3 domande a Ilaria Cino

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©ilariacinopage.blogspot.it

a cura di Michele Nigro, per il litblog “Pomeriggi perduti”

Sei ritornata sulla scena “social”, dopo un periodo di quiescenza, con un tuo sito intitolato “Ilaria Cino – literature influencer”, di poesia e altre cose, in contrapposizione – ipotizzerei io – a un altro tipo di “influencing” che va di moda, ben più inconsistente e di cui troppo si parla. Ti racconti non solo con dei versi inediti ma anche attraverso sprazzi di prosa “sincera”, che non fa sconti innanzitutto a te stessa. Nella tua nota biografica affermi: “la poesia è stata quel mistero di silenzi che non mi ha lasciata sola davanti alle offese della vita…”. Quindi la Poesia può ancora avere – in maniera quasi “esoterica”, direi privata – una funzione salvifica in un mondo che non solo non legge, ma non considera quasi più i poeti se non quelli che fanno “spettacolo” per vendere più copie?

Come epoca, faccio parte di un novecento assente, di un “grido unanime” citando Ungaretti, spento con troppa semplicità. Di questo tempo buio molti ne portano i segni, le contraddizioni che non possono non accendere un poeta. Dobbiamo rassegnarci al “pianger l’aer et la terra e ‘l mar devrebbe l’uman legnaggio” di Petrarca o riconsiderare il fallimento? Come figlia del novecento assente, tento la risposta. Il fenomeno di “influencing”, da te citato, sociologicamente lo valuto. Comunque è un prodotto mediatico dal basso che ha avuto un senso per molti, durante i picchi della pandemia. La poesia ha sempre avuto un ruolo, non salvifico, ma che risponde ad un intimo agire delle Muse, come ribadito da Rilke nelle “lettere a un giovane poeta”, o se vuoi solo per l’Inno a Satana del Carducci, e del verso “e corre un fremito/d’imene arcano”. È stato utile? lo si conosce?

Il motto che campeggia sulla home page del tuo sito recita: “La poesia non si giudica, si apprezza”. Sul non giudicare sommariamente una poesia sono d’accordo con te, ma oggi quella che un tempo veniva chiamata “critica letteraria” (e che si affidava forse troppo rigidamente a un “canone”) non esiste quasi più se non in consessi accademici o di elitarismo editoriale. A quali parametri, dunque, affidarsi per “apprezzare” un testo poetico e soprattutto per non lasciarsi catturare da quel fenomeno mediatico-popolare che io definisco della “poesia facile”, omogeneizzata, predigerita, concepita per consolare chi va di fretta?

Nella critica letteraria, anche emergente, ho fiducia, considerando il percorso poetico che ho fatto. Un critico, critica, è il suo fare artigiano che dà sostanza al poeta. Un poeta è un poeta per la malinconia del fallimento, per cui la critica letteraria è la sua fucina. Che sia “poesia facile” come giustamente osservi o altro è poco importante. L’importante è lo spazio che la poesia occupa. Personalmente continuo a frequentare la scuola degli autodidatti, della Treccani, e dell’umiliazione pubblica.

Progetti, idee, pubblicazioni in uscita o in cantiere… Insomma, parlaci di te e del tuo lavoro letterario.

Progetti, nessuno in particolare; se mi riesce di scrivere, scrivo. Ringrazio il tuo litblog “Pomeriggi perduti”.

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Un pensiero riguardo “3 domande a Ilaria Cino

  1. Una bella intervista che abbraccia un discorso sulla poesia che spinge alla riflessione per chi purtroppo come noi si dedica a questa “arte”, e leggendo le domande di Michele e le risposte di Ilaria mi chiedo: ma possiamo mettere un punto fermo sulla poesia? Possiamo sapere oggi il poeta che funzione ha, se mai ne ha avuta? Ilaria dice che lei è una figlia del Novecento vero anche io la penso così, siamo al confine tra due epoche e questo ha il suo peso. Ilaria vede la poesia come rifugio alle offese della vita, vero, e le chiederei se è una poesia come terapia quella che lei propone? Il punto è, miei carissimi amici, che dobbiamo considerarci come solitari viandanti della poesia; l’immagine che ci rappresenta è quella dell’eremita dei tarocchi, un uomo che cammina con una lampada che è per noi la poesia stessa. Grazie a voi due…

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