Come preannunciavo tempo fa qui, è andata in onda su Radio Giano il 2 dicembre la 16ª puntata del programma “Vite Parallele”, dedicata alla raccolta “Pomeriggi perduti” e alla mia poetica in generale, realizzata in compagnia della simpatica e competente conduttrice Catia Simone e dell’amico istrionico Vincenzo Pietropinto.
Per ri-ascoltare la puntata in podcast: clicca QUI!
Una rinnovata infanzia analogica ho sognato, racconti a corto raggio sapienze locali su panchine sconnesse, un segnale scorticato come acqua piovana riscopre terreni ignoranti.
Parole dette in faccia saliva schizzata e contatti umani, segugi fiutano fatti domande da strada e notizie lente che vanno a vapore metro dopo metro, a rivivere velocità preindustriali, fantasie forzate dal non visto luminoso al di là della collina.
Ritornerà il mistero perduto e avrà il sapore ingenuo delle dolci sere di primavera sprecate in provincia.
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voce: Michele Nigro musica: Lento assai, Giampaolo Stuani (by Jamendo)
Per chi si fosse perso la puntata del programma webradiofonico “I segreti dell’anima” (https://www.webradiofrancesco.com) con il sottoscritto e il bravo conduttore Enzo Pietropinto, e la sapiente regia di Antonio Durante che ha intercalato brani musicali ad hoc, potrà recuperarla grazie a questo video. È stata una puntata interessante e “avventurosa” perché abbiamo spaziato nella mia poetica non solo soffermandoci sulla recente raccolta “Pomeriggi perduti” ma anche su altre mie pubblicazioni (le tre uscite di “Poesie minori, pensieri minimi”; la prima raccolta poetica “Nessuno nasce pulito”, scherzosamente ribattezzata “elenco telefonico”; il racconto lungo “Call Center”; l’ormai storica rivista letteraria “Nugae” che mi ha svezzato…), e lasciandoci trasportare da un dialogo amichevole e spontaneo…
Una bella serata, una presentazione soddisfacente, un bel pubblico (nonostante le partite di calcio in tv) e dei “supporter” di prima scelta. Un grazie particolare va al Prof. Vincenzo Pietropinto per avermi affiancato e condotto nella presentazione della mia raccolta “Pomeriggi perduti” (uscita nel 2019 e andata subito a sbattere contro il muro del “lockdown” e delle successive restrizioni sociali), al vulcanico promotore culturale Gregorio Fiscina per tutto l’aiuto di questi mesi (e quindi alle testate giornalistiche, alle radio e alle tv da lui contattate che hanno diffuso la notizia dell’evento), al “padrone di casa” Franco Crispino, organizzatore da ben 15 anni della Rassegna Letteraria “Settembre Culturale al Castello” (quest’anno contrassegnata da una inedita “diramazione” poetica fino a un estivo mese di ottobre, intitolata proprio “Ottobre è… poesia”), che mi ha aperto le porte dell’Aula Consiliare “A. Di Filippo” del Comune di Agropoli…
Dopo aver letto il pamphlet “La politica e la lingua inglese” di George Orwell, nella traduzione per Garzanti di Massimo Birattari e Bianca Bernardi, molti, troppi sarebbero i passaggi da voler citare (rischiando così, nell’enfasi citazionista, di disarticolare la tesi che anima lo scritto), e molte sono di fatto le domande e le riflessioni suscitate dalla lettura di questo breve saggio dell’autore di “1984”. Sintetizzando in maniera brutale: se il pensiero influenza il linguaggio, il linguaggio adottato da un popolo influenza il suo pensiero, e quindi la sua anima, le sue aspirazioni, le sue idee. Un’influenza “circolare” difficile da costruire – il limite temporale immaginato da Orwell per il completamento del “passaggio” era, e forse è ancora, il 2050! – e altrettanto difficile da scardinare, se non attraverso consistenti traumi storici e culturali. Da qui, per invertire il trend negativo, l’esigenza pratica di nutrire il linguaggio, e quindi il pensiero, con letture che arricchiscano il proprio “paniere idiomatico”. Senza dare la colpa alle “condizioni sociali presenti”.
Se nell’appendice a “1984” – I principi della neolingua – compare tra i primi obiettivi il conseguimento di una semplificazione del lessico che rasenta l’umorismo (le parole inventate da Orwell per il “Dizionario di neolingua” sono ridicole e fanno ridere perché lontanissime dalle nostre consolidate abitudini linguistiche: sbuono, sessoreato, nutriprolet, sbuio… Integrare un’intera lingua in pochi termini) allo scopo di bloccare sul nascere lo sviluppo del pensiero per mancanza di “materia” con cui elaborarlo e ampliarlo, nel nostro tempo presente con il cosiddetto “politichese” (volendo restare nell’ambito politico-ideologico) si vuole raggiungere lo stesso obiettivo distopico ma con un linguaggio non più “asciugato” dalle direttive di un partito dittatoriale come nel romanzo di Orwell, bensì reso disarticolato da una vacua complessità: in questo caso il pensiero viene letteralmente “affogato” non già dalla mancanza di lessico ma dal suo disordinato eccesso. E Orwell riporta dalla sua epoca, con tanto di riferimenti, ben 5 autorevoli esempi di “cattiva lingua” utilizzata in pubblico e per il pubblico.
La prosa moderna si allontana dalla concretezza: ha eliminato i verbi semplici, abusa di cliché e di formule vuote per “stordire” l’interlocutore. Ma oggi, in paesi liberi come l’Italia, a chi conviene, lì dove sono assenti palesi dittature, mantenere e alimentare un linguaggio che allontana la popolazione dalla realtà delle cose? Oserei dire, anche se non riportato nel pamphlet di Orwell, che conviene alla finanza, alla macchina consumistica in cui siamo coinvolti. Non c’è un chiaro pericolo Socing – come nel romanzo “1984” -: la politica (persino quella dittatoriale, divenuta anacronistica e poco “comoda”) si è ormai da decenni consegnata mani e piedi ai meno evidenti e più proficui meccanismi della finanza mondiale che tutto condiziona e influenza. Perché affannarsi a ottenere il controllo di un popolo con la violenza o addirittura con l’invenzione di una neolingua che ne renda rachitico il pensiero, quando si può ottenere lo stesso risultato confondendo il linguaggio e “anestetizzando” quel popolo con discorsi vacui e insinceri? Perché imporre l’onnipresenza di un Grande Fratello quando siamo noi stessi che – pur conservando intatto il nostro vocabolario – ci consegniamo spontaneamente al controllo del “Grande Fratello Social“?
Libero remake del monologo di Mark Renton dal film “Trainspotting”
“Scegliete la discussione accesa con un novax sui social sprecando il vostro tempo nel tentativo di convincerlo, oppure scegliete di farvi convincere da un novax; scegliete concorsi letterari i cui vincitori sono già stati decisi a tavolino dalle case editrici, scegliete la Giornata Mondiale dell’Albero (o dell’Infanzia, tanto è lo stesso) mentre i governi continuano a disboscare nonostante le riunioni planetarie di facciata, scegliete di stupirvi per i tornado nel Mediterraneo e le puntuali “bombe d’acqua”, scegliete il bla bla bla e i venerdì sul clima per fare sega a scuola, scegliete di celebrare la Giornata Mondiale delle Giornate Mondiali, scegliete le notizie insulse e “attira like” di giornaletti on line per cerebrolesi, scegliete un decoder HD del cazzo per assecondare i capricci tecnologici dei grandi comunicatori, scegliete la moneta unica senza fiatare e le imposte di bollo sui vostri risparmi, scegliete l’alta definizione del nulla e la storia spiegata nei libri di Bruno Vespa, scegliete Sanremo, Domenica in, RaiPlay e Netflix, i programmi pomeridiani snobbati persino dalla casalinga di Voghera e quelli serali con cui sentirvi intelligenti, scegliete di scannarvi per il cashback, scegliete un tv comprato con l’elemosina del bonus statale e il cd natalizio di un duo cantautorale mummificato ma ancora in voga tra i romantici attempati, scegliete di sciropparvi mezz’ora di pubblicità prima di ogni film al cinema. Scegliete di andare in pensione a 97 anni, scegliete la palestra e i pannoloni di Stato. Scegliete le vacanze local per ridurre gli spostamenti e favorire l’economia di zona, e subito dopo scegliete di ordinare un posacenere dal Giappone. Scegliete una religione quando più vi fa comodo. Scegliete l’astensionismo, per poi lamentarvi dei politici. Scegliete di protestare contro presunte “dittature sanitarie” e tralasciate i restanti 9999 veri motivi per cui da anni dovremmo alzare barricate ogni giorno. Scegliete di prendere posizione su tutto, anche sulle questioni più irrilevanti offerte dal panorama pseudo-informativo imperante sul web; scegliete l’antiabortismo dei reality show, e scegliete la “pillola del giorno dopo” come se fosse una caramella Zigulì; scegliete di farvi mettere in punizione dall’algoritmo più stupido del social networking che non distingue una tetta da un budino, e scegliete di pregare che la sospensione finisca presto sennò vi sentite persi e disoccupati senza il vostro profilo. Scegliete il metaverso e gli alimenti bio per lavarvi la coscienza, scegliete la bolla social che vi rassicura e il green pass da mostrare agli amici – tatuandovelo sul braccio – come se fosse un Rolex. Scegliete i libri che vi suggerisce l’inserto culturale del vostro giornale, a sua volta foraggiato dalle case editrici più ricche. Scegliete il selfie con un personaggio famoso, assecondando la teoria dei 15 minuti di Warhol. Scegliete di credere che il prossimo sarà l’anno decisivo, quello buono per la svolta; scegliete l’“anche a te e famiglia” e i messaggi animati riciclati da inviare a persone di cui non vi frega un cazzo; scegliete le pubblicità natalizie che cominciano a settembre mentre la gente va ancora al mare; scegliete di socializzare a tutti i costi con i nuovi vicini di casa che vi ignorano, scegliete di usare la parola boomer per sentirvi giovani e competitivi, scegliete di trascinarvi dietro come cadaveri pseudo-amicizie dalle scuole elementari solo per abitudine. Scegliete di commuovervi ascoltando Bocelli (l’unico a cui i tanti soldi non hanno fatto tornare la vista!). Scegliete il capodanno in piazza e la diretta sulla Rai per fare il countdown da casa insieme a baldracche infreddolite e conduttori di plastica. Scegliete di credere alla finta umiltà della popstar e al suo amore per la “famigghia”. Scegliete le botteghe e le scuole di poesia, scegliete di far parte di antologie letterarie con altri duecento autori per sentirvi “scrittori” e l’editoria a pagamento che vi trascura subito dopo aver saldato il conto; scegliete l’associazionismo per sentirvi meno soli, scegliete le webinar per aggravare la vostra demofobia, scegliete di criticare la munnezza che c’è nelle altre città dimenticando il marcio esistente nella vostra “Danimarca”. Scegliete Le Figaro che sputtana la città in cui vivete e scegliete di dargli ragione perché siete sofisticati, autocritici, anti-italiani e non provinciali. Scegliete l’odio sui social (specialmente quello contro novax, nomask, nogreenpass, nosupergreenpass, notav, notap, noqualcosa…) e i gattini da condividere per addolcirvi, scegliete i talent show per staccare dalle notizie martellanti sul Covid e i programmi di approfondimento politico del cazzo, scegliete la radio per sentirvi più originali e antichi, e chiedetevi chi cacchio siete mentre acquistate i quotidiani la domenica mattina perché il vomito della tv non vi basta e volete tutto scritto nero su bianco. Scegliete di seguire il poeta che vende, perché se vende un motivo ci sarà, e le riunioni condominiali con gente che odiate da sempre, scegliete i reading per compensare la vostra sociopatia e i “gruppi mamme scuola” su Whatsapp da cui farvi escludere. Scegliete di scrivere un post come questo illudendovi di essere rivoluzionari.
Veemente dio d’una razza d’acciaio,
Automobile ebbrrra di spazio!,
che scalpiti e frrremi d’angoscia
rodendo il morso con striduli denti…
Formidabile mostro giapponese,
dagli occhi di fucina,
nutrito di fiamma
e d’olì minerali,
avido d’orizzonti e di prede siderali…
io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente,
scateno i tuoi giganteschi pneumatici,
per la danza che tu sai danzare
via per le bianche strade di tutto il mondo!…
Allento finalmente
le tue metalliche redini
e tu con voluttà ti slanci
nell’Infinito liberatore!
All’abbaiare della tua grande voce
ecco il sol che tramonta inseguirti veloce
accelerando il suo sanguinolento
palpito, all’orizzonte…
Guarda, come galoppa, in fondo ai boschi, laggiù!…
Che importa, mio démone bello?
Io sono In tua balìa!… Prrrendimi!… Prrrendimi!…
Sulla terra assordata, benché tutta vibri
d’echi loquaci;
sotto il cielo accecato, benché folto di stelle,
io vado esasperando la mia febbre
ed il mio desiderio,
scudisciandoli a gran colpi di spada.
E a quando a quando alzo il capo
per sentirmi sul collo
in soffice stretta le braccia
folli del vento, vellutate e freschissime…
Sono tue quelle braccia ammalianti e lontane
che mi attirano, e il vento
non è che il tuo alito d’abisso,
o Infinito senza fondo che con gioia m’assorbi!…
Ah! ah! vedo a un tratto mulini
neri, dinoccolati,
che sembran correr su l’ali
di tela vertebrata
come su gambe prolisse.
Poesia e rete: un argomento caldo, “nuovo” sotto certi aspetti ma già “antico” (come ben sa chi, come il sottoscritto, cura un litblog da anni o chi gestisce blog collettivi); domande inevase che cercano una teorizzazione: è la rete che influenza la poesia o è la poesia a influenzare la rete “condizionandone” tempi e atmosfere? L’annullamento delle distanze fa bene o fa male alla poetica di un autore? La rete è solo un “amplificatore veloce” che agevola certe dinamiche comunicative ed editoriali oppure sta modificando il ‘pensiero’ che è alla base del poetare così come ha già modificato altri schemi in altri settori dell’umano vivere? “Alma Poesia” tenta di offrire ai Lettori un primo paniere di risposte – perché valutare un’evoluzione in corso non è operazione semplice e richiede tempi lunghi – grazie a un “testo transgenerazionale”: la risposta a una domanda così delicata non poteva essere affidata ai soli “nativi digitali” che giustamente vivono immersi nel loro tempo, ma soprattutto chi ha vissuto sulla propria pelle la stagione ibrida e di passaggio dall’analogico al digitale possiede lo sguardo necessario a valutare certe differenze, e conserva schemi di pensiero analogici pur muovendosi con mezzi digitali… (m.n.)
Segue comunicato di “Alma Poesia”:
Il 4 aprile 2021 Alma Poesia ha festeggiato il suo primo compleanno; per l’occasione abbiamo deciso di realizzare qualcosa di importante: un volume cartaceo, da noi curato, per indagare il rapporto tra poesia e Rete.
In che modo la velocità della Rete, gli effetti del mediashock e tutte le affascinanti promesse del web – come accorciare le distanze o ridurre i tempi di comunicazione – hanno cambiato il modo di fare poesia e hanno influito sul senso di identità e di relazione di ciascuno?
I testi raccolti in questo volume, scritti da poetƏ natƏ tra il 1940 e il 1999, provano a tracciare alcune possibili traiettorie di senso per rispondere a questa domanda e fare nascere altri quesiti capaci di alimentare consapevolmente il dibattito intorno a poesia e Rete.
Il volume si articola in due sezioni: la prima è dedicata agli omaggi di poetƏ affermatƏ che hanno concesso alcuni contributi inediti sul tema; la seconda ospita invece gli inediti di poetƏ che hanno risposto alla call per la composizione del volume e che sono stati ritenuti meritevoli di farne parte dal comitato editoriale di Alma Poesia, che si è occupato anche della stesura di commenti critici che intervallano i testi delle autrici e degli autori proposti.
“Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete” (Puntoacapo Editrice 2021), in un viaggio tra le generazioni, prova a riassumere in sé le diverse accezioni del rapporto poesia-Rete e a restituirle nella forma organica di questo volume, con l’auspicio che possa essere da stimolo e da supporto a studi successivi del fenomeno.
Il volume uscirà lunedì 10 maggio 2021 per Puntoacapo Editrice, nella collana “Il Cantiere”.
Chiunque potrà averlo da martedì 20 maggio tramite il sito della casa editrice, al quale invitiamo sempre ad accordare preferenza per l’eventuale acquisto, e da lunedì 26 maggio sulle varie piattaforme online e ordinabile nelle librerie.
“Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete” si apre con una nota introduttiva di Alessandra Corbetta, a cui segue la prefazione del Prof. Demichelis, docente accademico di Sociologia Economica. Ci sono poi i testi degli omaggi e quelli della call, suddivisi per gruppi anagrafici; ogni sezione è accompagnata da un commento critico realizzato dai membri di Alma Poesia. A conclusione, una postfazione firmata da Alessia Bronico e Alessandra Corbetta. A seguire, un report sulle candidature arrivate per la call, le note bio-bibliografiche di tutti e i doverosi e sentiti ringraziamenti. Il volume è corredato internamente da due illustrazioni grafiche, realizzate dalla pittrice Stefania Onidi, con le quali abbiamo voluto provare a dare una rappresentazione anche visuale di Poesia & Rete.
anime con vista > piccolo festival di poesia > poesia #29
Michele Nigro, nato nel 1971 in provincia di Napoli, vive a Battipaglia (Sa) dal 1978. Si diletta nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi, articoli per giornali e riviste… Ha diretto la rivista letteraria “Nugae – scritti autografi” fino al 2009. Ha partecipato in passato a numerosi concorsi letterari ed è presente con suoi scritti in antologie e periodici. Nel 2016 è uscita la sua prima raccolta poetica – che ama definire “raccolta di formazione” – intitolata “Nessuno nasce pulito” (edizioni nugae 2.0). Ha pubblicato “Esperimenti”, raccolta di racconti; il mini-saggio “La bistecca di Matrix”; nel 2013 la prima edizione del racconto lungo “Call Center”, nel 2018 la seconda edizione “Call Center – reloaded” e la raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”. Nel 2019, per i tipi delle Edizioni Kolibris, viene pubblicata la raccolta di poesie intitolata “Pomeriggi perduti” (collana di poesia italiana contemporanea “Chiara”), che è anche il nome del suo blog. È del 2020 il volume 2 della raccolta “Poesie minori. Pensieri minimi”.
Più di dieci anni fa tentai di intervistare in carcere, per via epistolare, Unabomber: l’intervista (ne ero consapevole già all’epoca, ancor prima di ricevere il diniego ufficiale da parte delle autorità carcerarie) non si concretizzò a causa di una serie di motivi non dipendenti dall’intervistatore né, credo, dall’intervistato che, almeno in passato, è sempre stato abbastanza “generoso” con altri interlocutori in termini di comunicabilità epistolare con il mondo esterno; motivi “istituzionali” che raccolsi in un post pubblicato sul mio blog dell’epoca: “Nigricante”.
Nel rileggere a distanza di tempo i quesiti che avrebbero dovuto dar vita all’intervista e il “cappello” a questa, non posso ovviamente non notare una generale ingenuità da parte mia (ingenuità che, mi auguro, non abbia intaccato l’urgenza ancora irrisolta di quelle domande e l’importanza socio-culturale legata a esse) e soprattutto è evidente come il fenomeno dei cosiddetti social sia del tutto assente nella formulazione dei miei interrogativi in quanto ancora agli esordi e non incisivo come ai nostri giorni; fenomeno che oggi vedrei bene di includere nei punti dell’intervista riguardanti le ragioni di un certo tipo di influenzabilità sociale.
L’intervista mancata a Ted Kaczynski alias “Unabomber”
Alcuni mesi fa, interessandomi di Singolarità Tecnologica e dei “rimedi” proposti da chi vede nel fenomeno una seria minaccia per l’umanità, ebbi l’istintiva e per certi versi incauta idea di scrivere una lettera-intervista al detenuto Theodore John Kaczynski, tristemente noto anche come Unabomber, rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Florence (Colorado – U.S.A.) dove sta scontando l’ergastolo senza alcuna possibilità di sconti di pena o altre agevolazioni riservate a quei prigionieri capaci di avere nel corso degli anni una cosiddetta “buona condotta”.
Theodore John Kaczynski is flanked by federal agents as he is led to a car from the federal courthouse in Helena, Mont., Thursday, April 4, 1996. Kaczynski, the suspected Unabomber, was charged with one count of possession of bomb components. (AP Photo/John Youngbear)
Lo scopo della mia lettera-intervista (Ted Kaczynski in questi anni di detenzione ne ha ricevute migliaia di lettere, certamente non tutte approdate nella sua cella) era quello di approfondire le tematiche decisamente interessanti, nonostante i metodi illogici e disumani adottati dal nostro ecoterrorista, contenute nel Manifesto di Unabomber (titolo originale: “La Società Industriale e il suo futuro“). Un “saggio” costituito da 232 punti in cui è riassunto, a volte in maniera lucida, geniale e convincente, altre volte scadendo in passaggi ingenuamente farneticanti, l’intero pensiero socio-ecologico, tecno-scettico quando non apertamente luddista, e rivoluzionario dell’ex matematico di Harvard e Berkeley.
Allegata alla lettera-intervista una copia del mio breve saggio “La bistecca di Matrix”: una specie di piccolo “dono” o, se preferite, uno “scambio di opinioni” su questioni di interesse umanistico affrontate in maniera diametralmente opposta a quella di Kaczynski: boicottare in maniera pacifica… scegliendo! Dopo alcune settimane ecco arrivare la tanto agognata risposta ma non da parte di Kaczynski, bensì da parte dell’istituto penitenziario.
Il mio “pezzo” Diarismi: da “1984” a “Seven” ripubblicato su “Suite Italiana”, interessante rivista letteraria su web curata da Ilaria Palomba, Giordano Tedoldi, Giusy Del Salvatore e Mattia Tarantino. Dall’Editoriale di Giordano Tedoldi: “… Suite italiana è dunque un piccolo spazio di libertà, anarcoide e sgangherato, disciplinato solo nel senso della qualità e con una curiosità “italiana” (o se preferite “rinascimentale”) per tutto ciò che è gioco artistico, spasso culturale, follia creativa e dunque improvvisazioni, scherzi, meste meditazioni, filosofie mai germanizzate (e dunque niente metafisica per impressionare i finti-colti…”.
Quando finalmente i vigili del fuoco ebbero sfondato la porta, l’odore, che fino a quel momento era filtrato attraverso gli spiragli, si diffuse per tutto il pianerottolo. La signora Lotti, che abitava nell’appartamento di fianco, fece un passo indietro; i volontari della Misericordia entrarono con la barella; Lorella strinse il braccio di suor Maria Consolazione.
L'uomo abita l'ombra delle parole, la giostra dell'ombra delle parole. Un "animale metafisico" lo ha definito Albert Caraco: un ente che dà luce al mondo attraverso le parole. Tra la parola e la luce cade l'ombra che le permette di splendere. Il Logos, infatti, è la struttura fondamentale, la lente di ingrandimento con la quale l'uomo legge l'universo.
"Voi, seduti nei comodi uffici abbuffati di tasse e di grasse imposte, diventerete un giorno cibo per i vermi e nessuno s'accorgerà della vostra mancanza. Scarti dell'Universo" cit. I.T.Kostka "Trittico sul cibo" (Quadernetti poetici 2017)