versione pdf: “Perfect days” e l’hic et nunc di Wenders
Quand’è che una vita può essere considerata “perfetta”? Quando soddisfa i parametri valutativi di un sistema videocratico-consumistico basati sull’arrivismo, sul potere dell’influencing e sul successo mediatico o quando rispetta un ecosistema interiore costruito lentamente e con pazienza negli anni? Questo film di Wenders, da più parti e a ragione considerato “poetico”, pone al centro di tutto la contrapposizione tra l’affanno di chi programma la vita futura e il carpe diem di chi sceglie di cogliere l’attimo offerto dal “qui e adesso”, senza preoccuparsi di quel che si dovrà fare domani.
Il protagonista Hirayama (Kōji Yakusho) ha rinunciato a “un altro mondo”, solo accennato nel film, per onorare quotidianamente — nel proprio mondo — la meraviglia dell’esserci, lo stupore per le piccole cose, il primo respiro profondo appena svegli (a svegliarlo non è lo stridore di una sveglia ma il fruscio di una scopa di saggina), attraverso un ritualismo routinario fatto di gesti ripetuti, di abitudini puntuali, di “piccole gioie quotidiane” come innaffiare piantine, sorridere al cielo uscendo di casa, ascoltare musicassette fuori moda, frequentare luoghi pubblici ormai familiari, rifarsi il letto con movimenti collaudati, dedicarsi meticolosamente al proprio lavoro…
Qualcuno potrebbe, con una punta di malizia, ipotizzare che in realtà Wenders si sia reso la vita facile scegliendo una società, una cultura, una tradizione comportamentale come quella giapponese per proporre la sua personale visione di una filosofia esistenziale tendente alla perfezione, dal momento che il modus vivendi del popolo nipponico (al netto delle deviazioni causate dalle influenze occidentali veicolate dalla globalizzazione) è già per sua natura meticoloso, rispettoso del bene comune al limite dell’autolesionismo e affetto da precisione maniacale non solo nei luoghi pubblici e di lavoro ma anche nella vita privata. Tuttavia il protagonista del film aggiunge a queste caratteristiche diffuse un proprio tocco personale: la ricerca della bellezza nelle piccole cose non può essere offuscata dalla routine di un lavoro che da molti potrebbe essere definito “umile” (e umiliante), non all’altezza di chi avrebbe potuto aspirare ad attività più “alte”. Hirayama ci insegna che non esistono lavori umili o non all’altezza di qualcuno, ma solo lavori che nobilitano chi li svolge se eseguiti con dignità e meticolosità, da contrapporre ai lavori fatti per tirare a campare, per sopravvivere e racimolare qualche banconota per uscire con la propria ragazza il sabato sera… Spetta al singolo individuo scegliere se trasformare la propria esistenza in un haiku di equilibrio e di perfezione, capace di congelare l’attimo in tutta la sua bellezza, o vivere una vita in modalità inerziale, senza meraviglia, senza una filigrana che può intravedersi solo in controluce…
Continua a leggere ““Perfect days” e l’hic et nunc di Wenders”