
Arenaria

versione pdf: Scegliete il silenzio!
Scegliete il silenzio!
Libero remake del monologo di Mark Renton dal film “Trainspotting”
“Scegliete la discussione accesa con un novax sui social sprecando il vostro tempo nel tentativo di convincerlo, oppure scegliete di farvi convincere da un novax; scegliete concorsi letterari i cui vincitori sono già stati decisi a tavolino dalle case editrici, scegliete la Giornata Mondiale dell’Albero (o dell’Infanzia, tanto è lo stesso) mentre i governi continuano a disboscare nonostante le riunioni planetarie di facciata, scegliete di stupirvi per i tornado nel Mediterraneo e le puntuali “bombe d’acqua”, scegliete il bla bla bla e i venerdì sul clima per fare sega a scuola, scegliete di celebrare la Giornata Mondiale delle Giornate Mondiali, scegliete le notizie insulse e “attira like” di giornaletti on line per cerebrolesi, scegliete un decoder HD del cazzo per assecondare i capricci tecnologici dei grandi comunicatori, scegliete la moneta unica senza fiatare e le imposte di bollo sui vostri risparmi, scegliete l’alta definizione del nulla e la storia spiegata nei libri di Bruno Vespa, scegliete Sanremo, Domenica in, RaiPlay e Netflix, i programmi pomeridiani snobbati persino dalla casalinga di Voghera e quelli serali con cui sentirvi intelligenti, scegliete di scannarvi per il cashback, scegliete un tv comprato con l’elemosina del bonus statale e il cd natalizio di un duo cantautorale mummificato ma ancora in voga tra i romantici attempati, scegliete di sciropparvi mezz’ora di pubblicità prima di ogni film al cinema. Scegliete di andare in pensione a 97 anni, scegliete la palestra e i pannoloni di Stato. Scegliete le vacanze local per ridurre gli spostamenti e favorire l’economia di zona, e subito dopo scegliete di ordinare un posacenere dal Giappone. Scegliete una religione quando più vi fa comodo. Scegliete l’astensionismo, per poi lamentarvi dei politici. Scegliete di protestare contro presunte “dittature sanitarie” e tralasciate i restanti 9999 veri motivi per cui da anni dovremmo alzare barricate ogni giorno. Scegliete di prendere posizione su tutto, anche sulle questioni più irrilevanti offerte dal panorama pseudo-informativo imperante sul web; scegliete l’antiabortismo dei reality show, e scegliete la “pillola del giorno dopo” come se fosse una caramella Zigulì; scegliete di farvi mettere in punizione dall’algoritmo più stupido del social networking che non distingue una tetta da un budino, e scegliete di pregare che la sospensione finisca presto sennò vi sentite persi e disoccupati senza il vostro profilo. Scegliete il metaverso e gli alimenti bio per lavarvi la coscienza, scegliete la bolla social che vi rassicura e il green pass da mostrare agli amici – tatuandovelo sul braccio – come se fosse un Rolex. Scegliete i libri che vi suggerisce l’inserto culturale del vostro giornale, a sua volta foraggiato dalle case editrici più ricche. Scegliete il selfie con un personaggio famoso, assecondando la teoria dei 15 minuti di Warhol. Scegliete di credere che il prossimo sarà l’anno decisivo, quello buono per la svolta; scegliete l’“anche a te e famiglia” e i messaggi animati riciclati da inviare a persone di cui non vi frega un cazzo; scegliete le pubblicità natalizie che cominciano a settembre mentre la gente va ancora al mare; scegliete di socializzare a tutti i costi con i nuovi vicini di casa che vi ignorano, scegliete di usare la parola boomer per sentirvi giovani e competitivi, scegliete di trascinarvi dietro come cadaveri pseudo-amicizie dalle scuole elementari solo per abitudine. Scegliete di commuovervi ascoltando Bocelli (l’unico a cui i tanti soldi non hanno fatto tornare la vista!). Scegliete il capodanno in piazza e la diretta sulla Rai per fare il countdown da casa insieme a baldracche infreddolite e conduttori di plastica. Scegliete di credere alla finta umiltà della popstar e al suo amore per la “famigghia”. Scegliete le botteghe e le scuole di poesia, scegliete di far parte di antologie letterarie con altri duecento autori per sentirvi “scrittori” e l’editoria a pagamento che vi trascura subito dopo aver saldato il conto; scegliete l’associazionismo per sentirvi meno soli, scegliete le webinar per aggravare la vostra demofobia, scegliete di criticare la munnezza che c’è nelle altre città dimenticando il marcio esistente nella vostra “Danimarca”. Scegliete Le Figaro che sputtana la città in cui vivete e scegliete di dargli ragione perché siete sofisticati, autocritici, anti-italiani e non provinciali. Scegliete l’odio sui social (specialmente quello contro novax, nomask, nogreenpass, nosupergreenpass, notav, notap, noqualcosa…) e i gattini da condividere per addolcirvi, scegliete i talent show per staccare dalle notizie martellanti sul Covid e i programmi di approfondimento politico del cazzo, scegliete la radio per sentirvi più originali e antichi, e chiedetevi chi cacchio siete mentre acquistate i quotidiani la domenica mattina perché il vomito della tv non vi basta e volete tutto scritto nero su bianco. Scegliete di seguire il poeta che vende, perché se vende un motivo ci sarà, e le riunioni condominiali con gente che odiate da sempre, scegliete i reading per compensare la vostra sociopatia e i “gruppi mamme scuola” su Whatsapp da cui farvi escludere. Scegliete di scrivere un post come questo illudendovi di essere rivoluzionari.
Isolarsi dalla notizia che goccia
sulla pace distratta dei tempi
il cammino era già chiaro da ieri
abbassare l’audio del mondo
seguire la linea cancellata del silenzio.
Sono lontani gli scorci non connessi
dei commenti ai quadri del diverso,
ora ad asciugare al sole senza memoria
sul balcone della madre paziente e greca
lenzuola nere come notti
di estranee passioni,
prendono il nostro posto
all’insaputa di volontà assuefatte.
Anime sotto forma
di nugoli di storni
all’imbrunire modellano in cielo
libere domande all’infinito
anche per chi risposte più non ha.
♦
Qual è il confine tra un’esistenza regolare
e la ribellione?
Zone spontanee e indefinite di territorio selvaggio
resistono ai pratici attacchi del reale.
Sulla linea gialla della civiltà
passeggia solitario il cercatore di margini invisibili
per salvarsi da automatismi storici.
Non c’è frontiera se non nel cuore
e nella mente
avidi proprietari di angoli inespugnabili.
Sospeso nella provincia, congeli spazio e tempo
dissociato, non partecipi alle statistiche di regime
e ti spedisci al confino, libero e a tratti felice
in attesa di giorni adatti alle previsioni
conservate in archivi pazienti.
Ingranaggio educato e silenzioso
di un orologio asociale
che passa al bosco
si ritrae nella foresta
si dà alla macchia.
Waldgänger.
♦
gli ultimi quattro versi sono un riferimento al Trattato del Ribelle
(Der Waldgang) di Ernst Jünger
♦
(tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)
Come muta l’amicale consenso
in strabordante fiele d’odio
quando non più asta sei che sorregge
specchi in cui rimiravano presunte gesta
ma muro dolente nell’assenza
narrante solenni vacuità.
I monastici orari del desinare
il silenzio che avvolge il lieto pasto,
si sfaldano le rivalse
neve umana al sole della morte
sul mondo e sugli eventi.
♦
Il vantaggio del mattino
sta in un’alba senza voci
pagine nel silenzio attendono
occhi nuovi e mani riposate,
è sulle foglie d’ulivo
che risplende il primo sole
lode alle carceri
scapestrati per strade in discesa
vagano come bande medievali, ignari
bottiglie rubate e palloni da calciare
tra di essi – forse – il poverello del secolo.
Di questi tempi, un anno fa
disagio mondiale e dolori privati
ormai vecchi, simili a ferite chiuse da sorrisi
li offriamo in preghiera al Re dei re,
non visita più i cuori la malinconia serale
in cambio forze fedeli al calare del mondo.
♦
(ph M.Nigro©2021)
Nel firmamento di invendute nullità
brilla fulgido e sconosciuto
l’astro del “lei non sa chi sono io!”,
cosa imparammo dalla natura
dal suo anonimo silenzio?,
sui portoni del tempo
non leggo che etichette arrugginite
e senza gloria.
♦
Ho firmato un armistizio
con il mondo che mi guarda
solo
quando si riapre l’urna non dei morti.
La chiamano resa incondizionata
questa fuga verso la quiete
dalle genti che sfiorano senza
sapermi
ma la pace e il vento all’imbrunire
il sentirsi tra la folla nel silenzio di foglie
non sanno di resa settembrina,
una dolce rivalsa è la sera
che la città non conosce
sugli autunni trascurati
sulle more non colte
su tutte le ferite
che ancora versano sangue di primavera.
♦
I detrattori come i colombi
hanno una psiche semplice,
inutile e dispendiosa è la costruzione
di barriere tra stati, muri e reti elettrificate.
Occupare gli spazi – direbbe Occam
è la soluzione più naturale
– la ricerca della sintesi
e della via corta -,
occuparsi del proprio cammino
restare sul pezzo presente
dell’esistente
coltivare obiettivi come se fossero
orchidee rare,
trovando occupato
e il vostro sguardo rivolto altrove
nidificheranno lì dove il vuoto pensiero è
in astinenza da consensi e folle di chiunque.
Coveranno uova nate marce nei liberi anfratti
di chi non ha ancora imparato a stare
solo.
♦
Se per il nemico non c’è
dell’occasione perdita
perché dovrebbe essere spada
su di me questo di Damocle
corrosivo pentimento nell’assenza?
È un eterno bilancio, tutti lo sanno
tra le cose lasciate andare, senza ritorno
tiranno è il tempo di porte che s’aprono in un solo
verso, e altre agguantate in sprazzi di saggezza
questa vita orfana di ravvedimenti
sospesa in mezzo a scavi abbandonati
di civiltà sepolte dal fango delle piene
e infinite vedute su pianure eremite
guarda indietro nei pensieri neri
del traffico al tramonto di desideri carenti.
♦
a Giovanni Lindo Ferretti
Sei la ritirata dopo i falliti battiti
l’agognato esilio dalla capitale,
il riposo non sconfitto da mancate vincite
il rifugio in cui sparisce il felice perdente
la periferia della vita sensata
l’Elba agreste dell’uomo comune
sei il luogo delle piogge ideali
balsami dal cielo per antiche ferite
bruciate da false glorie di sale,
la trasferta sognata nei perigli dell’anima e del corpo.
Medita tu per me, che sono stanco di pensare!
Trova tu soluzioni serali, surrogati di pace a buon prezzo…
Trasportami su lettighe di respiro
lungo fiumi che nulla chiedono.
Percorri coi miei passi usati
le risposte a sorpresa.
Non sogno più treni ma mura di cinta
chiuse da porte al tramonto sulla novità
sugli affanni dei dietrofront
su quel che il mondo attende,
regalami fulmini e nibbi reali
le cornacchie dal piglio sfacciato
i silenzi che da sempre trovano parole eterne.
♦
(immagine: foto “Ritirata ARMIR”)
“POPOPOPOPOPOPO… POPOPOPOPOPOPOPOPO!”
(attenzione: post antiretorico altamente retorico!)
Quand’è che ci si accorge dell’avvenuta morte di una nazione? In base ai dati economici? Al numero di opere costruite o rifacendoci alle statistiche demografiche? Al tipo di burocrazia che la strangola? Sì, anche… Ma è soprattutto in base al grado di retorica caratterizzante alcuni dei suoi principali mezzi di comunicazione che ci accorgiamo dell’entrata di un paese in una fase di coma farmacologico precedente il definitivo trapasso. Se la televisione è uno dei tanti strumenti di registrazione di questo andamento, allora basterà accenderla e farsi un giro tra i “canali istituzionali” per verificare come la retorica, non quella nobile esercitata nell’antichità classica ma la sua odierna versione banale ad uso e consumo di un ridicolo messaggio di stato che aspirerebbe ad alimentare false speranze in una popolazione disincantata, abbia già da molti anni prevalso sulla comunicazione di una novità che in effetti non c’è, manca all’appello, perché una spinta all’evoluzione non esiste in questa nazione peninsulare baciata esclusivamente dal sole e dai soldi del Recovery Plan.
Pessimista? No, realista che analizza la tv generalista.
La retorica pertiniana mandata in onda in loop e corroborata da un’iconografia resistenziale propinata a un paese che non ha più i mezzi per resistere se questi non gli vengono forniti dall’esterno (non userò in questo post quella parola abusata che inizia con R e finisce con ‘ilienza’): Mattarella, realisticamente, si sta dimostrando – non me ne vogliamo i socialisti ancora in vita e quelli riciclati – un presidente molto più “importante” del buon vecchio partigiano con la pipa che ai mondiali sentenziò “Ormai non ci prendono più!”. In realtà, come c’insegna la storia dell’ultimo venti-trentennio, c’hanno preso (e ripreso) e come, sì, ci hanno doppiato più volte e c’hanno aspettato al varco per ricordarcelo. C’hanno preso, e armati di un bastone a forma di euro ce le hanno date di santa ragione a ritmo di spread, agenzie di rating e bacchettate di varia natura.
E che dire della retorica del triplo “Campioni del mondo!” di martelliniana memoria, con cui campiamo di rendita dall’82 (al netto delle successive vittorie meno storicamente romantiche e ancora troppo fresche per risultare nostalgiche), come se una nazione potesse ricevere il necessario carburante morale e organizzativo, la spinta propulsiva per evolvere in maniera costruttiva, solo dall’entusiasmo derivante da una finale vinta. L’Italia, anche per tradizione cattolica oltre che per un fatalismo genetico, è un paese che crede molto nei miracoli (definiti “all’italiana” per il loro carattere di unicità), e non parlo solo del culo dimostrato ai rigori! Ci vuole culo anche a passare su ponti che forse crolleranno mentre passano “gli altri”, basta che vada bene a noi! Per la giustizia terrena c’è tempo (molto tempo) e ci penserà la magistratura che con lentezza tutto risolve.
Art.1: “L’Italia è una repubblica fondata su Techetechetè!”; hanno preso la massima “non c’è futuro senza passato” e l’hanno cronicizzata, l’hanno instupidita, perché non hanno altro da offrirci, perché le idee sono finite (a monte) e non sanno cosa metterci nel piatto televisivo, che è il primo in cui andiamo a ficcare il naso quando abbiamo fame. La soubrette morta diventa occasione succulenta per un revival nazional-popolare a suon di Padre Pio, fila sotto il sole per omaggiare il feretro e vecchi filmati in cui comici toscani parlano di ‘pucchiacca’; la nostalgia guarisce tutto e un paese come l’Italia che già prima della pandemia si trovava nella terapia intensiva delle idee, ora è come la sposa cadavere di Tim Burton: sembra viva, le danno un belletto fatto di Next Generation EU, ma di tanto in tanto le casca fuori dall’orbita un occhio, una funivia, una strada, un ponte, una montagna che frana dopo un po’ di pioggia…
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
Rivista culturale on line
occhi aperti
Una libreria per immagini
"Mi lasciai dove avrei avuto tempo per pensare e attesi il fiato grosso del maestrale"
Quando scrivo dimentico che esisto, ma ricordo chi sono.
International Poetry Journal
Rivista Del Possibile
Poesia, scrittura, musica e arte digitale di Sonia Caporossi
"La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca"
Poesie, racconti, verità, fantasie, ma soprattutto l'amore.
"Voi, seduti nei comodi uffici abbuffati di tasse e di grasse imposte, diventerete un giorno cibo per i vermi e nessuno s'accorgerà della vostra mancanza. Scarti dell'Universo" cit. I.T.Kostka "Trittico sul cibo" (Quadernetti poetici 2017)
la bellezza non è che una promessa di felicità
Scusateci per il disagio, stiamo sognando per voi
Poesie, disegni, fotografie, racconti, pensieri ed altre amenità di Carlo Becattini. Tutti i diritti sono riservati.
Solo pensieri scomodi. Accomodatevi.
scrittore in Milano, Mondo
analyst and writer
E la luna - in un cielo di poco più scuro - lo guardava dall’alto. Come dimenticare? Egli disse. Altro non esiste che un passo di polvere nella fame del vento. E dopo gridò come un falco e negli occhi l’alveo delle nuvole dove scorre tutto il tempo e nelle mani la sua natura umana, immoderata.
Scrittura e altro