












Non ti sbracci piΓΉ dalla finestra dell’alveare
per salutare quella promessa
donata al mondo, masticata e sputata
da lontano cara minuscola figura, alle partenze
mi accompagnavi con lo sguardo, pregando
fino all’angolo della fiducia.
Ricambiavo,
poi l’ebbrezza della libera autonomia.
A quei tempi le speranze
erano reali e i sogni ancora vividi.
Ora, solo uno stanco controllare
se si Γ¨ giunti vivi al giorno dopo,
il disincanto apre con rassegnazione la porta
a una prodiga presenza inflazionata.
a Jurij AndrΓ¨eviΔ Ε½ivago
Siamo freddi cieli stellati
puntelli di luce ineguale
sul piano curvo del presente.
Ci raggiungono misti bagliori
da obliqui passati pulsanti
tutti insieme, come voci latenti
di un coro ormai spento, spopolato
differenti le distanze dagli astri defunti.
Cos’Γ¨ questa buia condanna
che ogni cosa ricorda, immortala
e conserva gelosa, inconscia
in scrigni di domani sospesi?
Nessuna benevola censura
fa una cernita di noi, che so!
l’assassinio dell’archivista
il repulisti di primavera
uno scarto di ricordi, almeno quelli piΓΉ usati
lasciati alla corrente immemore della vita
sfuggiti, graziati, al fine liberi di tornare
alla fonte, a un’origine delle intenzioni
invece niente, nella scatola dei souvenir
tutto rimane limpido, tenero
sul piano apparente e notturno
di un vivo attuale che non perdona.
AvverrΓ , un giorno
il punto di non ritorno da questo sfondo in cantiere
le dediche disseminate tra le mani di sposa
il ninnolo impolverato scoperto dagli eredi
un suono di campana tibetana, vigliacco di spalle
a svegliare antichi dolori, dolci di vecchiaia, a pugnalare.
β¦
Arrivederci AntΓ², ci ribeccheremo di nuovo alla fine di questo tunnel chiamato ‘vita’!
Cinque Terre
dedicata ad Antonio
Gli inerpicarsi sudati
in strane, inattese
primavere dβinverno
su nere rocce salate
scavate dal ritmo naturale
di una poesia infinita,
essere giovani, di nuovo
tra spruzzi feroci
dal mare natalizio
che ignora
i non degni di Byron.
La sete di altri scorci
inesplorati, senza futuro
e sprazzi di storia
nel rosso tramonto che
annuncia speranze dβorizzonte,
una preghiera involontaria
diventa strada tra pietre
antiche
come voci evocate.
Proteggimi, pieve di costiera!
agitata da onde di tempo
al tremolio di devote candele
con spuma di persi pensieri
hai salutato nei secoli
schiere di ignoti partenti
su legni
verso lontane fortune.
(m.n.)
β¦
Quando una persona cara, un amico, ci lascia per sempre, subito dopo aver realizzato l’inesorabilitΓ dell’evento chiamato “morte”, che ci priva della presenza ma non del suo riverbero, andiamo istintivamente alla ricerca di quelle briciole lasciate lungo il cammino condiviso con chi Γ¨ scomparso. Facciamo cosΓ¬ con tutti, sempre: Γ¨ una ricerca naturale, umana, spontanea, da non rimandare; Γ¨ un modo – con i nostri poveri mezzi umani – per contrastare l’oblio, il traffico di una vita occupata molto spesso da cose inutili e assurde che ci allontana dall’essenza che conta. Una mossa da fare a caldo per mettere dei paletti cronologici e dire “da qui la dimenticanza non passerΓ !”. Fissare la storia, la micro-storia: quella che non va sui libri di Storia Ufficiale ma che Γ¨ importante per chi l’ha vissuta.
Si tratta di ricordi personali, che tali restano, e di tracce pubbliche, come quelle lasciate da Antonio che era ed Γ¨ poeta, vernacolista, scrittore, saggista, cinefilo, estimatore del grande Fabrizio De AndrΓ©, letterato per studi universitari e per passione, uomo colto inizialmente per il piacere in sΓ© del sapere e in seguito insegnante per il piacere di trasmettere quella conoscenza agli altri, soprattutto alle giovani menti che ha avuto l’occasione di incontrare e plasmare operando nel delicato mondo della scuola. Le briciole sono la testimonianza concreta di ciΓ² che Γ¨ avvenuto realmente e non di ciΓ² che sarebbe potuto essere e non si Γ¨ verificato per altri motivi; forse queste briciole, da raccogliere e valorizzare ogni giorno e non da nascondere sotto il tappeto del tempo,Β sono solo uno stratagemma attuato da noi viventi per alleviare il dolore del distacco e dell’assenza improvvisa, fatto sta che attraverso di esse riusciamo a proseguire un discorso lasciato a metΓ e che non avremmo voluto interrompere. Beato, dunque, chi come Antonio ha lasciato e lascia tracce non solo esistenziali, affettive, biografiche ma anche “intellettuali” da poter rileggere, ripercorrere, rivivere mentalmente. E da cui continuare a trarre un insegnamento perenne…
Di seguito ho pensato di elencare alcune di queste briciole, ma chissΓ quante altre avrΓ sparse in giro nel corso della sua esistenza culturalmente attiva e vissuta all’insegna di una sana e autentica voglia di vivere…! Si tratta di tracce scritturali lasciate da Antonio soprattutto, ma non solo, risalenti al periodo di quando ho avuto l’onore e il piacere di averlo tra i collaboratori della rivista letteraria trimestrale “Nugae – scritti autografi” da me diretta fino al 2009. Quando possibile, ho lasciato il pdf (liberamente scaricabile) o il link al post contenente il contributo di Antonio; in altri casi si tratta di collegamenti a sommari di numeri non disponibili in versione pdf ma solo cartacea.
Ho pensato a questo elenco sperando di fare cosa gradita non solo a familiari, parenti e amici “stretti”, ma soprattutto a chi passerΓ per caso su questo blog non conoscendo il Prof. Antonio Scarpone di Galdo degli Alburni (SA) e trapiantato a Sarzana (SP) per lavoro, a chi non ha fatto in tempo a sviluppare un’amicizia con Antonio, e avrebbe voluto, o a chi lo ha semplicemente sfiorato in questa esistenza e ha capito che c’era molto, ma molto altro ancora da capire e conoscere… Buona lettura e grazie! (m.n.)
versione pdf: Su “Γ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino
“La realtΓ Γ¨ scadente”
(Fabietto)
Al di lΓ dell’autobiografismo “in ritardo” – anche se c’Γ¨ sempre qualcosa di personale persino in film la cui trama Γ¨ all’apparenza lontana dal privato del regista -, βΓ stata la mano di Dioβ di Sorrentino Γ¨ una bella elegia filmica sulla nascita di una scelta artistica: la propria.
“Ce l’hai una cosa da raccontare?” la domanda cardine del film. E cos’Γ¨ che ti spinge o ti spingerΓ a raccontarla attraverso la cinepresa (o un romanzo, ricordando il piΓΉ recente Sorrentino romanziere)? Basta il “dolore”, quest’entitΓ ispiratrice non ben definita e di fatto non definibile, per scegliere di trasporre l’esistenza reale che non ci piace sotto forma di riduzione cinematografica? Se non ci fosse stato l’evento luttuoso, l’impeto sarebbe stato lo stesso? Quella idea embrionale di “fare il regista di film” avrebbe sostenuto le distanze? Forse sΓ¬ ma in maniera diversa: non lo sapremo mai. Ed Γ¨ giusto non saperlo perchΓ© le esistenze non si basano sui “se fosse” ma su ciΓ² che appare concretamente davanti agli occhi, in questo caso, dello spettatore. L’idea abbozzata e maldestra, come il primo sesso fatto con l’anziana vicina di casa che fa da “nave-scuola”, per realizzarsi avrΓ bisogno di ben altre esperienze, di vero sesso con ragazze desiderate, di gambe che hanno voglia di andare, di esistenza da macinare altrove. Di fede: come quella nel “munaciello” e in una zia che si fa passare per pazza gabbando una realtΓ scomoda e violenta; di fede in cose di cui vergognarsi, lontanissime, non credute possibili dagli altri (e forse anche da sΓ© stessi), come il voler fare cinema. Fantasticherie giovanili che pian piano diventano esigenze esistenziali, modi vitali per tradurre il reale amaro in qualcosβaltro.
Il dolore non Γ¨ completo se non Γ¨ abbinato al comico che nasce anche nei momenti piΓΉ tragici: passare dalla disperazione alla risata Γ¨ la commedia della vita che puΓ² ispirare un film, una storia da scrivere, una musica; Γ¨ il vissuto sublimato in arte.
I familiari e i parenti – proprio come la cittΓ di Napoli che basa la sua bellezza su un’atavica contraddizione che non puΓ² essere compresa e accettata da tutti, se non viene vissuta e metabolizzata – sono al tempo stesso spassosi e drammatici: la quotidianitΓ Γ¨ un continuo e sorprendente psicodramma da cui trarre impulso creativo.
La propria materia umana Γ¨ ancora, giustamente, acerba, non modellata, imbevuta di indecisione: anche imparare a piangere diventa una conquista interiore importantissima e interessante. Fino a quando ci si potrΓ isolare dal mondo nascondendosi sotto le cuffie di un inseparabile walkman? Si diventa curiosi sperimentatori di sΓ© stessi e del mondo circostante: il dolore apre canali sensoriali ed emotivi straordinari, sprona sensibilitΓ che in seguito serviranno a penetrare in modo originale e non convenzionale in quell’umanitΓ ridotta in pellicola. CβΓ¨ sete di vita e di libertΓ : anche dallβamicizia con un malavitoso, poco raccomandabile in base a un buonsenso comune, si attinge a piene mani e sospendendo il giudizio; la conoscenza diretta della realtΓ , quella che brucia sulla pelle scarificata dalla sofferenza, prevale sulla morale e soprattutto sul moralismo. Il dolore permette all’uomo sensibile di continuare a stupirsi e a considerare il “mistero” lΓ¬ dove le persone appagate e asintomatiche non vedono nient’altro che una stanca realtΓ .
Continua a leggere “Su “Γ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino”
Schizzechea with LoveΒ Γ¨ il titolo del nono album di Pino Daniele e Me so’ mbriacato ‘e te ForeverΒ Γ¨ uno dei brani contenuti in questo lavoro discografico del cantautore partenopeo, non estraneo a certi ibridismi acrobatici. Avrebbe potuto intitolare, con tiepidi effetti sull’ascoltatore, l’album e il brano menzionato “Pioviggina con amore” e “Mi sono inebriato di te per sempre”, ma il significante a volte, snobbando il nostro bisogno di significato immediato e rassicurante, segue proprie esigenze sonore apparentemente ingiustificabili.
In alcune poesie contenute nella raccolta intitolata De la lang(ue) di Antonio Belfiore (Fallone Editore, collana “Il fiore del deserto” – 2020) questa “esigenza” si spinge ben oltre lo sperimentalismo anglo-partenopeo preso ad esempio, proponendo (non sempre, per non inflazionare il fenomeno) innesti linguistici audaci, persino tra lingue antiche e inglese, al limite di un inutile nonsense che a guardare bene inutile non Γ¨, costringendo il lettore ad abbandonare la ricerca di una trama logica dal punto di vista linguistico-sonoro (cosa che in poesia Γ¨ giΓ regola in ambito interpretativo) in favore di una sonoritΓ innata, arcaica, selvaggia quando non bizzarra, presente nel tessuto del mondo “nonostante noi”, perchΓ© “tutti questi suoni / non sono un linguaggio” ma “evocano ciΓ² che non si esaurisce / mai in se stesso, e non si realizza / mai in significato umano”. La Vita e il Reale non c’entrano niente con la nostra piccola vita fatta di sicurezze sensoriali a buon mercato. Scopo di questa decostruzione Γ¨ “aprirci a un flusso” (joyciano?) che ci inizi a “piΓΉ infinibili possibilitΓ ”, “cercando di un suono primigenio / che non ho mai, che mai si Γ¨ potuto / ascoltare e ch’eppure sentiamo”. Al di lΓ dei giochi di ibridazione tra lingue e grafie agli antipodi, vi Γ¨ una ricerca di suoni e ritmo antichi nella poesia di Belfiore; non si nasconde l’autore, influenzato dai suoi studi musicali, dietro l’uso di questi espedienti (“Se vivo adesso dans ce lieu questa vita”) per confondere le acque e depistarci, ma per soddisfare un istinto sempre in cerca di nuove vie comunicative, trasversali e interessanti. Se il monaco deforme, ex dolciniano, Salvatore de Il nome della rosa di Eco, ridotto a film, con la sua parlata collage ci ricorda che: “La morte est supra nobis! […] My little brother! Penitenziagite!”, Belfiore pur affermando che “il corpo / c’est une parfaite machine!” non dimentica che Γ¨ condizionato da una “sporca poltiglia / (chiamala soul o identitΓ©)” e che il valore istintivo della persona Γ¨ piΓΉ della sua apparenza espressiva dettata dalle esperienze e dall’identitΓ che ne consegue. Come a voler dire che l’intima, e potremmo dire invisibile, potenza delle parole supera la loro forma geo-linguistica e che “il suono Γ¨ tutto”, non spiega l’emozione perchΓ© Γ¨ giΓ esso stesso emozione. Che restino gli altri “Ancora qui a parlarci di sentimenti / a dare spiegazioni e significati. / Le vostre storie giΓ scartate / non sanno nemmeno di suoni…”.
Jadis, si je me souviens bien
j’ai rΓ©pΓ©tΓ© aussi: il corpo
c’est une parfaite machine!
Ma questa sporca poltiglia
(chiamala soul o identitΓ©)
non Γ¨ altro che se stessa.
E tu non mostrarmi piΓΉ
le solite espressioni
gli sguardi e i brutti tic
del tuo hic, del loro nunc:
il tuo volto is worth
much more, davvero
molto piΓΉ che solo questo.
β¦
E dicevi ancora: se non ora quando?
Forse avevi ragione ma non sapevi
e non sai che il suono Γ¨ tutto
e che bisogna dire adieu a questo
sonnolento indoeuropeo – romanzo e non –
(poi a tutto quello che si porta dietro)
che mai Γ¨ Stato e che ora studiamo.
Non dire piΓΉ nemmeno adieu:
capirai che il suono Γ¨ tutto
then, you go understand pas anymo(re).
β¦
leggi anche:
Il vantaggio del mattino
sta in un’alba senza voci
pagine nel silenzio attendono
occhi nuovi e mani riposate,
Γ¨ sulle foglie d’ulivo
che risplende il primo sole
lode alle carceri
scapestrati per strade in discesa
vagano come bande medievali, ignari
bottiglie rubate e palloni da calciare
tra di essi – forse – il poverello del secolo.
Di questi tempi, un anno fa
disagio mondiale e dolori privati
ormai vecchi, simili a ferite chiuse da sorrisi
li offriamo in preghiera al Re dei re,
non visita piΓΉ i cuori la malinconia serale
in cambio forze fedeli al calare del mondo.
β¦
(ph M.NigroΒ©2021)
C’Γ¨ tutto l’impeto tipico dell’opera prima nella raccoltaΒ “Radici”Β di Antonietta Cianci (Ed. Transeuropa; collana di poesia “Nuova poetica 3.0” – 2019): la voglia di raccontarsi e abbandonarsi a un troppo detto, troppo spiegato, a un accapismoΒ che vorrebbe tenere a freno, invece, lo sviluppo di una dolce novella in prosa. Scrive bene il prefatore, Carmine Cimmino: “… A prima lettura, pare che i versi abbiano il ritmo della riflessione ad alta voce… […] … poi rileggi, e senti che sotto la durezza dellβ βandamentoβ prosastico cβΓ¨ la delicatezza delle luci della memoria…”. Immagini sobrie e lapidarie gareggiano con ampi sfoghi amorosi, nostalgici, ripercorrenti ed autoanalizzanti. Spesso, forse troppo spesso, interviene un’anafora a rinforzare un’invocazione che diventa preghiera malinconica, rimpianto, resa dei conti con luoghi, esistenze, persone e cittΓ amate (“… pace / quella che sale dalle viscere della nostra Napoli / che parla di silenzi / con la lingua del rumore…”). Con sΓ© stessa β l’autrice β, con un io e te incompleto, ormai sfumato, appartenente al passato, non funzionante, rotto ma agrodolcemente presente come un’ossessione che fa compagnia durante l’esilio.
Pur inciampando, a volte, in “romanticherie” ostili alla poesia e in passaggi prevedibili, i versi di Antonietta Cianci rappresentano un bel viaggio, passionale e appassionato, ben descritto e sentito anche da chi legge, nell’animo (e fuori da questo) di una persona che ricerca sΓ© stessa e ama raccontare ciΓ² che vede o ricorda. Tutti i sensi sono coinvolti (“… nellβaria assolata / che profuma di oleandri… […] … ogni cosa / cambia colore… […] … ogni cosa / mutando forma / si bagna di luce…” e ancora: “mentre immergete / i piedi nellβacqua salata…”); tutte le angosce, le speranze e le dolcezze sono coraggiosamente esposte al sole della parola (“… E adesso sto a viso scoperto / nessun velo sopra il mio volto”). A scrivere Γ¨ un’anima in eterna partenza, sospesa ma in movimento, in bilico tra i binari di un’imprecisa andata e di un ritorno quasi sempre di cuore, e in attesa di conoscere la meta definitiva (“Solo la mia valigia rumoreggia / sul breve percorso verso la stazione…”; “… e la zingara alla stazione / mi dice che ho gli occhi tristi…”; “… un ordine per fermarmi. / E stare.”).
Bocca di Magra, agosto 1950
“Cara Pierina,
ho finito per darti questo dispiacere, o questa seccatura, ma credi non potevo far altro. Il motivo immediato Γ¨ il disagio di questa rincorsa dove, non ballando e non guidando, resto sempre perdente, ma cβΓ¨ una ragione piΓΉ vera. Io sono, come si dice, alla fine della candela. Pierina, vorrei essere tuo fratello β prima di tutto perchΓ© cosΓ¬ ci sarebbe tra noi un legame non futile, e poi perchΓ© tu mi potessi ascoltare e credere con fiducia. Se mi sono innamorato di te non Γ¨ soltanto perchΓ©, come si dice, ti desiderassi, ma perchΓ© tu sei della mia stessa levatura, e ti muovi e parli come, da uomo, farei io se, invece dβimparare a scrivere, avessi avuto il tempo dβimparare a stare al mondo. Del resto, cβΓ¨ la stessa eleganza e sicurezza in quello chβio ho scritto e nelle tue giornate. So quindi a chi parlo.
Ma tu, per quanto inaridita e quasi cinica, non sei alla fine della candela come me. Tu sei giovane, incredibilmente giovane, sei quello chβero io a ventottβanni quando, risoluto di uccidermi per non so che delusione, non lo feci β ero curioso dellβindomani, curioso di me stesso β la vita mi era parsa orribile ma trovavo ancora interessante me stesso. Ora Γ¨ inverso: so che la vita Γ¨ stupenda ma che io ne son tagliato fuori, per merito tutto mio, e che questa Γ¨ una futile tragedia, come avere il diabete o il cancro dei fumatori.
Posso dirti, amore, che non mi sono mai svegliato con una donna mia al fianco, che chi ho amato non mi ha mai preso sul serio, e che ignoro lo sguardo di riconoscenza che una donna rivolge a un uomo? E ricordarti che, per via del lavoro che ho fatto, ho avuto i nervi sempre tesi e la fantasia pronta e precisa, e il gusto delle confidenze altrui? E che sono al mondo da quarantadue anni? Non si puΓ² bruciare la candela dalle due parti β nel mio caso lβho bruciata tutta da una parte sola e la cenere sono i libri che ho scritto. Tutto questo te lo dico non per impietosirti – so che cosa vale la pietΓ , in questi casi – ma per chiarezza, perchΓ© tu non creda che quando avevo il broncio lo facessi per sport o per rendermi interessante. Sono ormai aldilΓ della politica. Lβamore Γ¨ come la grazia di Dio β lβastuzia non serve.
Quanto a me, ti voglio bene, Pierina, ti voglio un falΓ² di bene. Chiamiamolo l’ultimo guizzo della candela. Non so se ci vedremo ancora. Io lo vorrei – in fondo non voglio che questo – ma mi chiedo sovente che cosa ti consiglierei se fossi tuo fratello. Purtroppo non lo sono. Amore.”
Cesare Pavese
β¦
lettura a cura di Michele Nigro
Continua a leggere “Lβultima lettera di Cesare Pavese a Romilda Bollati (Pierina)”
Ho fatto i conti
col mito del padre
spargendo qua e lΓ
seme che non darΓ frutto,
chiudendo l’anima ferita
a ipotesi di dialoghi in ritardo.
Vedo partire i vecchi altrui
ombre di quel che non fu,
s’ingoiano improvvise assenze
una flebile tristezza
appanna il cinico passo
per ritornare di nuovo sereno
sulle mie strade solitarie.
β¦
[immagine: “Die Andacht des Grossvaters” (Devozione al Nonno) di Albert Anker (Svizzera 1831 – 1910). Olio su tela, 63 x 92 cm, 1893. Kunstmuseum, Berna, Svizzera]
I cimiteri di montagna
sono ferite antenate
aperte verso il cielo dei nostri tramonti,
sanguinano nuvole bianche
tra lame di marmo celeste
e sprazzi di cappelle funebri
come tinelli eterni
familiari e saputi.
Ferite che non asciugano mai
sotto la pioggia improvvisa
sulle campagne assetate di vita,
sono paesi nei paesi
ma a distanza da sussurri umani
toccano piΓΉ di altri angoli
la perfezione divina.
β¦
Β (immagine: quadro di ZdzisΕaw BeksiΕski)
Il mio articoloΒ βStoria naturale del nerdβ (giΓ pubblicato suΒ βNigricanteβ,Β qui, e in seguito ripreso anche su questo blog,Β qui) Γ¨ stato riproposto suΒ Pangea,Β rivista avventuriera di cultura e idee, βuna delle migliori rassegne culturali in Italiaβ, curata dal giornalista, poeta, scrittore e critico letterarioΒ Davide BrulloΒ e che da sempre pubblica articoli interessanti e culturalmente stimolanti.
Per leggere lβarticolo:Β QUI!
β¦
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dΓ luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, Γ¨ la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
Rivista culturale on line
occhi aperti
Una libreria per immagini
"Mi lasciai dove avrei avuto tempo per pensare e attesi il fiato grosso del maestrale"
Quando scrivo dimentico che esisto, ma ricordo chi sono.
International Poetry Journal
Rivista Del Possibile
Poesia, scrittura, musica e arte digitale di Sonia Caporossi
"La pittura Γ¨ una poesia muta, e la poesia Γ¨ una pittura cieca"
Poesie, racconti, veritΓ , fantasie, ma soprattutto l'amore.
"Voi, seduti nei comodi uffici abbuffati di tasse e di grasse imposte, diventerete un giorno cibo per i vermi e nessuno s'accorgerΓ della vostra mancanza. Scarti dell'Universo" cit. I.T.Kostka "Trittico sul cibo" (Quadernetti poetici 2017)
la bellezza non Γ¨ che una promessa di felicitΓ
Scusateci per il disagio, stiamo sognando per voi
Poesie, disegni, fotografie, racconti, pensieri ed altre amenitΓ di Carlo Becattini. Tutti i diritti sono riservati.
Solo pensieri scomodi. Accomodatevi.
scrittore in Milano, Mondo
analyst and writer
E la luna - in un cielo di poco piΓΉ scuro - lo guardava dallβalto. Come dimenticare? Egli disse. Altro non esiste che un passo di polvere nella fame del vento. E dopo gridΓ² come un falco e negli occhi lβalveo delle nuvole dove scorre tutto il tempo e nelle mani la sua natura umana, immoderata.
Scrittura e altro