Il mito del padre

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Ho fatto i conti
col mito del padre
spargendo qua e là
seme che non darà frutto,
chiudendo l’anima ferita
a ipotesi di dialoghi in ritardo.

Vedo partire i vecchi altrui
ombre di quel che non fu,
s’ingoiano improvvise assenze
una flebile tristezza
appanna il cinico passo

per ritornare di nuovo sereno
sulle mie strade solitarie.

[immagine: “Die Andacht des Grossvaters” (Devozione al Nonno) di Albert Anker (Svizzera 1831 – 1910). Olio su tela, 63 x 92 cm, 1893. Kunstmuseum, Berna, Svizzera]

“All’automobile da corsa”, poesia di Filippo Tommaso Marinetti: letta alla velocità 2x di Whatsapp*

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Veemente dio d’una razza d’acciaio,
Automobile ebbrrra di spazio!,
che scalpiti e frrremi d’angoscia
rodendo il morso con striduli denti…
Formidabile mostro giapponese,
dagli occhi di fucina,
nutrito di fiamma
e d’olì minerali,
avido d’orizzonti e di prede siderali…
io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente,
scateno i tuoi giganteschi pneumatici,
per la danza che tu sai danzare
via per le bianche strade di tutto il mondo!…

Allento finalmente
le tue metalliche redini
e tu con voluttà ti slanci
nell’Infinito liberatore!
All’abbaiare della tua grande voce
ecco il sol che tramonta inseguirti veloce
accelerando il suo sanguinolento
palpito, all’orizzonte…
Guarda, come galoppa, in fondo ai boschi, laggiù!…
Che importa, mio démone bello?
Io sono In tua balìa!… Prrrendimi!… Prrrendimi!…

Sulla terra assordata, benché tutta vibri
d’echi loquaci;
sotto il cielo accecato, benché folto di stelle,
io vado esasperando la mia febbre
ed il mio desiderio,
scudisciandoli a gran colpi di spada.

E a quando a quando alzo il capo
per sentirmi sul collo
in soffice stretta le braccia
folli del vento, vellutate e freschissime…
Sono tue quelle braccia ammalianti e lontane
che mi attirano, e il vento
non è che il tuo alito d’abisso,
o Infinito senza fondo che con gioia m’assorbi!…
Ah! ah! vedo a un tratto mulini
neri, dinoccolati,
che sembran correr su l’ali
di tela vertebrata
come su gambe prolisse.

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Nota a “Qui non v’è vanità” di Gino Giacomo Viti

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Non vale solo per quella, difficilmente classificabile, seppur evocativa, ricca di sprazzi esistenziali e colti omaggi al non detto, del giovane Gino Giacomo Viti (classe ’96), bensì per tutta la Poesia, la regola non scritta di una giusta lotta “… per tornare ad ascoltare il Vento…” (III. Sulla tomba di Ezra Pound); in nome di quali altri valori dovrebbe combattere un Poeta? Affinché, al termine del viaggio, il Vento canti il poeta che finalmente, dopo una vita dedicata alla parola, tace.

Ma il vento, quello comune con la “v” minuscola, “non è epoca”, non può parlare per tutti: il poeta è solo, sa di essere solo (“… per fare di questa stagione / una piccola solitudine”). D’altronde: “il mio voto è al vuoto / all’assenza universale”; un’assenza che per un poeta diventa presenza necessaria, materia raffinata che riempie i veri vuoti, quelli del vivere scellerato e senza un autentico progresso. Anche il tema dell’abbandono esige un altro tipo di sguardo sul mondo e sulle cose quotidiane. Ma non tutto è metafisico: finalmente una Venezia reale, nonostante un oggetto poetico indefinibile e di fatto indefinito, offre segni tangibili, scevri da ogni vanità. Non serve dichiararsi morti o vivi, vinti o finiti: basterà, indossando una maschera per fingersi vivi come piace al mondo, registrare in versi quel “dolore che nessuno / conosce. Non serve altro per rendere / muta una quercia…”.

(pag. 30) *

Traendo dal mondo sicura visione
tradisci forse il silenzio divino?
Perché sia un’esigenza pregare
o strappare un fuoco ai ciliegi
per saper immolare una traccia;
tacciano miti nei quali scompari
i gridi alla memoria dei mondi,
che riaffondi ogni nome nella Storia.

Dove non voli, pienezza e dono
è un ritorno al silenzio, luce:
il tuono che ricuce l’abbandono.

* (da “Qui non v’è vanità”, silloge di Gino Giacomo Viti; Fallone Editore – 2021. Collana “Il fiore del deserto”)

Leggi qui: Recensisco

Fuochi fatui

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Ho dimenticato i mesi persi
bruciando fogli di calendario
in futuri fuochi fatui,

ritrovo posti vacanti
voci mancanti all’appello
ma è ancora verde
l’orizzonte bagnato dalla pioggia,

e i canti volatili
interrotti da campane devote
alimentano speranze
nell’assenza che avanza.

(ph M.Nigro©2021; titolo: “Cimitero di montagna”)

Ritornerai anche tu

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tratta da “Poesie minori. Pensieri minimi” vol.2° (ed. nugae 2.0) di Michele Nigro.
Lettura: M. Nigro

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Orienteering

“… Il territorio dialoga con l’inconscio
e giungono risposte istintive
suggerite da chi fosti in passato.
Ci sei già stato e non lo sai…”

(tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

N I G R I C A N T E

“… lascia tutto e seguiti…”

(Il Mantello e La Spiga – F. Battiato)

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È una strana sete di sfida

che spinge a percorrere alla deriva

sentieri fuori da schemi sicuri

o il desiderio di essere nulla

diventando tutto?

Abbandoni mappe ufficiali e buonsenso

ricerca diagonale sconsigliata,

non si perde chi vive la strada, sei nato lì.

Volontà di verifica su pelle, senza mediazioni

trovando a fiuto vie popolate

da fisionomie millenarie e antichi clamori urbani.

Giocosa interazione topografica

tra corpo e spazio in mutazione ciclica

percorsi irripetibili, dinamici per vocazione

sotto il sole della storia.

Il territorio dialoga con l’inconscio

e giungono risposte istintive

suggerite da chi fosti in passato.

Ci sei già stato e non lo sai,

ti lasci guidare dalla saggezza molecolare

di un io transitorio.

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Rodolfo Lettore legge “Poesia a sua insaputa”

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Rodolfo Lettore legge “Poesia a sua insaputa”, tratta dalla raccolta “Pomeriggi perduti”.

Post-apocalittico

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Se non ci fossero più i caldi metalli rotanti
e il nostro andare con passo incerto, senza un progetto
l’asfalto splenderebbe senz’ombre al tramonto
nell’abbraccio silenzioso di un sole morente
e l’universo che da sempre ignora
le piccole beghe tra gli uomini
cadrebbe felice ai piedi di un’assenza.

Sogno città non più dolenti
e le vuote dolcezze della fine,
un dio stupito godrebbe finalmente
delle fila di formiche indaffarate
indisturbate e regnanti
nel ritirarsi ordinato
della sera.

“L’imbrunire” – Giovanni Lindo Ferretti