“Carte nel buio” (poesie / 2019-2024)

cop.5-f

“Carte nel buio” (poesie / 2019-2024), ed. nugae 2.0 – 1a edizione: maggio 2024; prefazione di Carla Malerba, postfazione di Emma Pretti.

Disponibile al seguente link:

https://www.amazon.it/dp/B0D37RYDT1

“Ma è soprattutto la profondità simbolica che caratterizza l’intera raccolta. Nell’autore poesia è bellezza, è amore, è musica, è silenzio, invocazione laica e sobria pazzia; e mentre si dissolvono nella memoria le note di Brassens, evocatrici di un dolce tempo che non torna, i versi di Carte nel buio ci accompagnano pervasi da una sottile malinconia per tutto ciò che vita dà e non restituisce, se non nel ricordo.” (dalla prefazione di Carla Malerba)

“La poesia di Michele Nigro, caratterizzata da componimenti di discreta ampiezza raccolti in sezioni – quasi una scansione in capitoli – non è una poesia narrativa ma è la poesia di un narratore, e non potrebbe essere altrimenti dal momento che Nigro nella sua produzione è anche narratore in prosa dai temi più diversi…” (dalla postfazione di Emma Pretti)

“Carte nel buio, come un’ingenua speranza poetica che avvolta dalle tenebre dell’epoca procede fiduciosa in direzione di luci lontane: che siano stelle o luci artificiali di città future non è dato saperlo; la speranza, tranne quella cristiana, non si basa su certezze di fede. Perché è solo stando al buio che si può intravedere l’uscita sperata, il varco luminoso sulle seconde vite…” (dalla Premessa dell’Autore)

Dieci inediti per “Frequenze Poetiche” n.39

Bel modo di cominciare Maggio!
Alcune mie poesie inedite sul n.39 della prestigiosa rivista “Frequenze Poetiche” curata dall’instancabile Giorgio Moio che sentitamente ringrazio!
Per ora, attendendo il cartaceo, in versione digitalmente sfogliabile: QUI!
FP 39
Sommario:
POETI – ARTISTI – PERSONAGGI DA RICORDARE
– Carmen Moscariello, Il profetico senso della vita nella poesia
di Amelia Rosselli; John Suiter, Last post/L’ultimo comunicato (tradotto dall’inglese da Alberto Rizzi).
FRESCHI DI STAMPA
– Marco Palladini, Creando Chaos.
POESIA ITALIANA CONTEMPORANEA
– Michele Nigro, Dieci poesie inedite.
POESIA STRANIERA
– Du Fu, Canto cinquecento caratteri e altre poesie (tradotto dal cinese da Giancarlo Locarno).
CRESTOMAZIA
-Testi verbovisuali di: Carlo Bugli, Valentina Casadei, Alfonsina Caterino, Maria Benedetta Cerro, Fernanda Fedi, Aleq Garrigóz, Anna Maria Giancarli, Gino Gini, Lucia Longo, Giorgio Moio, Alberto Rizzi, Gian Paolo Roffi, Pete Spence, Alberto Vitacchio.
POESIA VISUALE – SCRITTURE ASEMANTICHE – ARTI VISIVE
– Aa. Vv., “Risvolti”: 20 anni di linguaggi in movimento (con introduzione di Stefano Taccone e poesie visive esposte nella mostra curata da Carlo Bugli e Giorgio Moio nel mese di febbraio al “Movimento Aperto”, Napoli, di Ilia Tufano).
PROSA – AFORISMI – HAIKU
– Laura D’Angelo, Stagioni. Luciana Gravina, Elegia per Colonia; Giuliano Romano, Il fumatore scostumato.
DISCUSSIONI – INTERVISTE
– Aa. Vv., La poesia, nonostante una società avversa, è dispo-
sta a sperimentare forme sempre nuove di espressioni? Se sì,
come e perché? Se no, perché?
LETTURE – RILETTURE
– Carlo Bugli, Appunto interlocutorio per “L’@nticamera del
cervello di Antonio Vitolo; Maria Pina Ciancio, Leonardo Sinisgalli sulla poesia. La poesia non è un uovo o una perla e i poeti non sono figli del Sole; Mario M. Gabriele, “Finzioni. Interviste fantasma” di Giorgio Moio; Luciana Gravina, “La strategia del terrone” di Gianfranco Martuscelli.

3 domande (e una breve nota) a Mariano Lizzadro

versione pdf: 3 domande (e una breve nota) a Mariano Lizzadro

È un incontenibile flusso di coscienza, questa nuova e inebriante raccolta di componimenti del poeta lucano Mariano Lizzadro, che oltrepassa la diatriba stantia sul confine tra prosa e poesia. Nel pensiero fluido di Lizzadro tutto è poesia, tutto è immagine incandescente che prende vita dalla realtà dei sensi, dalle emozioni più intime di un animo poetico che come radar di carne e ossa tutto capta, tutto cattura come pellicola fotografica esposta all’esistenza. Lizzadro è un fiume silenzioso di parole che travolgono l’intimità quotidiana, apparentemente scontata o già conosciuta. La forza descrittiva di questa raccolta è assordante ed è catartica nel suo non lasciare tregua al lettore. La natura, gli elementi più semplici, la sensualità cercata o vissuta, tutto partecipa alla creazione di versi che fanno amare la vita, le sue disperate bellezze e persino il dolore più intimo e antico. Lizzadro parla della solitudine delle periferie, della malinconia serale e notturna, dei ricordi che torturano, ma un poeta non è mai veramente solo perché le sue parole sono lacci archetipici che lo legano alla terra, all’umanità, ai fatti crudeli del mondo, alle persone conosciute e sconosciute, ai fenomeni naturali che parlano dell’anima e all’anima. Come affermato dal grande poeta lucano Alfonso Guida in prefazione: “Qui, tra questi affreschi di silenzio, tra queste siepi di filo spinato, spunta la notte”. Ed è una notte che tormenta ma ispira, che mette a pensare con dolore ma eleva gli animi dell’autore e dei lettori. Lizzadro ringrazia le parole e le benedice perché lo liberano, lo definiscono, lo informano su sé stesso e sul mondo, senza mai pretendere di capire o capirsi. Ma le parole vogliono in cambio qualcosa, vogliono un giusto peso da dare al loro suono: se le nutri col giusto suono non sai dove possono portarti. Un poeta non può essere prigioniero dell’attualità perché appartiene a tutti i tempi e dimora in ogni dove, anche quando è “segnato da un limite”. (m.n.)

Mariano, leggendo la tua ultima raccolta – “La mia testa sobria si occupa di attualità” –, ho avuto come l’impressione che stavolta il flusso di coscienza, già presente nella tua poetica, abbia rotto gli argini, si sia liberato da alcuni freni inibitori per correre libero nelle praterie lessicali e sonore della parola. Potresti fornirci una tua chiave di lettura e a margine spiegarci anche questo titolo originale – che è il verso di un tuo componimento presente nella raccolta – abbastanza insolito per una silloge?

Grazie Michele per la tua amicizia che è già di per sé un dono. Ci tengo a dire di primo acchito questa cosa che esula dalla tua domanda, ma mi ronza in testa da tanto tempo. Ci sta in giro un equivoco di fondo sull’idea di creatività. Molti, fra cui mi ci metto per primo io, hanno pensato in passato e qualcuno lo pensa ancora, mi dispiace per loro, che la creatività sia quel piccolo bagliore, quella luce che ogni tanto si accende dentro ognuno di noi ed è questo un grande equivoco. Mi spiego, sono d’accordo con chi dice che senza quel bagliore, senza quella piccola luce che si accende dentro non ci può essere niente, questo sia in poesia ma anche in ogni campo della vita. Cioè quella luce è fondamentale, quel bagliore è importante, ma non basta. Bisogna studiare, studiare e studiare, dedicare tempo e passione a quello che si fa e poi disimparare. Per non tirarla a lungo anche un contadino conosce i tipi di piante, il tempo della semina, le fasi lunari, i tempi in cui certe piante vanno piantate, innaffiate e trattate, ma la sua conoscenza è pratica, l’ha appresa osservando e la mette in atto. Questa, secondo me, è la creatività, talento e tanto studio. Dato questo per assodato. Ho avuto la fortuna di poter scambiare qualche parola in questi anni con diversi amici, da cui ho appreso che non siamo padroni di ciò che diciamo, siamo parlati, siamo suonati, nel duplice senso di “emettitori” di suoni ma anche nel senso etimologico di “folli”. Infatti nel gergo comune si dice di una persona quando è fuori di sé che è suonato! E quindi ho iniziato questo cammino, avendo questa idea in testa. Il titolo è molto ironico in sé, però è anche al contempo un mio punto di vista, un’ammissione che finora tutto quello che ho detto era frutto di cavolate. Non siamo padroni di niente, tutto è già là, “… la mia testa sobria si occupa di attualità, dicevo da povero idiota, / tutto è già nell’anima e nel corpo…” così mi sembra che dico ad un certo punto. Devo tutto questo alle chiacchierate che faccio con tutti i miei amici, ma in particolare ad Alfonso Guida e a Tonino Zurlo, che lo so si infastidiranno quando e se leggeranno che ho detto queste cose, ma è così. È tutto un percorso da fare e io ho cominciato pochi mesi fa, nel mio misero tentativo di liberare la mia lingua, bisogna attraversare il deserto come dice Alfonso, in maniera seria e come dice Tonino in tono scanzonato.

Continua a leggere “3 domande (e una breve nota) a Mariano Lizzadro”

Fiorirà la poesia del giovane Eric Blair

A molti potrà sembrare scontato e facilmente conseguenziale, e per certi versi lo è, perché negarlo, approdare a questa raccolta poetica di Orwell dopo aver terminato la lettura del suo romanzo “Fiorirà l’aspidistra”, in cui si narrano proprio le vicissitudini esistenziali e i tormentati processi interiori di un trentenne poeta inglese – il protagonista Gordon Comstock – alle prese con un’impari battaglia anticapitalistica nei confronti del sistema socio-economico dominante e dei maledetti “quattrini” la cui cronica assenza nelle tasche del poeta è causa di innumerevoli impedimenti sociali e di insopportabili privazioni materiali. Alla fine Comstock capitolerà, accettando obtorto collo un “buon posto” e mettendo da parte la sua avventura da bohemien squattrinato, dinanzi all’amore per Rosemary e all’arrivo di un figlio inatteso… Tanti i temi toccati in questo romanzo: quello riguardante i falsi socialisti che vivono di rendita anche se predicano il marxismo; l’eterna diatriba tra idealismo e pragmatismo: l’autore sembra voler ricordare al lettore (ancora?) che “carmina non dant panem” e che molto spesso, per sopravvivere, la creatività dev’essere messa al servizio anche di ciò che non gradiamo fare…
È, nello specifico, un interessante romanzo di formazione soprattutto per chi fa o ha fatto esperienza editoriale con i propri scritti: le difficoltà legate all’atto creativo, le cadute d’umore causate dai numerosi rifiuti, la crescente consapevolezza di non essere tagliati per il mondo letterario… È più facile scrivere poesie quando si è poveri ma liberi o inquadrati nel sistema e con la pancia piena? La vita entra, quasi sempre senza bussare, nelle stanze delle nostre convinzioni con il chiaro intento di sbaragliarle, a volte salvandoci, altre volte sconvolgendoci e cambiando i nostri piani. Quanti scrittori hanno cominciato pensandosi “poeti” ma di fatto divenendo immortali grazie ai loro lavori in prosa? Orwell è stato uno di questi… Ma non pensate neanche per un istante che le poesie di Orwell siano disgiunte dal suo operato narrativo, dall’ideologia che ha animato in seguito i suoi romanzi più “famosi”. Non pensate che siano state solo un incidente.
Buona lettura!

Non tra i romanzi più noti dell’autore britannico Eric Blair (meglio conosciuto con il suo pseudonimo: George Orwell), in realtà “Fiorirà l’aspidistra” contiene già alcuni elementi prodromici che troveranno pieno sviluppo nei suoi titoli più celebri: la coltivazione del sogno individualistico quale unico strumento per salvarsi dallo schematismo di una vita borghese caratterizzata da basse aspirazioni e “piccole gioie quotidiane”; la lotta al conformismo dominante; la realtà come un muro di gomma che riporta il sognatore a una dimensione meno ambiziosa, più rinunciataria e per questo più solida se considerata dal punto di vista del buon senso comune…
Prima ancora di giungere al controllo asfissiante di un Grande Fratello distopico, Orwell sembra volerci suggerire che già esiste qui tra noi, nel nostro presente, un “controllore” dei nostri desideri che si chiama “conformismo”. Un’esistenza semplice non ha bisogno di grandi obiettivi per essere considerata degna di essere vissuta: proprio come la pianta dell’aspidistra, non necessita di particolari cure. Eppure, forse è proprio dalle piante semplici che nascono fiori e frutti inattesi…
Dirà Winston, il protagonista di “1984”: <<se c’era speranza, la speranza doveva trovarsi tra i prolet!>>. La stessa speranza che Gordon Comstock, protagonista di “Fiorirà l’aspidistra”, riscoprirà nella propria inattesa paternità (l’unico bene posseduto dal proletariato è appunto la prole): cedere alle piccole ma solide soddisfazioni di un’esistenza borghese può salvare dal vortice dei sogni insoddisfatti. I bisogni elementari e primordiali dell’uomo quali antidoti alla deviazione causata dai grandi obiettivi irrealizzabili…

Le cose che siamo stati

279549958_718751665834113_201441063483758018_n

(Cedi la strada all’orogenesi)*

Camperò di rendita
su parole già spese,
non sarà docile
il confronto tra personaggi,
quelli indossati negli anni sospesi
e i dimenticati per sopravvivere.

Quante cose siamo stati
quante tentato di essere
e che peso ha oggi la piccola storia
la stratigrafia dei fatti preziosi
il bagaglio del viaggiatore
l’orogenesi da antiche esperienze
come rocce affilate in autunno,
tagliano nastri al traguardo
di seconde giovinezze inedite.

Le maschere indossate per copione
diventano una all’imbrunire,
è clemente la sera in provincia
non fa più domande scomode
sui cadaveri lasciati dietro il passo
sui luoghi visitati per errore
sui ritorni senza vittoria
sul giudizio degli estinti
seppellito dall’incuria del presente.

* sottotitolo “scherzoso” e ironico nato dall’interazione con i primi commentatori sui social… parafrasando il noto titolo di una fortuita raccolta.

(foto dal web)

Rinascere è un lavoro da incoscienti…

“Rinascere / è un lavoro da incoscienti…!”

“Rinascere

è un lavoro da incoscienti.”

da “Nessuno nasce pulito”

“Robert Frost: due modi di tradurlo…” su Navuss.it

Il mio articolo “Robert Frost: due modi di tradurlo…”, già apparso su questo blog (QUI), è stato ripubblicato su “Navuss”, periodico di attualità e di informazione diretto da Serena Suriani; la pagina culturale di Navuss è invece curata dal poeta, scrittore e traduttore teramano Massimo Ridolfi.

Per leggere l’articolo su Navuss: clicca QUI!

“Il bardo che attraversa il Bardo”, postfazione alla silloge “Ossa” di Francesco Innella

versione pdf: “Il bardo che attraversa il Bardo” – Postfazione a “Ossa” di Francesco Innella

819BWtwjOVL._SY466_

Il bardo che attraversa il Bardo

Mi ha sempre incuriosito il duplice significato del termine “bardo”, almeno nella lingua italiana: se da una parte viene definito bardo il poeta che per mezzo dei suoi versi canta antiche imprese epiche, secondo la dottrina buddista il Bardo è uno stadio intermedio, di transizione, tra la morte e la rinascita, perfettamente descritto nel Libro tibetano dei morti (Bardo Thodol). Mi piacerebbe leggere, in questa convivenza forzata tra etimologie, una comune chiave esegetica: la poesia, che per sua natura esplora l’indicibile, tentando di percepire quell’insondabile che sfiora l’umana vita terrena, è l’unico strumento che l’essere pensante ha a sua disposizione per lambire l’invisibile, avvicinarsi all’inspiegabile, all’inconoscibilità tipica della morte. Solo la poesia può riempire i buchi conoscitivi della scienza; solo la parola  –  e non i dati – può colmare, se pure limitatamente, la distanza tra noi e il mistero della vita oltre la vita.

Dopo aver letto la breve silloge intitolata “Ossa” del poeta Francesco Innella, ho voluto rivedere, in preparazione a questa mia nota in postfazione, il documentario Attraversando il bardo” (Sguardi sull’aldilà), del cantautore e in questo caso regista siciliano Franco Battiato, nel quale viene descritto da diversi punti di vista il fenomeno della morte che un certo materialismo edonistico di stampo prevalentemente occidentale ci ha insegnato a temere e a cancellare dalla nostra vita in quanto argomento scomodo, intristente, malaugurante. Un tema da evitare anziché accogliere, abbracciare, fare proprio.

Continua a leggere ““Il bardo che attraversa il Bardo”, postfazione alla silloge “Ossa” di Francesco Innella”

Albeggiare pallido e assorto

1709110680819
Nelle albe di lavoro
è una dolce spada
di luce e speranza, trafigge
il primo chiarore ad est il petto
e gli occhi assuefatti di gatti
al buio e attenti all’abigeato
di cavalli in ferro e argilla.

Ritornano lenti i contorni alle cime
perse nell’oscurità del trapasso,
l’erba gelata attende fedele
la nascita d’una carezza luminosa.

Preghiera all’ultima stella sul confine,
esordio al mattino senza domande
di sbadigli e brina sull’anima

tra un candore di spazio celeste
fanno male per troppa luce
i vagiti del nuovo giorno,

consueti bagliori d’aurora
scruta nella fredda notte
e si rimette in strada
con la solita fede
il viandante assonnato.

(ph M.Nigro©2024; titolo: Squarcio d’alba)

“Jesce juorno” – Pino Daniele

Tre inediti per “La rosa in più”

la rosa in più

Un grazie di cuore a “La rosa in più” e a Salvatore Sblando per aver ospitato alcuni miei versi…

PER LEGGERE: QUI!

Nota a “Come fosse luce” di Rita Pacilio

1708003497330

Si esce cosparsi di immagini, di combinazioni linguistiche che mai debordano in virtuosismi poetici fini a se stessi, di vita sbattuta in faccia, di luci e ombre esistenziali, dalla lettura delle poesie di Rita Pacilio; se poi l’immersione avviene nell’ambito di un viaggio antologico come nel caso della raccolta “Come fosse luce” (Macabor, 2023), la sensazione di esperienza totalizzante e avvolgente risulta essere ancora più intensa.

Si tratta di un excursus che non dà tregua al lettore: il susseguirsi di versi così descrittivi (pur senza alcun intento didascalico) e intensi nel loro realismo immaginifico (“Mi sforzo di conciliare vita e spirito / capire quanto sia reale l’invisibile”), rende impossibile ogni tentativo di adeguamento a una linea stilistica confortante (come in tanta scialba poesia contemporanea a uso e consumo di chi necessita di istantanee parole consolatorie!), a un racconto-unguento che guarisca rapidamente la pelle dell’anima e metta a riparo da scottanti cambi di rotta dell’esistenza. È una poesia che affonda le mani nella vita personale dell’autrice, come è ovvio che sia, e in quella dell’intera umanità, maltrattata, dimenticata, abusata, amata e odiata, uccisa e protetta, torturata e desiderata: quello che fuori ne viene tirato è un ritmo di metafore ben costruite, schiaffi leggiadri che possono condurre il lettore verso una bellezza sublime o nell’inferno di alcune condizioni reali. L’accostamento, in tanti passaggi “geniale”, tra parole, crea alchimie che risuonano nella mente e nel cuore di chi si immerge nella poetica di Rita Pacilio (“sottana boscosa”, “lampioni spogliati come donne”, “luce elastica”, “labbra foreste”, “singhiozzo grasso”, “dissotterrare l’infinito”, “il melograno rotto singhiozza colori”, “ombre zitte”, “ronfo lucidato”…: solo alcuni esempi prelevati da un paniere di combinazioni ben più ampio): tentare di domare questa alchimia è inutile; lasciarsi trasportare — come in una danza di parole — dal flusso descrittivo dei suoi versi è l’unica via percorribile. Descrittivi sì, belli da sentire, ma compresi nell’economia di una trama indicibile, universale, che appartiene a tutti e a nessuno, che è personale dell’autrice ma è anche storia dell’umanità, e che per questo motivo diventa canto di ognuno.

Continua a leggere “Nota a “Come fosse luce” di Rita Pacilio”

“Poesie sospese”, silloge terza

copertina vol.3 jpeg

“… poesiole, ricordi, esortazioni, esibizionismi, scherzose invettive, di sicuro poesiacce, donate a chi non può permettersi di giocare con le parole, di pagarle in prima persona, di viverle sulla propria pelle. […] Questa terza e ultima silloge della serie sospesa, sottotitolata “nuovi materiali per un futuro incerto”, in omaggio alla prima serie, è divisa in quindici tempi, quindici momenti eterogenei e di diversa ispirazione che vanno a chiudere un’esperienza di necessaria gratuità non richiesta. Non abbiamo dati sicuri sul domani, e forse è proprio da questo costante stato di precarietà che nasce la parola più libera, a volte la poesia più vera anche se meno bella…” (dalla Premessa)

PER LEGGERLA: clicca QUI!

“Fenomenologia della poesia facile” su L’Age d’or…

fenom poesia facile l'age d'or

Il mio articolo “Fenomenologia della poesia facile” è stato pubblicato (con il titolo riportato in immagine) sul numero di febbraio/marzo 2024 (Anno V) di “L’Age d’or”, “… un blog-rivista online di cultura e società con l’intento di diffondere e sostenere il pensiero critico” curato da Marco PalladiniDésirée Massaroni che ringrazio… Purtroppo per esprimere questo pensiero critico (scambiato dal minus habens per invidia) in maniera coerente e senza ipocrisie si è costretti implicitamente a fare un po’ di book marketing e quindi di pubblicità involontaria a un “personaggio”, più che a un poeta, che invece meriterebbe l’oblio… 

PER LEGGERE SU “L’AGE D’OR”: clicca QUI!

Robert Frost: due modi di tradurlo…

versione pdf: Robert Frost: due modi di tradurlo…

Non sono un traduttore, non posseggo gli strumenti e le competenze necessarie per poter giudicare le altrui traduzioni; credo, tuttavia, di essere almeno un lettore curioso, attento quanto basta, che ama confrontare, allineare i testi per cogliere parallelismi, convergenze o divergenze, scelte traduttologiche lineari o ricercati “tradimenti”… Mi è capitato recentemente di mettere a confronto due raccolte di traduzioni (nate quasi insieme!) tratte dalla vasta produzione del poeta americano Robert Frost — conosciutissimo a livello “interplanetario” soprattutto per la sua The Road Not Taken (La strada non presa)—: la prima, intitolata Fuoco e ghiaccio, edita dalla ben nota Adelphi (2022), con traduzioni di Silvia Bre (e a cura di Ottavio Fatica); la seconda a cura dello scrittore, poeta e traduttore teramano Massimo Ridolfi, intitolata Il Contadino della Nuova Inghilterra – Into a life: Robert Frost – The Five Books & Twilight, volume primo Libro VI° – VII° (edita da Letterature Indipendenti; collana “Seguire le immagini” – 2022).

“Capro espiatorio” di questo mio gioco al confronto è la poesia To the Thawing Wind, dalla raccolta di esordio A boy’s will (1913), e già dalla traduzione del titolo si capisce a che tipo di “battaglia” assisteremo: se per la Bre è “Al vento del disgelo”, per Ridolfi la scelta cade su un meno “bello” ma più fedele “Al disgelante vento”. Chiaro è fin dall’epigrafe (affidata a Quasimodo) l’intento di Ridolfi: “… ho condotto queste traduzioni […] per un accostamento più verosimile a quei poeti dell’antichità che […] sono arrivati a noi con esattezza di numeri, ma privati del canto”. Seguendo questo “comandamento quasimodiano”, se per la Bre “loud Southwester” diventa “sonoro libeccio”, per Ridolfi è e resta “fragoroso Sudovest” (si veda la foto con le due traduzioni a confronto) che per un lettore non avvezzo all’approfondimento dei significati non corrisponderebbe all’indicazione di un vento (nonostante sia nota quasi a tutti la direzione del libeccio che è proprio da sud-ovest). Se per alcuni traduttori è più urgente risolvere i problemi di interpretazione al posto del lettore, per altri la priorità durante una traduzione ricade sul rispetto della fonte, anche a costo di rimetterci in bellezza sonora, in fluidità in fase di lettura. Sono scelte, entrambe valide, forse entrambe non criticabili in nessun caso.

E poi: “singer” per la Bre è “cantore”, che fa più bella figura in un contesto poetico (“Porta il cantore”), per Ridolfi è e resta “cantante” (“Porta il cantante”: come quando ci si procura un cantante per una serenata); “nester”: in questo caso, a differenza del vento, la traduttrice di Adelphi sceglie di sottintendere (“e chi fa il nido”), non specificando chi faccia il nido (esistono diversi tipi di animali che nidificano, non solo gli uccelli), mentre Ridolfi si mette al sicuro parlando chiaramente di “uccello migratore” perché l’associazione con il libeccio apre a qualcosa portato in volo, proveniente dall’aria, dal cielo, da lontano.

Continua a leggere “Robert Frost: due modi di tradurlo…”