Patti

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La provincia è un vestito ristretto, non entra più
dopo sciagurati lavaggi in calmi vortici,
non c’è spazio invidiato che per pochi viscidi ego

muoviti verso l’estinta New York di Patti Smith
lì forse canterai al microfono di chi ti somiglia,
la poetessa del rock è in cerca di parole
nuove ma vissute, è bastato il silenzio di un lutto
[a trovarle

rimandi ancora la partenza per bagagli complicati,
vecchiaia e conti alla rovescia fin dall’embrione
vite concentrate in pochi disperati mesi,

conservi telefoni di chi è già morto prima del gran finale
foto nella scatola che mai più riaprirai,
collezioni rate di fiducia per giorni canuti che non vivrai.

Fenomenologia della “poesia facile”

versione pdf: Fenomenologia della “poesia facile”. Dalla neolingua alla neopoesia

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Dalla neolingua alla neopoesia

Ho assistito recentemente a una innovativa e coraggiosa trasposizione teatrale del famoso romanzo “1984” di George Orwell, già immortalato nella memorabile riduzione per il cinema del regista Michael Radford: inevitabilmente uno dei temi nevralgici ripresi anche dalla pièce è stato quello riguardante la cosiddetta neolingua inventata dall’autore di fantascienza britannico per descrivere il lento ma inesorabile processo di semplificazione del linguaggio, attuato dal partito del Grande Fratello, quale premessa per una decostruzione del pensiero critico nei confronti dell’ideologia dominante. Un’ideologia di regime bisognosa di pedine acritiche e non di uomini e donne pensanti. Eliminare quanti più termini è possibile dal vocabolario corrente per impedire sul nascere l’elaborazione di sillogismi e quindi di critiche in grado di mettere in difficoltà la presa diretta del dittatore sulle menti dei cittadini. La semplificazione del linguaggio per realizzare un più efficace controllo del pensiero della popolazione non è purtroppo solo un’invenzione di Orwell ma è stata nel corso della Storia anche una pratica ampiamente applicata; alcuni esempi attualizzabili: gli slogan propagandistici, le frasi a effetto per stupire l’elettore e parlare alla sua pancia, gli annunci lapidari non verificabili riguardanti opere pubbliche che non verranno mai realizzate…

È di questi giorni l’uscita nelle librerie dell’ennesimo best seller di un noto “poeta televisivo” che non fa mistero del proprio successo editoriale attribuendolo principalmente alle sue doti comunicative dirette, sincere, geo-onnipresenti, limpide, intorno a tematiche basilari, primitive, “domestiche” e a un suo stile poetico che potremmo definire “facile”, semplificato, consolatorio, medicamentoso come la panacea delle nonne realizzata con ingredienti casalinghi, non complessi, alla portata di tutti. A ogni pubblicazione di questo autore ne consegue un putiferio mediatico alimentato da critici indignati, da autori che non credono nell’autenticità letteraria di certi successi editoriali pompati dal marketing… A essere messa sotto accusa, ogni volta, è una non poesia che viene spacciata per Poesia e che misteriosamente (poi mica tanto misteriosamente, per motivi che diremo dopo!) riesce a raggiungere molti più lettori di quanto non faccia la “poesia vera”, quella riconosciuta dai manuali di metrica e dalla storia ufficiale della letteratura; quella degli autori che sgobbano su un verso per giorni e giorni, a volte per anni, (mentre il nostro, a dire degli invidiosi — anzi, lo dice lui stesso! —, le sue poesiole le concepirebbe in ascensore, in una sala d’attesa d’ospedale o in viaggio sul treno tra un reading pubblico, una soppressata da affettare e una lectio magistralis via Skype).

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A che serve fare poesia in giorni di guerra?

versione pdf: A che serve fare poesia in giorni di guerra?

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A che serve scrivere, fare poesia, mentre altrove la guerra domina la scena e le priorità sono altre? È difficile concentrarsi su ciò che all’improvviso – o forse lo è più di prima – diventa futile; soprattutto quando non si conosce profondamente il potere della parola e non si sa come usarlo. Contrapporre la poesia alla guerra, anche se del tutto inutile ai fini geopolitici e militari, diventa un dovere pubblico e non è più solo un diritto privato, un bene rifugio, un modo per lavarsi l’anima, o per evadere. È una “preghiera laica” da usare per controbilanciare la follia dell’umanità. Si continua a coltivare la bellezza per contrastare l’abbrutimento imperante, anche se l’informazione martellante riporta a ogni ora il confinato sul terreno coperto di sangue e neve sporca. Un terreno straniero, lontano ma vicino, familiare, con cui entrare in comunione per restare umani. La vita sorprende positivamente e a volte inganna, tradisce, pugnala alle spalle chi ancora si fida troppo del suo tocco che pensiamo essere eterno, idealistico. Il sogno e i progetti non possono e non devono essere messi da parte solo perché il mondo è diretto verso il dirupo del suo tempo, ma non si deve mai smettere di essere consapevoli che questa esistenza terrena non è una favola, bensì un dramma di tanto in tanto interrotto da intervalli di commedia agrodolce. Far convivere i progetti personali, anche quelli più colorati e spensierati, con la tragicità dell’esistenza: per riuscirci occorre essere sognatori, testardi, realisti quanto basta ma irremovibili sull’obiettivo. L’umana finitezza e la morte ci accompagnano lungo il cammino come fedeli amici che spronano quelli che si adagiano. Vivere il confino in un paese libero e senza guerra, mentre in altre nazioni si combattono battaglie reali e cruenti, avvicina con più forza l’autoesiliato a scegliere la via dell’arte, della parola poetica – per quel che gli è possibile –, della ricerca interiore con cui difendere la libertà di pensiero, sua e di chi non può più esercitarla. Coltivare innanzitutto per se stessi questi valori in contrapposizione ai tempi bui. La Storia non muta nei contenuti ma solo nelle forme: al di là di ogni facile fatalismo, la guerra – e più in generale la violenza in tutte le sue modalità organizzate – è statisticamente una costante nel cammino millenario dell’uomo, e nulla lascia intendere che vi potranno essere allentamenti sull’utilizzo di questa pratica autodistruttiva in futuro. Vi è, tuttavia, la possibilità di una scelta individuale, mai scontata, maturata in privato, che ognuno può compiere autonomamente per distinguersi dai tempi, per fare la differenza nel proprio piccolo. La Storia si ripete, ma nessuno è obbligato a ripetere la Storia. Sottrarsi alla partecipazione passiva, a una ciclicità a cui tutti sembriamo condannati, alla ripetizione in loop degli eventi: per farlo sono necessari conoscenza, studio della Storia, capacità di elevazione (e quindi di isolamento come forma di risposta) del proprio io al di sopra di entusiastici movimenti di massa di stampo interventistico. Non ultima, la poesia che favorisce l’estraneazione dalla follia. Il dottor Živago di Boris Pasternak, con i suoi protagonisti che rispondono al richiamo delle proprie passioni e della propria individualità muovendosi sullo sfondo di una società martoriata dalla rivolta e in profondissima mutazione, ci insegna che nonostante la Storia travolga tutti noi, in ogni epoca e con modalità che ci appaiono differenti, possediamo un mondo interiore che nessuna vicenda storica, nessuna guerra o rivoluzione potrà mai intaccare. La vera rivoluzione, quella delle scelte individuali, avviene nel silenzio dell’anima che desidera e cerca la resurrezione, stando in disparte ma attivamente, in quell’angolo individualistico da sempre ferocemente osteggiato dai totalitarismi della politica e del marketing.

(tratto da “Elegia del confino”, titolo provvisorio per un diario tra prosa e poesia di Michele Nigro, di prossima pubblicazione…)

versione pdf: A che serve fare poesia in giorni di guerra?

articolo pubblicato anche sul mensile “Oceano News”

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L’età dell’ironia

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Naftaline evaporano sotto forma d’insetti al naso,
il sorriso di una ritrovata donna, la ricerca della felicità
un libro già masticato da troppi inverni editati
mandarlo al macero visivo di lettori distratti,

farine di grilli per saltare la vecchiaia
altro che polvere di stelle da favole illuse!
Abbiamo avuto mille occasioni per sparire
ma insiste il dito opponibile sotto la lampada di Ritsos
lasciare almeno un verso animale,
una pensione di sincere intenzioni, un poetico rutto
nella notte indigesta delle parole in guerra.

(ph M.Nigro©2023; titolo: “Santo per caso!”)

Aspettando l’estate

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Attendo il tepore nell’andare lontano dal gelo
di morte, i primi veri respiri liberi su strade ferrate
verso la città che da sempre guarisce ferite
invernali, troppo aperte per non brillare al sole,

ma non dimentico le foglie cadute senza dolore
le lacrime che insegnano i modi della speranza
gli autunni amati e la pioggia di cieche parole.
Non lascio indietro quel che sono stato.

“Aspettando l’estate”, Franco Battiato

“Poesie sospese”, silloge prima

pdf scaricabile: “Poesie sospese”, silloge prima

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Poesie sospese, come i “caffè sospesi” a Napoli, offerte gratuitamente ai poveri in parole ma bisognosi istintivi di significanti, agli indigenti della città dell’anima, ai mendicanti del verbo che è balsamo scritto su carta effimera, ai cercatori inconsci di significato attraverso le poeticherie di altri avventori. Senza alcuna pretesa consolatoria o “farmacologica”, si tratta ancora una volta di poesie minori e pensieri minimi lasciati sul bancone di un “bar internautico” a chi è di passaggio e gradisce sorseggiare miscele inedite, a un lettore sconosciuto che va di fretta o che invece vuole concedersi qualche minuto di pausa per girare con il cucchiaino della riflessione i versi concepiti da altri; poesiole donate a chi non può permettersi di giocare con le parole, di pagarle in prima persona, di viverle sulla propria pelle. La filosofia, solidale e filantropica, dell’economia circolare applicata al poetare: continua l’avventura dei materiali di risulta riciclati in nome di una sostenibilità esistenziale.

Michele Nigro

pdf scaricabile: “Poesie sospese”, silloge prima

Darsi al mondo

Foto di Rachel Posner, moglie del rabbino Akiva Posner, ultimo rabbino di Kiel in Germania.

Quando riavrò il mio passo
libero saprò riconoscere
la vita di nuovo com’era?
Prima dell’inverno dentro
ritornare su vie di montagna
calpestare arsi foliage
dal sole distratto del profitto.

È un richiamo a restare quieto
sulle sicure carte dell’anima
questo dolore inedito
che apre a strane gioie
canali sensibili al tutto
a parole mai usate
a fare finta di niente
a un darsi al mondo
finalmente
disperato e umano.

(immagine: foto di Rachel Posner, moglie del rabbino Akiva Posner,

ultimo rabbino di Kiel in Germania)

“Ottobre è… poesia”: presentazione della raccolta “Pomeriggi perduti”…

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Una bella serata, una presentazione soddisfacente, un bel pubblico (nonostante le partite di calcio in tv) e dei “supporter” di prima scelta. Un grazie particolare va al Prof. Vincenzo Pietropinto per avermi affiancato e condotto nella presentazione della mia raccolta “Pomeriggi perduti” (uscita nel 2019 e andata subito a sbattere contro il muro del “lockdown” e delle successive restrizioni sociali), al vulcanico promotore culturale Gregorio Fiscina per tutto l’aiuto di questi mesi (e quindi alle testate giornalistiche, alle radio e alle tv da lui contattate che hanno diffuso la notizia dell’evento), al “padrone di casa” Franco Crispino, organizzatore da ben 15 anni della Rassegna Letteraria “Settembre Culturale al Castello” (quest’anno contrassegnata da una inedita “diramazione” poetica fino a un estivo mese di ottobre, intitolata proprio “Ottobre è… poesia”), che mi ha aperto le porte dell’Aula Consiliare “A. Di Filippo” del Comune di Agropoli

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Appendo liquidi a chiodi inediti

painting by Alex Russell Flint

La felicità serale si nutre
di rare conquiste ridicole,
appendo liquidi a chiodi inediti
di crocifissi che non funzionano.

Ma non moriranno
le parole del ricordo
i viaggi folli della lotta
la storia raccolta all’ultimo istante.

(immagine: painting by Alex Russell Flint)

George Orwell e la neolingua della politica, su Pangea.news

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Il mio articolo “La neolingua della politica di George Orwell” (già pubblicato su questo blog, qui) è stato riproposto su Pangearivista avventuriera di cultura e idee, “una delle migliori rassegne culturali in Italia”, curata dal giornalista, poeta, scrittore e critico letterario Davide Brullo e che da sempre pubblica articoli interessanti e culturalmente stimolanti.

Per leggere l’articolo: QUI!

“La neolingua della politica” di George Orwell

versione pdf: “La neolingua della politica” di George Orwell

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Dopo aver letto il pamphlet “La politica e la lingua inglese” di George Orwell, nella traduzione per Garzanti di Massimo Birattari e Bianca Bernardi, molti, troppi sarebbero i passaggi da voler citare (rischiando così, nell’enfasi citazionista, di disarticolare la tesi che anima lo scritto), e molte sono di fatto le domande e le riflessioni suscitate dalla lettura di questo breve saggio dell’autore di “1984”. Sintetizzando in maniera brutale: se il pensiero influenza il linguaggio, il linguaggio adottato da un popolo influenza il suo pensiero, e quindi la sua anima, le sue aspirazioni, le sue idee. Un’influenza “circolare” difficile da costruire – il limite temporale immaginato da Orwell per il completamento del “passaggio” era, e forse è ancora, il 2050! – e altrettanto difficile da scardinare, se non attraverso consistenti traumi storici e culturali. Da qui, per invertire il trend negativo, l’esigenza pratica di nutrire il linguaggio, e quindi il pensiero, con letture che arricchiscano il proprio “paniere idiomatico”. Senza dare la colpa alle “condizioni sociali presenti”.

Se nell’appendice a “1984”I principi della neolingua – compare tra i primi obiettivi il conseguimento di una semplificazione del lessico che rasenta l’umorismo (le parole inventate da Orwell per il “Dizionario di neolingua” sono ridicole e fanno ridere perché lontanissime dalle nostre consolidate abitudini linguistiche: sbuono, sessoreato, nutriprolet, sbuio… Integrare un’intera lingua in pochi termini) allo scopo di bloccare sul nascere lo sviluppo del pensiero per mancanza di “materia” con cui elaborarlo e ampliarlo, nel nostro tempo presente con il cosiddetto “politichese” (volendo restare nell’ambito politico-ideologico) si vuole raggiungere lo stesso obiettivo distopico ma con un linguaggio non più “asciugato” dalle direttive di un partito dittatoriale come nel romanzo di Orwell, bensì reso disarticolato da una vacua complessità: in questo caso il pensiero viene letteralmente “affogato” non già dalla mancanza di lessico ma dal suo disordinato eccesso. E Orwell riporta dalla sua epoca, con tanto di riferimenti, ben 5 autorevoli esempi di “cattiva lingua” utilizzata in pubblico e per il pubblico.

La prosa moderna si allontana dalla concretezza: ha eliminato i verbi semplici, abusa di cliché e di formule vuote per “stordire” l’interlocutore. Ma oggi, in paesi liberi come l’Italia, a chi conviene, lì dove sono assenti palesi dittature, mantenere e alimentare un linguaggio che allontana la popolazione dalla realtà delle cose? Oserei dire, anche se non riportato nel pamphlet di Orwell, che conviene alla finanza, alla macchina consumistica in cui siamo coinvolti. Non c’è un chiaro pericolo Socing – come nel romanzo “1984” -: la politica (persino quella dittatoriale, divenuta anacronistica e poco “comoda”) si è ormai da decenni consegnata mani e piedi ai meno evidenti e più proficui meccanismi della finanza mondiale che tutto condiziona e influenza. Perché affannarsi a ottenere il controllo di un popolo con la violenza o addirittura con l’invenzione di una neolingua che ne renda rachitico il pensiero, quando si può ottenere lo stesso risultato confondendo il linguaggio e “anestetizzando” quel popolo con discorsi vacui e insinceri? Perché imporre l’onnipresenza di un Grande Fratello quando siamo noi stessi che – pur conservando intatto il nostro vocabolario – ci consegniamo spontaneamente al controllo del “Grande Fratello Social“?

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