L’intervista mancata a Ted Kaczynski alias “Unabomber”

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Più di dieci anni fa tentai di intervistare in carcere, per via epistolare, Unabomber: l’intervista (ne ero consapevole già all’epoca, ancor prima di ricevere il diniego ufficiale da parte delle autorità carcerarie) non si concretizzò a causa di una serie di motivi non dipendenti dall’intervistatore né, credo, dall’intervistato che, almeno in passato, è sempre stato abbastanza “generoso” con altri interlocutori in termini di comunicabilità epistolare con il mondo esterno; motivi “istituzionali” che raccolsi in un post pubblicato sul mio blog dell’epoca: “Nigricante”.

Nel rileggere a distanza di tempo i quesiti che avrebbero dovuto dar vita all’intervista e il “cappello” a questa, non posso ovviamente non notare una generale ingenuità da parte mia (ingenuità che, mi auguro, non abbia intaccato l’urgenza ancora irrisolta di quelle domande e l’importanza socio-culturale legata a esse) e soprattutto è evidente come il fenomeno dei cosiddetti social sia del tutto assente nella formulazione dei miei interrogativi in quanto ancora agli esordi e non incisivo come ai nostri giorni; fenomeno che oggi vedrei bene di includere nei punti dell’intervista riguardanti le ragioni di un certo tipo di influenzabilità sociale.

Segue il testo del post pubblicato nel 2010:

L’intervista mancata a Ted Kaczynski alias “Unabomber”

Alcuni mesi fa, interessandomi di Singolarità Tecnologica e dei “rimedi” proposti da chi vede nel fenomeno una seria minaccia per l’umanità, ebbi l’istintiva e per certi versi incauta idea di scrivere una lettera-intervista al detenuto Theodore John Kaczynski, tristemente noto anche come Unabomber, rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Florence (Colorado – U.S.A.) dove sta scontando l’ergastolo senza alcuna possibilità di sconti di pena o altre agevolazioni riservate a quei prigionieri capaci di avere nel corso degli anni una cosiddetta “buona condotta”.

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Theodore John Kaczynski is flanked by federal agents as he is led to a car from the federal courthouse in Helena, Mont., Thursday, April 4, 1996. Kaczynski, the suspected Unabomber, was charged with one count of possession of bomb components. (AP Photo/John Youngbear)

Lo scopo della mia lettera-intervista (Ted Kaczynski in questi anni di detenzione ne ha ricevute migliaia di lettere, certamente non tutte approdate nella sua cella) era quello di approfondire le tematiche decisamente interessanti, nonostante i metodi illogici e disumani adottati dal nostro ecoterrorista, contenute nel Manifesto di Unabomber (titolo originale: “La Società Industriale e il suo futuro“). Un “saggio” costituito da 232 punti in cui è riassunto, a volte in maniera lucida, geniale e convincente, altre volte scadendo in passaggi ingenuamente farneticanti, l’intero pensiero socio-ecologico, tecno-scettico quando non apertamente luddista, e rivoluzionario dell’ex matematico di Harvard e Berkeley.

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Allegata alla lettera-intervista una copia del mio breve saggio “La bistecca di Matrix”: una specie di piccolo “dono” o, se preferite, uno “scambio di opinioni” su questioni di interesse umanistico affrontate in maniera diametralmente opposta a quella di Kaczynski: boicottare in maniera pacifica… scegliendo! Dopo alcune settimane ecco arrivare la tanto agognata risposta ma non da parte di Kaczynski, bensì da parte dell’istituto penitenziario.

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Ora, anche una persona dotata di intelligenza media (come nel caso del sottoscritto) capirebbe che dietro il rifiuto “ufficiale” di far pervenire il mio semplice e innocuo (per non dire insignificante!) saggio nelle mani di Kaczynski si nasconde la volontà ufficiosa ma piuttosto evidente di bloccare una serie di domande, contenute nella mia lettera-intervista, che secondo gli amministratori carcerari di Unabomber potrebbero incentivare una discussione che – non so se lo sanno i carcerieri di Kaczynski! – è già abbastanza accesa in tutto il mondo da anni e riguarda la situazione sociale, economica, tecnologica, ecologica dell’intera umanità.

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La parte più, diciamo così, “divertente” della risposta da parte dell’amministrazione carceraria di Florence è quella in cui si afferma, riferendosi al mio saggio “La bistecca di Matrix”, che certe pubblicazioni – in base al Regolamento del carcere parzialmente citato nella lettera di risposta (inviata per conoscenza anche a Kaczynski come si evince dalla parte della missiva dedicata ai destinatari della risposta) – possono essere rigettate al mittente nel caso in cui costituiscano “… detrimental to the security, good order, or discipline of the institution…” e – ciliegina sulla torta! – “… or if it might facilitate criminal activity.”

Immaginatevi, a questo punto, Ted Kaczynski che dopo aver letto il mio saggio – in cui tra l’altro affermo buonisticamente che l’umanità potrà migliorare solo se presterà attenzione agli insegnamenti silenziosi provenienti dai libri e non certamente confezionando bombe! – posa l’opuscolo sul letto e comincia a dar di matto gridando e sbattendo la testa contro le sbarre della propria cella o che s’inventa, stimolato dal mio scritto, un nuovo modo per fabbricare e spedire ordigni esplosivi in tutto il mondo utilizzando il servizio postale del penitenziario statunitense che lo custodisce.

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Capisco che Kaczynski abbia tentato il suicidio in passato (quindi è meglio non stuzzicarlo con certe letture) e che non sia una star hollywoodiana da inseguire, adulare ed esaltare (dopo quello che ha combinato con i suoi pacchi-bomba!), come se si trattasse di George Clooney che passa sul red carpet degli Oscar, ed ammetto anche che nel mio piccolo saggio ci siano elementi che potremmo forzatamente definire “eversivi” (il carattere rivoluzionario di tali elementi si esprime sempre ed esclusivamente in ambito culturale, senza mai proporre rimedi pratici drastici capaci di ledere la sicurezza e la dignità del lettore o degli esseri umani che il lettore incontra lungo il suo cammino quotidiano), ma questo tentativo di “seppellire vivo” Ted Kaczynski nella propria cella, è solo un modo maldestro e ingenuo di bloccare una discussione doverosa e pacifica sul destino forse non troppo roseo della nostra colorata e ipervitaminica “civiltà tecnologica”. Come afferma provocatoriamente il titolo della prefazione di Antonio Troiano a “Il manifesto di Unabomber” pubblicato da Stampa Alternativa“C’E’ UN PO’ DI UNABOMBER IN CIASCUNO DI NOI”; e con questo titolo non si vuole certamente sottolineare la presunta capacità di ognuno di noi di confezionare una bomba da spedire a Tizio o a Caio perché rappresentano dei simboli da abbattere nell’ambito di una rivoluzione dinamitarda, febbricitante e sconsiderata, bensì rilevare quell’Unabomber che c’è in tutti noi e che è capace di “far esplodere” una serie di domande scomode in grado di mettere in crisi un Sistema imperante e che quotidianamente assecondiamo senza battere ciglio.

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Alla cortese attenzione del

Signor Theodore John Kaczynski

Florence, Co (U.S.A.)

Gentile Signor Theodore John Kaczynski,

pur conoscendo la sua storia personale da molto tempo, solo recentemente ho avuto la concreta possibilità di leggere attentamente il suo Manifesto intitolato “La Società Industriale e il suo futuro”: un saggio molto interessante e ricco di verità incontestabili soprattutto nei punti riguardanti “la psicologia della moderna sinistra”, “la sovrasocializzazione”, “il processo del potere” e “le attività sostitutive” che sono alla base del successo di quel potere che il sistema industriale esercita su tutti noi da molto tempo. Condivido gran parte delle sue idee anche se non credo in una realizzazione dell’ideale luddista su questo pianeta e durante questa era: siamo troppo imbrigliati in ciò che abbiamo costruito nel corso degli ultimi secoli e siamo troppo pigri per una rivoluzione radicale. E il suo esempio, soprattutto nella sua triste fase violenta, non ha certamente agevolato un seppur timido tentativo di “rivoluzione anti-tecnologica” su base ambientalista e pacifista. Credo, invece, nell’iniziativa individuale e costante nel tempo (da non sottovalutare) e nell’applicazione personalizzata e pacifica di alcune delle sue sagge indicazioni. Alcuni punti del suo Manifesto, invece, sono semplicemente incompleti e frettolosi (come Lei stesso ha ammesso in uno dei punti finali) e altri ancora decisamente ingenui.

Sono giunto alla lettura del suo Manifesto grazie al mio interesse nei confronti della cosiddetta Singolarità Tecnologica (ovvero un punto critico del progresso tecnologico accelerato che oltrepasserà la capacità di comprensione e prevenzione dell’umanità) descritta principalmente da Vernor Vinge (“Singolarità Tecnologica” – 1993) e Ray Kurzweil (“The Law of Accelerating Returns”).

Vorrei quindi farle alcune domande a titolo personale, se è possibile.

– A distanza di anni dalla prima stesura del suo Manifesto “La Società Industriale e il suo futuro” e alla luce della recente crisi mondiale che sta mettendo a dura prova i sistemi economici dei maggiori paesi industrializzati (causando disoccupazione, precariato e crolli finanziari), quali aspetti della sua analisi e della “strategia” proposte nel Manifesto vorrebbe cancellare, modificare o evidenziare con maggior forza? Crede che il suo Manifesto sia ancora attuale?

– Cosa ne pensa dell’esperienza del “bioregionalismo” che in America e in altre zone del mondo sta cercando di rivalutare l’importanza delle piccole comunità autonome e del contatto diretto con il territorio e la natura? Potrebbe, questa esperienza, costituire un esempio di “rivoluzione” pacifica anche se in scala ridotta e senza causare la totale eliminazione della tecnologia?

– Lei pensa che durante gli anni trascorsi dalla pubblicazione del suo Manifesto il controllo del comportamento umano da parte del Sistema sia aumentato oppure c’è una maggiore consapevolezza da parte dell’umanità e quindi una più raffinata possibilità di scelta? E quali nuove forme di controllo intravede nell’immediato futuro della società?

– Esistono, secondo Lei, nuove forme dittatoriali (sociali ed economiche) difficilmente intercettabili? E che tipo di lavoro può fare l’essere umano su sé stesso per affinare la propria capacità di evidenziarle?

– Ora che di fatto, a causa di una certa “diluizione ideologica”, non esiste più una vera forza politica di sinistra, se confrontata con quella originale, crede che la strategia contenuta nel suo Manifesto sia realizzabile oppure intravede altri ostacoli?

– Cosa ne pensa delle previsioni contenute nelle opere della fantascienza distopica passata e recente? Quali sono le sue letture preferite in questo periodo della sua vita?

P.S.: prima di leggere il suo Manifesto, alcuni anni fa, ho scritto un breve saggio intitolato “La bistecca di Matrix” (vedi libretto allegato). Si tratta di uno scritto in cui descrivo alcuni aspetti coercitivi caratteristici della società moderna e la soluzione culturale che propongo per evitarli: solo la libertà offerta dalla cultura può spezzare le catene del Sistema; solo grazie alla vivida consapevolezza derivante dal sapere variegato e autentico potremo scegliere e interrompere la corsa tecnologica voluta dal Sistema economico imperante e accelerante.

Michele Nigro

versione pdf: L’intervista mancata a Ted Kaczynski alias Unabomber

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