei ritornelli ballabili, è riuscito forse a cogliere l’intento avanguardistico di Battiato anche da un punto di vista filosofico e spirituale.

Adesso prova delle sensazioni diverse quando ascolta i dischi di Battiato rispetto alla prima volta?

No, devo dire che alcuni brani che avrò ascoltato forse migliaia di volte non mi stancano mai e conservano una “freschezza rinnovabile” che non ho saputo riscontrare in altri cantautori. Anzi, il riascolto serve a scoprire nuove angolazioni sonore che erano state trascurate. Se invece vogliamo riferirci al riascolto all’indomani della sua dipartita da questo pianeta, allora tiriamo in ballo sensazioni che non si limitano alla nostalgia e alla malinconia, ma si caricano di una responsabilità maggiore perché si è consapevoli di riascoltare un cantautore che non vedremo mai più dal vivo e che non uscirà mai più con un suo nuovo album di inediti (nonostante l’intelligenza artificiale ci aiuti a sfornare ancora oggi brani dei Beatles raschiati da fondi discografici!)

In riferimento al tema della politicizzazione: com’era considerato Battiato rispetto agli altri cantautori dell’epoca?

La politicizzazione della ricerca musicale di Battiato è stato sempre un fenomeno che mi ha divertito; Battiato è stato “strattonato” dalla destra e dalla sinistra, un po’ come è successo a Tolkien, conteso dai neofascisti dei campi Hobbit e dal panecologismo hippie… Battiato ha sempre volato al di sopra di ogni catalogazione politica e si è occupato di cose alte e altre, nonostante si dica sempre che “tutto è politico!”. Chiaramente alcune prese di posizione, durante certi periodi storico-politici del paese, lo hanno collocato automaticamente in una precisa fascia: basti pensare a brani come “Povera patria” e ad alcune accuse certamente non velate contenute nell’album “Inneres auge”. Se c’è stata politicizzazione, è stata indiretta; a differenza di altri cantautori  ̶  come De Gregori, Venditti, De André, Claudio Lolli, Guccini… ̶  schierati politicamente in maniera più evidente, Battiato ha cercato, prim’ancora di accodarsi a un’ideologia partitica interessata a proporre un sistema politico in grado di cambiare la società, di modificare il proprio mondo, quello individuale, interiore. Battiato non giudicava la politica in sé ma le variegate (e molto spesso discutibili) tipologie umane che vi si affacciavano per coltivare interessi privati. Durante la sua unica esperienza politica presso la Regione Sicilia, qualcuno scherzosamente lo definì “assessore alle meccaniche celesti”: epiteto che a lui piacque moltissimo e che trovò divertente. Non esitò un solo istante a lasciare l’incarico quando si accorse (come forse aveva già previsto) che stava diventando un “gioco” estraneo alle sue corde.

La-Voce-Del-Padrone-Franco-Battiato-2

Quando ti sei reso conto della potenza della musica di Franco Battiato?

Quando sono stato male e ho sentito che la sua musica mi ha risollevato indicandomi percorsi interiori alternativi…

Considerando la lunga carriera del cantautore, considerando la variegatura nei temi e nei modi, come si è evoluto il tuo rapporto con l’artista?

La parte iniziale e centrale della sua carriera è stata, ma non solo per me, sicuramente la più interessante; anche i suoi ultimi lavori sono stati degni di nota ma già rappresentavano un “testamento” (citando il titolo di un suo brano), una exit strategy non solo esistenziale ma anche artistica… Spesso ho criticato l’eccesso di antologie sfornate dai suoi produttori per battere cassa: ho apprezzato di più il Battiato di quando aveva il pieno controllo della sua produzione. Salvo questi particolari ininfluenti posso dire che il mio rapporto con Battiato è stato sempre di forte curiosità e di affetto: ogni uscita di inediti era una sfida, uno studio, un confronto con altri estimatori… L’uscita di un suo album non lo vivevo come un appuntamento discografico e basta: era la voce di un amico che mi raggiungeva con parole nuove, di una guida che mi proponeva nuove vie da percorrere, che mi dava nuovi impliciti consigli di vita…

Continua a leggere “E il giorno della fine non ti servirà la laurea”

11 haiku per 11 scatti, raccolta prima

copertina 11 haiku per 11 scatti - raccolta prima jpeg

“… Ma l’haiku ha bisogno di immagini? No, è esso stesso  ̶  in perfetta solitudine  ̶  immagine dell’attimo, del non detto che si annida negli angoli delle 17 sillabe. Un’isoletta di poche lettere nel mare di vuoto tutt’intorno che vuoto non è mai; disciplina contro l’ipertrofia dell’ego che vorrebbe dire e scrivere di più…” (dalla Premessa)

per leggere GRATUITAMENTE la raccolta: QUI

Continua a leggere “11 haiku per 11 scatti, raccolta prima”

Nota a “La comunità dei viventi” di Idolo Hoxhvogli

1699345203413

È una prosa intransigente quella adoperata da Idolo Hoxhvogli ne La comunità dei viventi (Clinamen ed., 2023); una sorta di piccola “bibbia” apocrifa e moderna concepita per la liberazione dei viventi contemporanei dalla matrix che li tiene prigionieri. Una “bibbia” laica che descrive un’apocalisse già in atto e non profetizzata.

È importante ricordare che l’umanità è costituita di viventi e che vivere non significa solo respirare, riprodursi, nutrirsi, produrre ricchezza, pagare le tasse a Cesare, ma è o dovrebbe essere soprattutto coltivare un più intimo rapporto con il trascendente, con quell’invisibile in cui l’essenza, e quindi il significato intangibile del nostro esserci, è da sempre diluita. Una scrittura dotta fatta di affermazioni lapidarie, di verità scolpite, che non pone domande dirette, ma rivela senza chiedere o fornire spiegazioni alternative.

Forte è la critica al modus vivendi dell’uomo contemporaneo, alle sue convinzioni false e superficiali, al suo pavido adattamento al sistema; altrettanto deciso è l’invito a ritornare a un ipotetico punto zero della creazione, quando le cose e gli esseri animati non avevano nomi o recinti fatti di significanti (o codificazioni). Paragrafi autonomi che scavano in tutti gli aspetti indagabili dell’umano vivere, criticando la presuntuosa testardaggine del nostro disobbedire a Dio ignorandone le leggi che hanno un fondamento eterno e non adattabile alle epoche. C’è bisogno di una nuova radicalità spirituale che liberi Dio dalla comoda antropizzazione a cui è stato sottoposto nei secoli, di eviscerare i meccanismi più intimi di strutture ormai date per scontate, di denudare il potere e i suoi personaggi; c’è necessità di scardinare le false sicurezze della tecnologia che tutto livella e svilisce in nome di finte democrazie, di smascherare il protezionismo dei governi che è anticamera di un controllo sulle varie fasi del vivere (nascita, morte, sessualità, fede, impiego del tempo, movimento nello spazio…).

Continua a leggere “Nota a “La comunità dei viventi” di Idolo Hoxhvogli”

Lentamente

Igor Siwanowicz

Ripulisco il segnale d’ingresso,
lascio fuori il superfluo
puntando a una verità duratura.

Frutti lenti a crescere
sul davanzale di una nuova emozione
donano minuziose dolcezze pensate,
la logica dell’attesa
si rivela al tramonto.

Circondato da una bellezza passeggera
ricerco nella voce del destino
il significato più profondo
di un andare non ancora adulto.

(ph Igor Siwanowicz)

(tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

Patti

patti-smith-1650662428

La provincia è un vestito ristretto, non entra più
dopo sciagurati lavaggi in calmi vortici,
non c’è spazio invidiato che per pochi viscidi ego

muoviti verso l’estinta New York di Patti Smith
lì forse canterai al microfono di chi ti somiglia,
la poetessa del rock è in cerca di parole
nuove ma vissute, è bastato il silenzio di un lutto
[a trovarle

rimandi ancora la partenza per bagagli complicati,
vecchiaia e conti alla rovescia fin dall’embrione
vite concentrate in pochi disperati mesi,

conservi telefoni di chi è già morto prima del gran finale
foto nella scatola che mai più riaprirai,
collezioni rate di fiducia per giorni canuti che non vivrai.

L’età dell’ironia

328679413_2814192902048511_6166739092878205441_n

Naftaline evaporano sotto forma d’insetti al naso,
il sorriso di una ritrovata donna, la ricerca della felicità
un libro già masticato da troppi inverni editati
mandarlo al macero visivo di lettori distratti,

farine di grilli per saltare la vecchiaia
altro che polvere di stelle da favole illuse!
Abbiamo avuto mille occasioni per sparire
ma insiste il dito opponibile sotto la lampada di Ritsos
lasciare almeno un verso animale,
una pensione di sincere intenzioni, un poetico rutto
nella notte indigesta delle parole in guerra.

(ph M.Nigro©2023; titolo: “Santo per caso!”)

“Poesie sospese”, silloge prima

pdf scaricabile: “Poesie sospese”, silloge prima

copertina vol.1 jpeg

Poesie sospese, come i “caffè sospesi” a Napoli, offerte gratuitamente ai poveri in parole ma bisognosi istintivi di significanti, agli indigenti della città dell’anima, ai mendicanti del verbo che è balsamo scritto su carta effimera, ai cercatori inconsci di significato attraverso le poeticherie di altri avventori. Senza alcuna pretesa consolatoria o “farmacologica”, si tratta ancora una volta di poesie minori e pensieri minimi lasciati sul bancone di un “bar internautico” a chi è di passaggio e gradisce sorseggiare miscele inedite, a un lettore sconosciuto che va di fretta o che invece vuole concedersi qualche minuto di pausa per girare con il cucchiaino della riflessione i versi concepiti da altri; poesiole donate a chi non può permettersi di giocare con le parole, di pagarle in prima persona, di viverle sulla propria pelle. La filosofia, solidale e filantropica, dell’economia circolare applicata al poetare: continua l’avventura dei materiali di risulta riciclati in nome di una sostenibilità esistenziale.

Michele Nigro

pdf scaricabile: “Poesie sospese”, silloge prima

Ogni giorno strappato

da “Poesie minori, pensieri minimi – materiali di risulta” (volume terzo) – 2021

Ogni giorno strappato
è una rivalsa materna
sulle morti della prima ora,

ma non puoi sapere
che forma avrà tra un secondo
la nuvola di storni sulla città.

Non chiedo più aiuto per un niente
all’informatico del secondo piano,
trovo risposte da me nel silenzio
dei viaggiatori solitari.

IMG_20221013_094712

“Quark”, per noi…

versione pdf: “Quark”, per noi…

Piero_Angela_Cover

Ricordo ancora quando all’inizio degli anni ’80  ̶  era il 18 marzo del 1981 per la precisione!  ̶  io e mia sorella sulla RAI guardammo con un interesse inedito la prima puntata di un programma tutto nuovo, lineare nella sua struttura, apparentemente semplice nel suo intento espositivo, ma ricco e avvincente dal punto di vista contenutistico. Sul piccolo televisore in bianco e nero nel salone della nuova casa, nella nuova città in cui ci eravamo da poco trasferiti, la figura elegante, equilibrata, garbata del giornalista Piero Angela, classe 1928  ̶  come nostro padre venuto a mancare pochi anni prima  ̶  che avrebbe assunto a sua insaputa la funzione di padre adottivo scientifico: il tradizionale racconto prima di addormentarsi di un genitore o di un nonno fatto di lupi mannari, maghi, bambini persi nei boschi, avrebbe ben presto lasciato il posto al racconto scientifico di quel nuovo cantore serale fatto di neutrini, esplorazioni spaziali, entropia e buchi neri… Attraverso una rinnovata esposizione dei fatti e delle scoperte, ci veniva offerto un nuovo approccio persino alla vita quotidiana, più logico, razionale, basato sul rigore della sperimentazione e sulla “fede” nella ricerca di nuove soluzioni a quasi tutti i problemi dell’esistenza umana: dai sistemi più complessi fino a scendere a livello delle questioni elementari, condominiali.

Perché questo è stato il grande Piero Angela  ̶  refrattario a una certa politica e fedele al sapere senza essere saccente  ̶  durante questi preziosi decenni di divulgazione scientifica compiuta attraverso il mezzo televisivo e non solo: è stato un traduttore dal linguaggio scientifico a quello quotidiano, un “esemplificatore” della materia scientifica e tecnologica senza mai correre il rischio di depauperarla o ridicolizzarla nel tentativo di renderla assimilabile. Anche quando si è avvalso dei cartoni animati di Bruno Bozzetto, o di altri mezzi comunicativi, per spiegare una teoria o per semplificare un concetto spigoloso, Piero Angela, insieme agli altri autori che con lui hanno collaborato per molti anni, non ha mai declassato la complessità dell’argomento trattato; ha invece avvisato il telespettatore della difficoltà del tema richiedendo a quest’ultimo una maggiore dose di attenzione: perché il divulgatore non è solo colui che premastica o predigerisce la materia sostituendosi al telespettatore, ma è soprattutto un amante della scienza che propone a chi lo ascolta di impegnarsi a capire, ad approfondire, di sforzarsi per andare incontro alla comprensione personale dell’argomento, facendolo proprio. Come ogni vero insegnante sa, è molto più importante accendere la curiosità in chi ascolta che propinargli un omogeneizzato nozionistico privo di sapore e di odore.

Continua a leggere ““Quark”, per noi…”

La presenza nell’assenza: un anno senza Franco Battiato

versione pdf: La presenza nell’assenza: un anno senza Franco Battiato

padre

La presenza nell’assenza: un anno senza Franco Battiato

“… Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza…”

Ho sempre avuto un approccio da “archivista” nei confronti della morte: di quella di un parente, di un amico… Superato un comprensibile momento iniziale di smarrimento per la dipartita, senza perdermi d’animo, anzi con ancor più lena, ho sempre dato spazio a una conseguente opera di “raccolta e archiviazione” di tutti quegli elementi esistenziali che hanno caratterizzato un vissuto comune, un cammino condiviso: stampare il dialogo di una chat, elencare date cruciali, raggruppare foto, raccogliere materiale… per me rappresentano gesti naturali del post-mortem. Come a voler congelare non il momento della morte in sé, quanto piuttosto il percorso concreto, tangibile, che l’ha preceduto; un appiglio materialistico sull’abisso, un modo per dire a se stessi che nulla, neanche una briciola, andrà perduta di quel che è stato fatto insieme; per non darla vinta alla morte che livella – lei sì, archivista definitiva e inesorabile! -, che chiude a ogni possibilità di proseguimento di un discorso tra viventi che emettono suoni. Allora ci si affida alla stampa dei reperti per averli sottomano nei giorni successivi alla tumulazione, alla tecnologia che conserva negli hard disk pezzi di testimonianze anche frivole di ciò che è stato, alle registrazioni per quando verrà a mancare il ricordo della voce, alle immagini catturate da un vivere quotidiano senza cronaca, almeno per noi “comuni mortali” non famosi. Tutto viene sigillato in scatole, poi seppellite in armadi, in attesa di quei giorni in cui c’è più bisogno di ravvivare memorie, di ricordare fatti ricoperti dalla polvere ma non dimenticati, spostati dalla visuale ma non cancellati. Qualcuno dice che esagero a conservare tutto, che dovrei lasciar andare, che dovrei fare space clearing: ma non c’è ossessione nel mio conservare, c’è solo previdenza, cura museale per vite poco importanti agli occhi della Storia. Si conserva il passato perché il nostro cervello, giustamente, per fare spazio alle urgenze del presente, lascia andare fisiologicamente molti dati considerati “inutili” alla quotidianità.

Quando, però, ad “abbandonare il pianeta” è una persona altrettanto cara e preziosa come Franco Battiato, che non ha bisogno di “archiviazioni” d’urgenza, come nel caso del parente o dell’amico sconosciuti alle cronache, in quanto la sua stessa esistenza artistica è stata produttrice naturale di tracce non solo sonore, si finisce con l’interrogarsi sul reale significato della “presenza nell’assenza” di un personaggio pubblico di tale calibro, che ha avuto e ha un impatto umano, spirituale e artistico, diverso rispetto a quello di altri nomi altrettanto autorevoli del cosiddetto “mondo dello spettacolo”. Nomi di personaggi estinti, cari a un popolo in fila sotto il sole per salutare il feretro, osannati e pianti, certo, ma la cui essenza va ad affievolirsi, oserei dire naturalmente, nel corso del tempo: questi passanti, a maggior ragione, sono bisognosi di archivi e teche Rai da rispolverare.

battiato

Battiato, invece, si fa ricordare con una forza crescente proprio nel silenzio e nella distanza; più si lascia sedimentare l’evento umano della sua morte, più la sua essenza risale attraverso i mesi e le distrazioni come un “rigurgito spirituale”. Battiato non apprezzava gli archivisti; raccomandava sempre di non raccogliere ossessivamente tutto su di lui: interviste, foto, video, bootleg, “rubriche aperte sui peli” di Battiato e “reliquie” varie… Ci preparava, già allora, alla ricerca dell’essenza, al non attaccamento alle cose e ai corpi cantanti. Anche l’Egitto, con le sue piramidi e le sue meraviglie, prima o poi verrà ricoperto nuovamente dalle sabbie, e i musei perderanno i propri reperti custoditi gelosamente: la materia è destinata a dissolversi, come le onde in uno stagno o quelle sonore di una canzone. Ma l’essenza no, quella permane anche senza l’ausilio degli oggetti archiviati: come nel film “Padre” di Giada Colagrande, la presenza dell’estinto (interpretato proprio da Battiato) si fa ancor più viva e significativa – per comodità cinematografiche si identifica questa presenza attraverso la figura ormai folcloristica del classico fantasma – all’indomani della sua dipartita: ed è un esserci discreto, non spaventevole, silenzioso (silenzio a cui Battiato, per questioni private non da tutti rispettate, ci aveva già consegnati molto tempo prima di attraversare “la porta dello spavento supremo”). “Un giorno senza tramonto / le voci si faranno presenze”: è la scoperta dell’essenza nell’assenza, anche dell’assenza in vitam. Una scoperta che può essere fatta solo se si ha il coraggio, a un certo punto, di abbassare l’audio dei vari tour commemorativi, degli affollati e umanamente comprensibili concerti-evento per onorare il grande artista, e di affidarsi seppur dolorosamente alle sole registrazioni discografiche di una voce destinata a non ritornare, mai più, per come eravamo abituati a percepirla, ovvero attraverso i limitati sensi umani: la voce del padrone di un corpo disfatto, che non rivedremo mai più muoversi, cantare, scherzare, suonare, danzare su un palco come negli anni gloriosi e spensierati dei live in giro per il mondo e dei nostri viaggi in vista di concerti estivi, tra piazze e cavee. “Spensierati” fino a un certo punto: la musica di Battiato solo in superficie lasciava spazio a un goliardico citazionismo all’apparenza slegato e al cazzeggio cuccurucucheggiante dei fine concerto sotto i palchi; in realtà i testi e la musica di Battiato, come ben sa chi l’ha musicalmente frequentato, scavavano in profondità, mutavano inesorabilmente l’animo dell’ascoltatore, si prendevano il loro tempo, disseppellivano angolazioni interiori non catalogabili, di quelle che ci invitavano e ancora c’invitano al viaggio in paesi che tanto ci somigliano: territori spirituali ma anche geografici; a volte prima geografici e poi spirituali.

095622775-5f3c7436-affd-4a81-b750-9ab63cfc7b97

Viaggiare con Battiato nelle cuffie, colonna sonora di traversate solitarie in territori non per forza mistici, a volte popolari, turistici, affollati come i mercati arabi in paesi stranieri o il “suk palermitano” di Ballarò, perché Battiato rappresentava e rappresenta l’esperimento riuscitissimo di una ricerca superiore fatta con mezzi appartenenti alla cosiddetta “musica di comunicazione”, non per forza di consumo (pur essendo stata anche di consumo), e che diede vita a un inedito, colto e ossimorico “pop elitario”. Così come fanno certi vaccini di ultima generazione, veicolava “frammenti genetici” di insegnamenti sconosciuti e antichissimi attraverso l’involucro “innocuo” del mezzo sonoro: l’obiettivo non dichiarato era quello di creare un’immunità (mai “di gregge” perché Le aquile non volano a stormi, ma amano e difendono la propria individualità) agli “urlettini dei cantanti”, al facile consenso dato ai tormentoni estivi dalla vita effimera, a un cantautorato nostrano incapace di offrire strade culturali alternative o esotiche, quando non addirittura esoteriche. Ha portato, musicalmente parlando, l’Alto alla portata di quasi tutti, senza mai scendere a compromessi con il Basso, con gli istinti un po’ bestiali e i desideri mitici dei suoi stessi fan che sistematicamente – per nostra fortuna – ignorava, con i “livelli inferiori” della condizione umana che aspirano a una facile fruibilità del mezzo. Ha seguito e rispettato i propri interessi culturali e non quelli suggeriti dal mercato, pur avendo venduto milioni di copie. E soprattutto ci ha fatto comprendere che tentare di modificare i massimi sistemi – primi fra tutti quelli politici! – è inutile oltre che pretestuoso, e che è ben più arduo ma spiritualmente soddisfacente (Battiato sarà sempre il nostro “Assessore alle Meccaniche Celesti”!) impegnarsi a cambiare il proprio microcosmo interiore, a rendere migliore ciò che abbiamo a portata di mano in noi stessi. Engagez-vous!

Continua a leggere “La presenza nell’assenza: un anno senza Franco Battiato”

Nuvole nere

astronave

Isolarsi dalla notizia che goccia
sulla pace distratta dei tempi
il cammino era già chiaro da ieri
abbassare l’audio del mondo
seguire la linea cancellata del silenzio.

Sono lontani gli scorci non connessi
dei commenti ai quadri del diverso,
ora ad asciugare al sole senza memoria
sul balcone della madre paziente e greca
lenzuola nere come notti
di estranee passioni,

prendono il nostro posto
all’insaputa di volontà assuefatte.
Anime sotto forma
di nugoli di storni
all’imbrunire modellano in cielo
libere domande all’infinito
anche per chi risposte più non ha.

San Francesco d’Assisi: da Zeffirelli alla Cavani

versione pdf: San Francesco d’Assisi: da Zeffirelli alla Cavani

cover_fratello_sole

“… Mi piacciono le scelte radicali…”

(da Mesopotamia, Franco Battiato)

Numerose sono state nel corso degli anni le riduzioni cinematografiche della vita del Santo di Assisi proposte a un'”agiografia per immagini”; anche alcune fiction televisive hanno tentato di raggiungere il grande pubblico del mainstream con risultati non trascurabili. Tuttavia, due sono le opere filmiche che maggiormente occupano ancora oggi l’immaginario collettivo: “Fratello sole, sorella luna” di Franco Zeffirelli (1972) e “Francesco” di Liliana Cavani (1989). Entrambe ripercorrono, più o meno fedelmente, le determinanti tappe biografiche — riprese dalle Fontiche lentamente ma inesorabilmente condussero il giovane Francesco verso scelte esistenziali irrevocabili: l’età spensierata e scapestrata, il disincanto che seguì alla disastrosa esperienza bellica, i finti ideali nobiliari traditi o ridimensionati, la prigionia presso Perugia, la convalescenza e la rivalutazione delle priorità scambiata per disturbo da stress post-traumatico (sembra che Francesco, abbracciando la povertà totale e riconoscendola ora più di prima nel messaggio evangelico, non voglia distaccarsi da quella precarietà esistenziale sperimentata in guerra e che ha decretato il tramonto definitivo degli entusiasmi giovanili e della ricerca di glorie terrene), il graduale distacco da uno stile di vita familiare e sociale non più consono alla propria evoluzione interiore, la pubblica spogliazione e la rinnegazione del “padre biologico”, l’inizio di un’autentica vita povera in contrapposizione a quella ricca e agiata della Chiesa ufficiale del tempo… Tappe che ormai, al di là delle sfumature e delle omissioni tra le versioni dei vari biografi vicini o lontani cronologicamente al Santo, costituiscono i pilastri ufficiali di un immaginario che ha attraversato i secoli.

5e49020d-3297-486e-bfae-ba8c0334eb32@3

Sessantottino, più “figlio dei fiori” che serafico, delicato e dall’aspetto angelico, quasi efebico, il Francesco di Zeffirelli propone una versione poetica, dolcemente rivoluzionaria e romantica del Santo (per i più critici eccessivamente edulcorata e quindi poco veritiera dal punto di vista storico); Chiara è una biondissima e bellissima hippy folgorata sulla via di Woodstock: i Sessanta sono da poco trascorsi e la loro influenza sul regista è tangibile. Gli uccellini e i prati fioriti non mancano, così come le inquadrature in stile documentario naturalistico sulla vita degli insetti e degli animali: l’ecologismo flower power — da contrapporre agli asfissianti e distruttivi meccanismi capitalistico-consumistici — è rispettato alla lettera, così come il rifiuto della guerra, di tutte le guerre, di ogni epoca: da quella medioevale tra Perugia e Assisi, fino al più recente Viet-fucking-nam!; il primato spirituale su quello materiale: c’è una cecità, da cui guarire, che colpisce l’anima prima ancora che gli occhi. La rappresentazione dei poveri (ma anche quella dei ricchi) rasenta il grottesco tipico del circo felliniano. I francesismi materni sono dei divertenti intercalari linguistici che insistono sull’origine anche transalpina del Santo. La goliardia di Francesco ricorda quella del Romeo Montecchi shakespeariano (anch’egli immortalato nel film Romeo e Giulietta di Zeffirelli), ma alla fine entrambi saranno catturati in maniera inesorabile dall’amore: Romeo da quello contrastato e tragico per Giulietta, Francesco da quello altrettanto difficile e in salita per Cristo, e non per Chiara, come una parte di noi avrebbe intimamente e laicamente desiderato. D’altronde la santità coerente e la “verticalità” non sono per tutti.

fratello-sole-sorella-luna-13

Anche lo scontro padre-figlio, tra Pietro di Bernardone e François, viene rappresentato come gap generazionale tra “boomer” e figlio ribelle; in realtà dietro l’incomprensibilità tra padre e figlio, ammorbidita con soluzioni da commedia e qualche ceffone, si cela una storia ben più drammatica: Pietro di Bernardone (che nel film sembrerebbe in fin dei conti solo un ingenuo bonaccione accecato dal commercio e dalle ricchezze) incarcerò fisicamente Francesco, tra le mura di casa, pur di dissuaderlo dai suoi “pazzi” propositi e dai generosi gesti scellerati nei confronti dei poveri di Assisi. Ancora lontano dal suo Gesù di Nazareth del ’77, Zeffirelli propone un Francesco che è più vicino — non per lo stile ma per la dinamicità e “modernità” dei personaggi — al Jesus Christ Superstar di Norman Jewison. Indiretta ma assolutamente non secondaria la funzione emotiva della colonna sonora affidata al maestro Riz Ortolani: non poche associazioni giovanili cattoliche hanno adottato per anni, fino ai giorni nostri, alcuni brani diventati in seguito parte integrante del repertorio musicale religioso. Anche Francesco, però, come Gesù Cristo, ha il suo musical nostrano: Forza venite gente (1981) di Mario e Piero Castellacci. Quello del Francesco zeffirelliano, insomma, è un brand dal successo intramontabile, capace di adattarsi alle più svariate forme di espressività artistica e mediale.

b0217643_23315853

È incredibile come già in questa pellicola (e soprattutto nell’esempio stesso di San Francesco) sia contenuta la tesi — esposta attraverso le parole di Papa Innocenzo III — di un famigerato saggio di Matthew Fox, frate domenicano espulso a causa di questo libro dall’ordine nel 1993 su richiesta dell’allora cardinale Ratzinger, intitolato In principio era la gioia (Original blessing). Afferma il Papa del film rivolgendosi a Francesco: “Nella nostra ossessione per il peccato originale, a volte si dimentica l’originale innocenza. Fa che non succeda anche a te!”. La gioia del messaggio evangelico è affogata nel senso di colpa e l’iniziale entusiasmo vocazionale viene ricoperto e soppiantato dalle incrostazioni del ritualismo e dalle formalità dogmatiche: un monito non troppo velato a un certo tipo di Chiesa stanca, secolarizzata e corrotta, capace di mantenere solo un presidio per convenienza e senza una precisa volontà di rinnovamento. Lo stesso attuale Papa Francesco — che ha scelto proprio questo nome con il chiaro intento di rinnovare la Chiesa a cominciare dall’interno — ha dovuto ridimensionare il suo iniziale entusiasmo rivoluzionario e tornare nei ranghi.

Continua a leggere “San Francesco d’Assisi: da Zeffirelli alla Cavani”

Il Limite Ignoto

this_is_the_world_that_you_know_the_matrix_40m_35s_television_wing_chairs_morpheus_neo

Qual è il confine tra un’esistenza regolare
e la ribellione?
Zone spontanee e indefinite di territorio selvaggio
resistono ai pratici attacchi del reale.
Sulla linea gialla della civiltà
passeggia solitario il cercatore di margini invisibili
per salvarsi da automatismi storici.
Non c’è frontiera se non nel cuore
e nella mente
avidi proprietari di angoli inespugnabili.

Sospeso nella provincia, congeli spazio e tempo
dissociato, non partecipi alle statistiche di regime
e ti spedisci al confino, libero e a tratti felice
in attesa di giorni adatti alle previsioni
conservate in archivi pazienti.
Ingranaggio educato e silenzioso
di un orologio asociale
che passa al bosco
si ritrae nella foresta
si dà alla macchia.
Waldgänger.

gli ultimi quattro versi sono un riferimento al Trattato del Ribelle
(Der Waldgang) di Ernst Jünger

(tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

“Il fantasma dentro la macchina” di A. Koestler diventa audiolibro

maxresdefault

Grazie al lavoro meritorio di Rossana Marino, il saggio di Arthur Koestler “Il fantasma dentro la macchina” è diventato un comodo audiolibro gratuito e consultabile dal pubblico interessato: sul canale YouTube che ospita le letture, ogni capitolo del libro corrisponde a una “puntata” dell’audiolettura. Di seguito si propone il primo capitolo: i successivi, di diversa durata, sono elencati nel canale e facilmente riproducibili.

Nel ringraziare Rossana Marino per questa iniziativa che le fa onore, vi auguro buon ascolto… in attesa di una ri-edizione italiana di questo importantissimo scritto (attualmente ancora fuori catalogo e quindi non disponibile sul mercato editoriale!) che, oltre a essere fonte di complesse e inesauribili riflessioni biologico-filosofiche, è stato e sarà istigatore di altre idee e creazioni artistiche…

Nota a “Radici” di Antonietta Cianci

9788831249287_0_536_0_75

C’è tutto l’impeto tipico dell’opera prima nella raccolta “Radici” di Antonietta Cianci (Ed. Transeuropa; collana di poesia “Nuova poetica 3.0” – 2019): la voglia di raccontarsi e abbandonarsi a un troppo detto, troppo spiegato, a un accapismo che vorrebbe tenere a freno, invece, lo sviluppo di una dolce novella in prosa. Scrive bene il prefatore, Carmine Cimmino: “… A prima lettura, pare che i versi abbiano il ritmo della riflessione ad alta voce… […] … poi rileggi, e senti che sotto la durezza dell’ “andamento” prosastico c’è la delicatezza delle luci della memoria…”. Immagini sobrie e lapidarie gareggiano con ampi sfoghi amorosi, nostalgici, ripercorrenti ed autoanalizzanti. Spesso, forse troppo spesso, interviene un’anafora a rinforzare un’invocazione che diventa preghiera malinconica, rimpianto, resa dei conti con luoghi, esistenze, persone e città amate (“… pace / quella che sale dalle viscere della nostra Napoli / che parla di silenzi / con la lingua del rumore…”). Con sé stessa — l’autrice —, con un io e te incompleto, ormai sfumato, appartenente al passato, non funzionante, rotto ma agrodolcemente presente come un’ossessione che fa compagnia durante l’esilio.

Pur inciampando, a volte, in “romanticherie” ostili alla poesia e in passaggi prevedibili, i versi di Antonietta Cianci rappresentano un bel viaggio, passionale e appassionato, ben descritto e sentito anche da chi legge, nell’animo (e fuori da questo) di una persona che ricerca sé stessa e ama raccontare ciò che vede o ricorda. Tutti i sensi sono coinvolti (“… nell’aria assolata / che profuma di oleandri… […] … ogni cosa / cambia colore… […] … ogni cosa / mutando forma / si bagna di luce…” e ancora: “mentre immergete / i piedi nell’acqua salata…”); tutte le angosce, le speranze e le dolcezze sono coraggiosamente esposte al sole della parola (“… E adesso sto a viso scoperto / nessun velo sopra il mio volto”). A scrivere è un’anima in eterna partenza, sospesa ma in movimento, in bilico tra i binari di un’imprecisa andata e di un ritorno quasi sempre di cuore, e in attesa di conoscere la meta definitiva (“Solo la mia valigia rumoreggia / sul breve percorso verso la stazione…”; “… e la zingara alla stazione / mi dice che ho gli occhi tristi…”; “… un ordine per fermarmi. / E stare.”).

Continua a leggere “Nota a “Radici” di Antonietta Cianci”