Rinascere è un lavoro da incoscienti…

“Rinascere / è un lavoro da incoscienti…!”

“Rinascere

è un lavoro da incoscienti.”

da “Nessuno nasce pulito”

“Il bardo che attraversa il Bardo”, postfazione alla silloge “Ossa” di Francesco Innella

versione pdf: “Il bardo che attraversa il Bardo” – Postfazione a “Ossa” di Francesco Innella

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Il bardo che attraversa il Bardo

Mi ha sempre incuriosito il duplice significato del termine “bardo”, almeno nella lingua italiana: se da una parte viene definito bardo il poeta che per mezzo dei suoi versi canta antiche imprese epiche, secondo la dottrina buddista il Bardo è uno stadio intermedio, di transizione, tra la morte e la rinascita, perfettamente descritto nel Libro tibetano dei morti (Bardo Thodol). Mi piacerebbe leggere, in questa convivenza forzata tra etimologie, una comune chiave esegetica: la poesia, che per sua natura esplora l’indicibile, tentando di percepire quell’insondabile che sfiora l’umana vita terrena, è l’unico strumento che l’essere pensante ha a sua disposizione per lambire l’invisibile, avvicinarsi all’inspiegabile, all’inconoscibilità tipica della morte. Solo la poesia può riempire i buchi conoscitivi della scienza; solo la parola  –  e non i dati – può colmare, se pure limitatamente, la distanza tra noi e il mistero della vita oltre la vita.

Dopo aver letto la breve silloge intitolata “Ossa” del poeta Francesco Innella, ho voluto rivedere, in preparazione a questa mia nota in postfazione, il documentario Attraversando il bardo” (Sguardi sull’aldilà), del cantautore e in questo caso regista siciliano Franco Battiato, nel quale viene descritto da diversi punti di vista il fenomeno della morte che un certo materialismo edonistico di stampo prevalentemente occidentale ci ha insegnato a temere e a cancellare dalla nostra vita in quanto argomento scomodo, intristente, malaugurante. Un tema da evitare anziché accogliere, abbracciare, fare proprio.

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“Anarcometaverso”, videointervista a Michele Nigro…

Franco Innella rivolge alcune domande a Michele Nigro, autore del racconto post-cyberpunk intitolato “Anarcometaverso” e incluso nella mini-antologia “Delle Eloquenti Distopie” vol.2 (Delos Digital, 2023) curata e introdotta dallo scrittore romano Sandro Battisti

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Carte nel buio

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Ora, se vuoi, ignora pure
l’invenzione della carta
le memorie affidate all’attrito
nei secoli dei secoli,
nel giorno in cui il buio ritornerà
la cercherai come un tempo l’oro
per continuare a dire i segreti
delle anime estinte,
quando prima dell’elettricità
sapevano dirigere i passi
verso il cuore degli uomini.

Dal mio posto di vedetta che legge
tra spiragli di tende e palpebre
intravedo una croce di ferro
arrossata da mille tramonti,
è la stessa muta compagna
dell’ultimo viaggio dell’anima più cara,
la bussola serale dei rosari sgranati.

Lontano, lassù
sulla collina tratteggiata
da file di luci confortanti
persiste ancora, indelebile
la scia fumosa dell’estremo rogo
cremazione di tutti gli atti terreni
a rendere polvere in anticipo
il lento logorio del tempo.

Tramonta, dunque
falso bagliore d’umanità notturna!
ridammi le sacre tenebre
primordiali delle origini,
voglio ritornare agli esordi
ai vagiti e al primo respiro
al senso eterno delle cose
al tremore nel donarsi alla storia
alla vita in ritardo
che fedele attende l’alba,
quella giusta.

Il potere di uccidere

La preda giuggioleggiava sul da farsi, in attesa di consensi, di via libera popolari, applausi familiari e concedendosi caute pianificazioni sotto il sole di quella splendida mattinata. Fu in quel preciso istante che il cacciatore ebbe l’idea, insana per molti ma gloriosa dal suo punto di vista, di piantargli, dopo avere arpionato il collo del prescelto con un braccio, l’intera lama del pugnale in un fianco. Trasformando il sorriso derivante dalla presunta immortalità in uno sconosciuto ma veritiero ghigno di stupore. È strano come la gente rinsavisca solo dinanzi alla fine e non prima.
Era tutta una novità, anche per lui. Nonostante il colpo vibrato con una maestria innata, scritta nel suo dna, e mai sperimentata. Ricevette finalmente l’attenzione da parte dell’inconsapevole vittima: breve ma intensa. Poi questa morì ai suoi piedi senza emettere alcun suono.
Dunque erano quelli il potere perfetto, la sfida alla logica e al buonsenso, il ribaltamento cruento dello schema, lo svezzamento dalla compassione? Niente più sterili confronti, tavoli politicamente corretti, indecisioni offensive e maschere diplomatiche: l’esistenza reale e urgente bussava insistente alla porta del suo sonno coscienzioso. D’ora in poi si sarebbe imposto senza chiedere il permesso in maniera plateale; senza pubbliche umiliazioni. Solo un rispetto privato: un segreto tra lui e le sue vittime. L’educazione che si lasciava dietro l’aveva confinato a terra per tanti, troppi anni, nel fango delle facili etichette e delle insinuazioni, dei “potrei” e dei “farò”, degli ingoi velenosi e dei silenzi. Avrebbe preso la vita di chiunque lasciandosi guidare dall’estro di un’arte riscoperta. E quel raptus mattutino rappresentava l’alba della sua nuova ricerca. 

Coda di lacerta

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Coda staccata di lacerta tu sei!
senza sapere chi, come e perché
t’agiti acefala pensandoti viva e sapiente
sull’asfalto incerto della storia.

È uno sgomento ammazzato nel petto
quello che all’alba t’inchioda a bianche lenzuola
funebri i ricordi, si dirada la folla iniziale,

i nostri padri figliavano a frotte per non restare soli
[al tramonto.

Volpe di giorno

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La volpe ha preso coraggio negli anni di fame
attraversa spavalda la strada asfaltata dell’uomo
a mezzogiorno, in piena luce, quasi in mezzo al traffico

conquista la collina lassù, promette cibo
ne ha lasciata una in basso, senza affari
segue la sua via, non teme più la morte in un mondo che muore

ferma le sue orecchie attente nell’aria nuova di sangue fraterno
resta immobile per la chitarra elettrica di un ragazzo senza guerra
da una casa del borgo in pace, vibrazioni di speranza.

“La volpe” – Ivano Fossati

L’ultima muta

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Non si è che panni appesi
senza corpo a motivare
a muovere i gesti di sempre,

negli armadi del tramonto
immobile, l’ultima muta
lasciata strusciando respiri
su lapidi senza nome
– eco ed ombra di giorni vissuti,
di un presente ancora caldo –

tessuti affezionati al mondo e alla storia
spoglie archiviate dell’umano coprirsi
emanano profumi di azioni terrene
come luce residua di stelle morte,

si spera, così, in crisalidi di tempo
schiuse negli altrove della fede
in assurdi ritorni di fantasia
tra il sogno e il risveglio
sull’alba di un nulla che non perdona.

(immagine tratta dalla copertina dell’album “Nudi” di Eduardo De Crescenzo)

“Nudi Nudi”, Eduardo De Crescenzo

Avanzano, non per vergogna

Avanzano, non per vergogna
rossori autunnali di boschi spenti
e gialli d’ottobre a segnare
la vita in ritirata,

raggi d’alba infilzano
coltri di nebbie mattutine
sul cuore in ripresa
dopo notti d’inganno,
il peso, eredità del giorno prima
le notizie crudeli
mentre celebri il nome,
risale alla gola il “Che peccato!”
di una vegliarda morente
lungo sponde di futuro.

Non c’è unguento miracoloso
né luce per pagare il conto,
solo parole archiviate
private lacrime fatte di vino
a frantumare gli amati silenzi
a rendere eterno l’ormai condannato

a dirci contenti per un giorno
nel gorgo danzante di una fine prevista.

Gechi

Gechi aggrappati alla facciata
di chiese cotte dal sole
si rincorrono in giochi verticali
senza tema di cascare sul sagrato
durante la transustanziazione.
E lungo i campanili all’imbrunire
si inerpica sicuro il geco campanaro,
cerca la giusta nota nel battere serale
dell’umano metallo al borgo intorno.
Essere uno di loro, un equilibrio di code
agile avventato e con ventose infallibili
scalatore di alture cittadine non comprese
prima di gloriose morti
trascurate dall’universo.

C’è un odore nella casa, si perde nel tempo,
rintraccia nei blandi ricordi
dimenticate essenze in disuso
storie mai del tutto scomparse,

è odore di quel che sei
da sempre, impregnate mura
da chi non ritorna
per futuri da lasciare liberi.

Sono quieti i movimenti
di chi vive nella contea,
come i pensieri della sera
rimasticati all’infinito.
Le urgenze del mondo
i suoi soliti guai con cambi di forma
non raggiungono il gesto abituale
dell’uomo calmo che torna dalla terra.
È questione di dove sono posizionati
gli elettroni intorno al nucleo,

quelli periferici sono lenti,
solo spostandoli verso il centro dell’inutile esserci
si agitano, velocizzano la rotazione
inseguono come falene le luci dei bar
per dimenticarsi della fine.

Vecchia guardia

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Semplice come la tua acqua tonica,
dietro un cortese sorriso offerto a tutti
le rughe interne di mille dolori e silenziose fatiche
tra untuose e ruspanti cucine in ristoranti d’amore
organetti odoranti di prosciutto e vino
le bande di paese e i nipoti da allevare.
Le passeggiate nelle sere d’agosto
e i maglioncini per le spalle se rinfresca
immense le insalate verdi, che fanno bene.

Hai lasciato il posto di guardia, liberi tutti.
Ma per andare dove?
Ti sei reincarnata – lo so! – nel legno stagionato ed eterno
di un vecchio portone strappato all’incuria
inspiegabile e puntuale alchimia tra anime e oggetti
il nostro cognome sulla lucente targhetta nuova
per un ricordo gettato nel traffico
da donare a quel che resta del piccolo mondo antico
dimenticato, diluito, sbiadito,
e la prima distratta estate senza te.

(ph M.Nigro©2023)

(tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

Rodolfo Lettore legge “Au revoir”

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Non ti sbracci più dalla finestra dell’alveare
per salutare quella promessa
donata al mondo, masticata e sputata
da lontano cara minuscola figura, alle partenze
mi accompagnavi con lo sguardo, pregando
fino all’angolo della fiducia.

Ricambiavo,
poi l’ebbrezza della libera autonomia.
A quei tempi le speranze
erano reali e i sogni ancora vividi.
Ora, solo uno stanco controllare
se si è giunti vivi al giorno dopo,
il disincanto apre con rassegnazione la porta
a una prodiga presenza inflazionata.

tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito” (ed. nugae 2.0 – 2016)

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Ossa parlanti

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Talking Bones

Sempre in ritardo sulla vita
sulla tabella di marcia delle scoperte essenziali,
ad ogni tramonto dell’orgoglio
le esperienze altrui interrompono una finta sapienza.

Sull’orlo dell’abisso ci sorprende
la presenza nel mondo di chi guardiamo senza vedere.
Ciechi indaffarati e disperati
scansiamo la bellezza che circonda il caos,
nuotatori sereni in un mare di nulla.

La burocrazia cimiteriale e gli archivi della civiltà
si occuperanno di noi con piglio produttivo,
i resti scarnificati, lucidati dalla misericordia
e tritati dal bisogno di spazio
saranno riciclati dalla pressione di nuovi corpi
e da manuali di polizia mortuaria freschi di stampa.

Lapidi d’ufficio e monumenti bugiardi assediati dal tempo
per combattere la dimenticanza di famiglie in estinzione
e discendenti invecchiati,
con la verità affidata a un passato che non ritorna.

Siamo ossa parlanti destinate all’oblio,
in cerca di clamori tra un respiro e l’altro.

(tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

(ph Cimitero delle Fontanelle, Napoli – FONTE)

Maggio

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Ho sciolto per sempre l’antico voto
sugli anni da accudire e sul tempo guardiano,
un metallico tlac! tlac! tlac! dalla strada
appuntamento vespertino di stampella vegliarda
mi ricorda puntuale la perenne assenza
la mancante origine che lascia incustoditi
il tuo non ritorno dall’altrove.

Ho una montagna di scarpe quasi nuove
per il cammino non fatto in questa vita
una scatola di foto senza nome per distratti eredi
foreste colorate di vestiti inanimati,

un rosso di sera scolpito in cieli testardi
mi consegna speranze in cui non credo più.