












versione pdf: La presenza nell’assenza: un anno senza Franco Battiato
La presenza nell’assenza: un anno senza Franco Battiato
“… Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza…”
Ho sempre avuto un approccio da “archivista” nei confronti della morte: di quella di un parente, di un amico… Superato un comprensibile momento iniziale di smarrimento per la dipartita, senza perdermi d’animo, anzi con ancor piΓΉ lena, ho sempre dato spazio a una conseguente opera di “raccolta e archiviazione” di tutti quegli elementi esistenziali che hanno caratterizzato un vissuto comune, un cammino condiviso: stampare il dialogo di una chat, elencare date cruciali, raggruppare foto, raccogliere materiale… per me rappresentano gesti naturali del post-mortem. Come a voler congelare non il momento della morte in sΓ©, quanto piuttosto il percorso concreto, tangibile, che l’ha preceduto; un appiglio materialistico sull’abisso, un modo per dire a se stessi che nulla, neanche una briciola, andrΓ perduta di quel che Γ¨ stato fatto insieme; per non darla vinta alla morte che livella – lei sΓ¬, archivista definitiva e inesorabile! -, che chiude a ogni possibilitΓ di proseguimento di un discorso tra viventi che emettono suoni. Allora ci si affida alla stampa dei reperti per averli sottomano nei giorni successivi alla tumulazione, alla tecnologia che conserva negli hard disk pezzi di testimonianze anche frivole di ciΓ² che Γ¨ stato, alle registrazioni per quando verrΓ a mancare il ricordo della voce, alle immagini catturate da un vivere quotidiano senza cronaca, almeno per noi “comuni mortali” non famosi. Tutto viene sigillato in scatole, poi seppellite in armadi, in attesa di quei giorni in cui c’Γ¨ piΓΉ bisogno di ravvivare memorie, di ricordare fatti ricoperti dalla polvere ma non dimenticati, spostati dalla visuale ma non cancellati. Qualcuno dice che esagero a conservare tutto, che dovrei lasciar andare, che dovrei fare space clearing: ma non c’Γ¨ ossessione nel mio conservare, c’Γ¨ solo previdenza, cura museale per vite poco importanti agli occhi della Storia. Si conserva il passato perchΓ© il nostro cervello, giustamente, per fare spazio alle urgenze del presente, lascia andare fisiologicamente molti dati considerati “inutili” alla quotidianitΓ .
Quando, perΓ², ad “abbandonare il pianeta” Γ¨ una persona altrettanto cara e preziosa come Franco Battiato, che non ha bisogno di “archiviazioni” d’urgenza, come nel caso del parente o dell’amico sconosciuti alle cronache, in quanto la sua stessa esistenza artistica Γ¨ stata produttrice naturale di tracce non solo sonore, si finisce con l’interrogarsi sul reale significato della “presenza nell’assenza” di un personaggio pubblico di tale calibro, che ha avuto e ha un impatto umano, spirituale e artistico, diverso rispetto a quello di altri nomi altrettanto autorevoli del cosiddetto “mondo dello spettacolo”. Nomi di personaggi estinti, cari a un popolo in fila sotto il sole per salutare il feretro, osannati e pianti, certo, ma la cui essenza va ad affievolirsi, oserei dire naturalmente, nel corso del tempo: questi passanti, a maggior ragione, sono bisognosi di archivi e teche Rai da rispolverare.
Battiato, invece, si fa ricordare con una forza crescente proprio nel silenzio e nella distanza; piΓΉ si lascia sedimentare l’evento umano della sua morte, piΓΉ la sua essenza risale attraverso i mesi e le distrazioni come un “rigurgito spirituale”. Battiato non apprezzava gli archivisti; raccomandava sempre di non raccogliere ossessivamente tutto su di lui: interviste, foto, video, bootleg, “rubriche aperte sui peli” di Battiato e “reliquie” varie… Ci preparava, giΓ allora, alla ricerca dell’essenza, al non attaccamento alle cose e ai corpi cantanti. Anche l’Egitto, con le sue piramidi e le sue meraviglie, prima o poi verrΓ ricoperto nuovamente dalle sabbie, e i musei perderanno i propri reperti custoditi gelosamente: la materia Γ¨ destinata a dissolversi, come le onde in uno stagno o quelle sonore di una canzone. Ma l’essenza no, quella permane anche senza l’ausilio degli oggetti archiviati: come nel film “Padre” di Giada Colagrande, la presenza dell’estinto (interpretato proprio da Battiato) si fa ancor piΓΉ viva e significativa – per comoditΓ cinematografiche si identifica questa presenza attraverso la figura ormai folcloristica del classico fantasma – all’indomani della sua dipartita: ed Γ¨ un esserci discreto, non spaventevole, silenzioso (silenzio a cui Battiato, per questioni private non da tutti rispettate, ci aveva giΓ consegnati molto tempo prima di attraversare “la porta dello spavento supremo”). “Un giorno senza tramonto / le voci si faranno presenze”: Γ¨ la scoperta dell’essenza nell’assenza, anche dell’assenza in vitam. Una scoperta che puΓ² essere fatta solo se si ha il coraggio, a un certo punto, di abbassare l’audio dei vari tour commemorativi, degli affollati e umanamente comprensibili concerti-evento per onorare il grande artista, e di affidarsi seppur dolorosamente alle sole registrazioni discografiche di una voce destinata a non ritornare, mai piΓΉ, per come eravamo abituati a percepirla, ovvero attraverso i limitati sensi umani: la voce del padrone di un corpo disfatto, che non rivedremo mai piΓΉ muoversi, cantare, scherzare, suonare, danzare su un palco come negli anni gloriosi e spensierati dei live in giro per il mondo e dei nostri viaggi in vista di concerti estivi, tra piazze e cavee. “Spensierati” fino a un certo punto: la musica di Battiato solo in superficie lasciava spazio a un goliardico citazionismo all’apparenza slegato e al cazzeggio cuccurucucheggiante dei fine concerto sotto i palchi; in realtΓ i testi e la musica di Battiato, come ben sa chi l’ha musicalmente frequentato, scavavano in profonditΓ , mutavano inesorabilmente l’animo dell’ascoltatore, si prendevano il loro tempo, disseppellivano angolazioni interiori non catalogabili, di quelle che ci invitavano e ancora c’invitano al viaggio in paesi che tanto ci somigliano: territori spirituali ma anche geografici; a volte prima geografici e poi spirituali.
Viaggiare con Battiato nelle cuffie, colonna sonora di traversate solitarie in territori non per forza mistici, a volte popolari, turistici, affollati come i mercati arabi in paesi stranieri o il “suk palermitano” di BallarΓ², perchΓ© Battiato rappresentava e rappresenta l’esperimento riuscitissimo di una ricerca superiore fatta con mezzi appartenenti alla cosiddetta “musica di comunicazione”, non per forza di consumo (pur essendo stata anche di consumo), e che diede vita a un inedito, colto e ossimorico “pop elitario”. CosΓ¬ come fanno certi vaccini di ultima generazione, veicolava “frammenti genetici” di insegnamenti sconosciuti e antichissimi attraverso l’involucro “innocuo” del mezzo sonoro: l’obiettivo non dichiarato era quello di creare un’immunitΓ (mai “di gregge” perchΓ© Le aquile non volano a stormi, ma amano e difendono la propria individualitΓ ) agli “urlettini dei cantanti”, al facile consenso dato ai tormentoni estivi dalla vita effimera, a un cantautorato nostrano incapace di offrire strade culturali alternative o esotiche, quando non addirittura esoteriche. Ha portato, musicalmente parlando, l’Alto alla portata di quasi tutti, senza mai scendere a compromessi con il Basso, con gli istinti un po’ bestiali e i desideri mitici dei suoi stessi fan che sistematicamente – per nostra fortuna – ignorava, con i “livelli inferiori” della condizione umana che aspirano a una facile fruibilitΓ del mezzo. Ha seguito e rispettato i propri interessi culturali e non quelli suggeriti dal mercato, pur avendo venduto milioni di copie. E soprattutto ci ha fatto comprendere che tentare di modificare i massimi sistemi – primi fra tutti quelli politici! – Γ¨ inutile oltre che pretestuoso, e che Γ¨ ben piΓΉ arduo ma spiritualmente soddisfacente (Battiato sarΓ sempre il nostro “Assessore alle Meccaniche Celesti”!) impegnarsi a cambiare il proprio microcosmo interiore, a rendere migliore ciΓ² che abbiamo a portata di mano in noi stessi. Engagez-vous!
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Il mio articolo βIl passaggio degli angeliβ, dal romanzo di PΓ©rier ai film di Wenders (giΓ pubblicato su questo blog, qui) Γ¨ stato riproposto su Pangea, rivista avventuriera di cultura e idee, βuna delle migliori rassegne culturali in Italiaβ, curata dal giornalista, poeta, scrittore e critico letterario Davide Brullo e che da sempre pubblica articoli interessanti e culturalmente stimolanti.
Per leggere lβarticolo: QUI!
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versione pdf: “Il passaggio degli angeli”, dal romanzo di PΓ©rier ai film di Wenders
“… Ma questi miracoli in pieno giorno
Solo in poesia possono ancora stupire…”
(Il passaggio degli angeli – Capitolo XIII)
C’Γ¨ un libro dietro gli angeli berlinesi del regista Wim Wenders, immortalati nei film “Il cielo sopra Berlino” (1987) e “CosΓ¬ lontano cosΓ¬ vicino” (1993): il titolo Γ¨ “Il passaggio degli angeli” (Le Passage des anges), romanzo del 1926 scritto dal belga francofono Odilon-Jean PΓ©rier; anche se definirlo romanzoΒ Γ¨ limitativo: si tratta infatti di prosa poetica in salsa β direbbero, forse, gli appassionati del genere β urban fantasy, la cui architettura ricorda, Γ¨ vero, il racconto lungo, interrotto di tanto in tanto da versi a corredo di un’atmosfera “magica” e gravida di eventi, ma che dalle regole del romanzo si svincola con maestria fin dalle prime pagine. PΓ©rier, prima di ogni altra cosa, Γ¨ un poeta surrealista, cercatore di una purezza angelica oltre le umane imperfezioni. La cittΓ descritta in questo romanzo breve Γ¨ una cittΓ in perenne attesa di una svolta: “Attendono tutti un temporale, una soluzione.” Il tono Γ¨ sibillino, imprevedibile, istintivo, come se fossero gli occhi del poeta a scrivere direttamente su carta e non la sua mente. Γ la storia sovrannaturale e bizzarra di tre angeli β Alpha, Michel e MisΓ¨re β scesiΒ in una cittΓ senza nome (perchΓ© la storia Γ¨ adattabile a tutte le cittΓ passeggiate dai poeti, prim’ancora che alla Bruxelles di PΓ©rier) a osservare la vita insignificante e assurda degli umani: “Infine apparvero gli Stranieri. […] Tutti avevano visto degli angeli, ma nessuno credeva agli occhi del vicino. Quei personaggi misteriosi si presentavano con naturalezza, come degli amici che si ritrovano nel momento del bisogno. Se ne stavano in piedi sugli alberi, seduti sui bordi dei tetti, in fila, senz’ali, magri, decenti, vestiti di grigio perla o d’azzurro. […] Chi li aveva incontrati […] parlava di poesia, di amore, di libertΓ .” Solo i forti e i filosofi troppo saggi non li vedono, mentre “Tutte le ragazze avevano giΓ il loro angelo, amico intimo.”
Le cittΓ da sempre hanno bisogno di miracoli: “Miracolo a Milano” (1951) di Vittorio De Sica, “Il miracolo della 34Βͺ strada”Β (1947) di George Seaton… C’Γ¨ bisogno di interrompere il dominio asfissiante della ragione e del positivo, per dare spazio β sospendendo momentaneamente l’incredulitΓ β al meraviglioso, al surreale, al sovrannaturale, all’incredibile possibilitΓ di una visione dall’alto. Ma gli angeli di PΓ©rier, al contrario, si lasciano miracolare, si calano nell’umanitΓ , assecondando la Legge Marziale degli spiriti solidi, perdendo ben presto la loro divinitΓ ; non Γ¨ una sconfitta, un difensivo lathe biosas epicureo o un mimetizzarsi per timidezza (“dei veri angeli non hanno bisogno dell’aureola”), bensΓ¬ Γ¨ il prezzo dello scambio: “degli angeli non scendono sulla terra senz’apportarvi dell’incertezza”, senza alterare gli schemi delle umane sicurezze e dei poteri; in cambio imparano tutto o quasi sui pregi e difetti della specie ospitante (“C’Γ¨ molto da fare, molto da sperimentare, qui… […] Ci Γ¨ permesso d’esaminare da vicino le loro gioie, le loro cerimonie.”), diluendosi in essa, innamorandosi, ascoltando le domande e i desideri del mondo, simulando una vittoria dei filosofi saggi e dei realisti che amano il buon senso, il visibile e la scienza: “Non pensavano piΓΉ in alcun modo a volar via. Molti di loro avevano messo su un po’ di pancia…”.
I tre angeli sperimentano l’amore e il piacere (“Michel, con le lacrime agli occhi, dovette arrendersi a quell’amore terrestre”; mentre MisΓ¨re conosce Christine ΓgalitΓ©, la fanciulla armata del Circo Jacques: anche ne “Il cielo sopra Berlino” di Wenders c’Γ¨ una ragazza, Marion, che lavora nel circo ma Γ¨ una trapezista che indossa finte ali d’angelo), la sensualitΓ e la bellezza, la violenza che lascia cicatrici, gli scrupoli e la perdizione, la vita coniugale e la carnalitΓ occasionale, la libertΓ e il disprezzo per la saggezza dei vecchi, la religiositΓ morbosa e l’idolatria (le strutture sociali e culturali della nazione si allineano alla religione ufficiale e al Maestro di turno), l’ebbrezza del consenso popolare, il possesso e la gelosia, la pressione dei doveri di un soldato, la noia e il dolce far niente (“aveva il tempo di cogliere con agio la vita terrestre, ammirando le vetrine, inseguendo le ragazze, toccando ogni cosa”). Il futile e la bassezza morale: per dimenticare di provenire dal cielo e avere la sicurezza, una volta per tutte, di essere diventati uomini. Lo scopo di questa full immersion nell’umanitΓ Γ¨ quello di salvarla dall’inerzia, dalla codardia e dalla cauta disperazione, dagli “artifici della gentilezza e del linguaggio”: “Uomini! Ci sono delle cose da fare nella vita di un uomo, e voi rapidamente vi decidete a dormire, senza indugi: ah, come rinunciate senza pena al vostro bel potere…”. La bellezza dell’esistere prevale su ogni falsa religione: solo la poesia puΓ² farsi garante di questa bellezza. Non mancano i dubbi e un senso di straniamento: “Che cosa siamo venuti a fare qui? […] Un bel mattino ci troviamo in piedi tra delle strane bestie, graziose e folli, seducenti. PerchΓ© noi tre, tra tutti gli angeli?”. Il romanzo fantasioso e magico di PΓ©rier diventa filosofico (anche se l’Autore ci avverte che il suo scritto non ha motivazioni profonde, obiettivi edificanti o simboli da cercare): forse per comprendere il senso del nostro esistere qui e in questo modo, per riconquistare le ragioni del nostro esserci, bisogna diventare, o almeno sentirsi, un po’ come degli angeli calati per caso in una realtΓ aliena e riuscire a stupirsi (“Vedo la cittΓ in cui abito; com’Γ¨ strana…”) anche delle cose piΓΉ scontate, a riscoprire e quindi riscoprirsi, a sperimentare con una curiositΓ primordiale; stupore e curiositΓ fanciullesca che nel primo film “angelico” di Wenders sono ben rappresentate dalle parole di una poesia di Peter Handke, (contestato) Premio Nobel per la letteratura nel 2019 e collaboratore ai testi del regista, intitolata “Elogio dell’infanzia” (Lied vom Kindsein) e che del film ne costituisce la filigrana (una sorta di poesia-copione) su cui si innestano le immagini di un regista istintivo e privo di un piano ben preciso:
“… Quando il bambino era bambino,
era lβepoca di queste domande:
perchΓ© io sono io, e perchΓ© non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole Γ¨ forse solo un sogno?
non Γ¨ solo lβapparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
cβΓ¨ veramente il male e gente
veramente cattiva?
come puΓ² essere che io, che sono io,
non cβero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarΓ² piΓΉ quello che sono?…”
Ma non tutti ce la fanno a riprendere il candore delle domande ancestrali, neanche tra gli angeli: c’Γ¨ chi “vuole inebriarsi della stupiditΓ del mondo”, chi si dΓ alla politica, chi si illude con un’attivitΓ senza rischi come il cinema che simula la vita vera (“… nulla Γ¨ piΓΉ buffo del fatto di vedere gli uomini evolvere in funzione dei sogni che gli si attribuiscono.”)… Si cerca di capire se abbiamo perso la nostra originalitΓ : “Sono ancora l’angelo che ero?”. Forse gli esseri umani sono tutti angeli caduti in terra e divenuti immemori della propria spiritualitΓ . Per agire sulla Storia bisogna fare delle scelte, manifestarsi, perchΓ© “… l’errore Γ¨ di restare un angelo tra queste persone. Tutto Γ¨ facile, β per me solo. Ma se mi occupassi della gente? Se tentassi d’animare uno dei tanti imbecilli… […] Scopro le vie deserte della mia cittΓ . […] Domani comincerΓ² ad agire sugli uomini.” Occuparsi di Politica, scegliere l’anarchia anche se un po’ fuori moda: l’astensionismo e l’antipolitica per giungere, paradossalmente, al vero senso dell’uomo politico che non delega, libero ma in prima linea. Forse alla fine il vero miracolo Γ¨ ritornare a vedere la bellezza naturale delle cose e della realtΓ con occhi umani: “Chi ha mai creduto ai miracoli? Non accade nulla. Γ la mezzanotte di una giornata come le altre…”.
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Elogio dellβinfanzia
Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare.
Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva unβanima
e tutte le anime erano un tuttβuno.
Quando il bambino era bambino
non aveva opinioni su nulla,
non aveva abitudini,
sedeva spesso con le gambe incrociate,
e di colpo si metteva a correre,
aveva un vortice tra i capelli
e non faceva facce da fotografo.
Quando il bambino era bambino,
era lβepoca di queste domande:
perchΓ© io sono io, e perchΓ© non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole Γ¨ forse solo un sogno?
non Γ¨ solo lβapparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
cβΓ¨ veramente il male e gente veramente cattiva?
come puΓ² essere che io, che sono io,
non cβero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarΓ² piΓΉ quello che sono?
Quando il bambino era bambino,
si strozzava con gli spinaci, i piselli, il riso al latte,
e con il cavolfiore bollito,
e adesso mangia tutto questo, e non solo per necessitΓ .
Quando il bambino era bambino,
una volta si svegliΓ² in un letto sconosciuto,
e adesso questo gli succede sempre.
Molte persone gli sembravano belle,
e adesso questo gli succede solo in qualche raro caso di fortuna.
Si immaginava chiaramente il Paradiso,
e adesso riesce appena a sospettarlo,
non riusciva a immaginarsi il nulla,
e oggi trema alla sua idea.
Quando il bambino era bambino,
giocava con entusiasmo,
e, adesso, Γ¨ tutto immerso nella cosa come allora,
soltanto quando questa cosa Γ¨ il suo lavoro.
Quando il bambino era bambino,
per nutrirsi gli bastavano pane e mela,
ed è ancora così.
Quando il bambino era bambino,
le bacche gli cadevano in mano come solo le bacche sanno cadere,
ed è ancora così,
le noci fresche gli raspavano la lingua,
ed è ancora così,
a ogni monte,
sentiva nostalgia per una montagna ancora piΓΉ alta,
e in ogni cittΓ ,
sentiva nostalgia per una cittΓ ancora piΓΉ grande,
ed è ancora così,
sulla cima di un albero prendeva le ciliegie tutto euforico,
comβΓ¨ ancora oggi,
aveva timore davanti a ogni estraneo,
e continua ad averlo,
aspettava la prima neve,
e continua ad aspettarla.
Quando il bambino era bambino,
lanciava contro lβalbero un bastone come fosse una lancia,
che ancora continua a vibrare.
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(immagine dal film Il cielo sopra Berlino, Wim Wenders, 1987)
β¦
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Grazie al lavoro meritorio di Rossana Marino, il saggio di Arthur Koestler “Il fantasma dentro la macchina” Γ¨ diventato un comodo audiolibro gratuito e consultabile dal pubblico interessato: sul canale YouTube che ospita le letture, ogni capitolo del libro corrisponde a una “puntata” dell’audiolettura. Di seguito si propone il primo capitolo: i successivi, di diversa durata, sono elencati nel canale e facilmente riproducibili.
Nel ringraziare Rossana Marino per questa iniziativa che le fa onore, vi auguro buon ascolto… in attesa di una ri-edizione italiana di questo importantissimo scritto (attualmente ancora fuori catalogo e quindi non disponibile sul mercato editoriale!) che, oltre a essere fonte di complesse e inesauribili riflessioni biologico-filosofiche, Γ¨ stato e sarΓ istigatore di altre idee e creazioni artistiche…
Se non avete idea di come i suoni “scomodi” e catarticamente disturbanti dell’industrial noise possano convivere con la descrizione musicale di un rituale religioso buddista, allora non vi resta che ascoltare le quattro tracce – ognuna con una propria “personalitΓ ” -, lasciandovi trasportare da esse in dimensioni altre, che compongono il “Sokushinbutsu Project” (Industrial Γlocaust Recordings, 2021) di Massimo Mascheroni (ODRZ) ed Enrico Ponzoni. SokushinbutsuΒ significa letteralmente “Buddha nel suo stesso corpo” e si riferisce a un antico rituale praticato fin dal 1100 da alcuni monaci buddisti giapponesi. Le quattro tracks conducono l’ascoltatore dalle dolorose e impegnative fasi preliminari con cui il monaco buddista, l’asceta, si prepara mentalmente e fisicamente, fino al processo finale di morte e di auto-mummificazione: un modo, originale e lontano dalla nostra mentalitΓ edonistica, per contrastare l’entropia e il naturale disfacimento post-mortem del corpo. Se il processo riesce, il corpo resta intatto dopo la morte e la mummia, profumata dagli altri monaci e rivestita con paramenti sacri, puΓ² essere cosΓ¬ esposta in un tabernacolo e ricevere la visita dei fedeli. Il monaco che si sottopone con successo a questo rituale Γ¨ un sokushinbutsu, ovvero un Enlightened, un Illuminato: un vero asceta capace di dimostrare la completa padronanza della mente sul corpo, anche al di lΓ della morte. Una pratica inconcepibile per noi occidentali che andiamo in crisi dopo pochi giorni di lockdownΒ e ignoriamo da tempo il concetto di autodisciplina e di distacco dal corpo. Auto-mummificarsi per “salvarsi”, per “morire in maniera alternativa”, per conservarsi negli anni e proiettarsi verso un futuro in cui essere “diversamente vivi”.
Continua a leggere ““Sokushinbutsu Project”, di Massimo Mascheroni ed Enrico Ponzoni”
Ci si affeziona alle spire del gorgo
diventano casa accogliente
la lenta decadenza dell’intorno
l’acqua inizialmente fredda per la rana in pentola
il cauto passo immobile che non rischia
le passanti lasciate passare, con buona pace di Brassens
sono ormai perse nel tempo
le mille versioni di note
non trasmesse al pianeta,
la disco music mai ascoltata in Italia
rimasta impigliata tra le strade della New York dei ’70,
le estinte band di generi contaminati
vecchi vinili impolverati
microfoni nostalgici di glorie analogiche
cercando di peccare d’onnipresenza
scivolate addosso come cicliche occasioni
ma crudele Γ¨ l’oceano che divide i timpani dai suoni
del mondo,
attendevano che le andassimo a raccogliere
dal vivo, noi
schiavi di mode masticate da altri
pigri sonori di borborigmi postprandiali.
β¦
Buon compleanno zio Walt!
“AhimΓ¨! Ah vita!”
dalla raccolta “Foglie d’erba”
traduzione di Giuseppe Conte
lettore: Michele Nigro
β¦
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
piΓΉ chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed Γ¨ l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una veritΓ .
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piΓΉ languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata DivinitΓ .
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle cittΓ rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solaritΓ .
(dalla raccolta Ossi di seppia, 1925)
β¦
(immagine: “Lemon book”, Krista Perse)
lettura a cura di Michele Nigro
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dΓ luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, Γ¨ la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
Rivista culturale on line
occhi aperti
Una libreria per immagini
"Mi lasciai dove avrei avuto tempo per pensare e attesi il fiato grosso del maestrale"
Quando scrivo dimentico che esisto, ma ricordo chi sono.
International Poetry Journal
Rivista Del Possibile
Poesia, scrittura, musica e arte digitale di Sonia Caporossi
"La pittura Γ¨ una poesia muta, e la poesia Γ¨ una pittura cieca"
Poesie, racconti, veritΓ , fantasie, ma soprattutto l'amore.
"Voi, seduti nei comodi uffici abbuffati di tasse e di grasse imposte, diventerete un giorno cibo per i vermi e nessuno s'accorgerΓ della vostra mancanza. Scarti dell'Universo" cit. I.T.Kostka "Trittico sul cibo" (Quadernetti poetici 2017)
la bellezza non Γ¨ che una promessa di felicitΓ
Scusateci per il disagio, stiamo sognando per voi
Poesie, disegni, fotografie, racconti, pensieri ed altre amenitΓ di Carlo Becattini. Tutti i diritti sono riservati.
Solo pensieri scomodi. Accomodatevi.
scrittore in Milano, Mondo
analyst and writer
E la luna - in un cielo di poco piΓΉ scuro - lo guardava dallβalto. Come dimenticare? Egli disse. Altro non esiste che un passo di polvere nella fame del vento. E dopo gridΓ² come un falco e negli occhi lβalveo delle nuvole dove scorre tutto il tempo e nelle mani la sua natura umana, immoderata.
Scrittura e altro