“Quark”, per noi…

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Ricordo ancora quando all’inizio degli anni ’80  ̶  era il 18 marzo del 1981 per la precisione!  ̶  io e mia sorella sulla RAI guardammo con un interesse inedito la prima puntata di un programma tutto nuovo, lineare nella sua struttura, apparentemente semplice nel suo intento espositivo, ma ricco e avvincente dal punto di vista contenutistico. Sul piccolo televisore in bianco e nero nel salone della nuova casa, nella nuova città in cui ci eravamo da poco trasferiti, la figura elegante, equilibrata, garbata del giornalista Piero Angela, classe 1928  ̶  come nostro padre venuto a mancare pochi anni prima  ̶  che avrebbe assunto a sua insaputa la funzione di padre adottivo scientifico: il tradizionale racconto prima di addormentarsi di un genitore o di un nonno fatto di lupi mannari, maghi, bambini persi nei boschi, avrebbe ben presto lasciato il posto al racconto scientifico di quel nuovo cantore serale fatto di neutrini, esplorazioni spaziali, entropia e buchi neri… Attraverso una rinnovata esposizione dei fatti e delle scoperte, ci veniva offerto un nuovo approccio persino alla vita quotidiana, più logico, razionale, basato sul rigore della sperimentazione e sulla “fede” nella ricerca di nuove soluzioni a quasi tutti i problemi dell’esistenza umana: dai sistemi più complessi fino a scendere a livello delle questioni elementari, condominiali.

Perché questo è stato il grande Piero Angela  ̶  refrattario a una certa politica e fedele al sapere senza essere saccente  ̶  durante questi preziosi decenni di divulgazione scientifica compiuta attraverso il mezzo televisivo e non solo: è stato un traduttore dal linguaggio scientifico a quello quotidiano, un “esemplificatore” della materia scientifica e tecnologica senza mai correre il rischio di depauperarla o ridicolizzarla nel tentativo di renderla assimilabile. Anche quando si è avvalso dei cartoni animati di Bruno Bozzetto, o di altri mezzi comunicativi, per spiegare una teoria o per semplificare un concetto spigoloso, Piero Angela, insieme agli altri autori che con lui hanno collaborato per molti anni, non ha mai declassato la complessità dell’argomento trattato; ha invece avvisato il telespettatore della difficoltà del tema richiedendo a quest’ultimo una maggiore dose di attenzione: perché il divulgatore non è solo colui che premastica o predigerisce la materia sostituendosi al telespettatore, ma è soprattutto un amante della scienza che propone a chi lo ascolta di impegnarsi a capire, ad approfondire, di sforzarsi per andare incontro alla comprensione personale dell’argomento, facendolo proprio. Come ogni vero insegnante sa, è molto più importante accendere la curiosità in chi ascolta che propinargli un omogeneizzato nozionistico privo di sapore e di odore.

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È un’apparizione laica

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È un’apparizione laica
serale il punto di luce fissa
congegno umano veloce per caduta,
commuove quest’avanzata fede primitiva
nel passaggio di metalli spaziali
puntuali e dispersi come pensieri al tramonto

si prepara il pianeta in bilico
al dolce sonno terreno
dettato dal suo giro d’asse
è il sacrificio a Morfeo,

la stella cometa dell’uomo in orbita
saluta l’ultimo sole prima del buio.

E brilla la corsa verso l’oscurità,
tornerà ancora, ma tra le tenebre
dell’ormai tardi notturno
quando il distratto uomo digitale
non baderà più alla gravità dei suoi gesti quotidiani.

“Il fantasma dentro la macchina” di A. Koestler diventa audiolibro

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Grazie al lavoro meritorio di Rossana Marino, il saggio di Arthur Koestler “Il fantasma dentro la macchina” è diventato un comodo audiolibro gratuito e consultabile dal pubblico interessato: sul canale YouTube che ospita le letture, ogni capitolo del libro corrisponde a una “puntata” dell’audiolettura. Di seguito si propone il primo capitolo: i successivi, di diversa durata, sono elencati nel canale e facilmente riproducibili.

Nel ringraziare Rossana Marino per questa iniziativa che le fa onore, vi auguro buon ascolto… in attesa di una ri-edizione italiana di questo importantissimo scritto (attualmente ancora fuori catalogo e quindi non disponibile sul mercato editoriale!) che, oltre a essere fonte di complesse e inesauribili riflessioni biologico-filosofiche, è stato e sarà istigatore di altre idee e creazioni artistiche…

Il futuro del Futurismo: 3 domande a Roberto Guerra

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“Futurismo” è sempre stato sinonimo di entusiasmo tecnologico, rilancio, proiezione dell’inventiva umana verso nuovi obiettivi sociali e culturali; lo scorso 9 agosto è stato l’anniversario del “folle volo” di D’Annunzio su Vienna (1918), che fu per certi versi più futurista dei futuristi. Quali voli neofuturistici intravedi per questa Italia post-pandemica? 

Il futurismo (aggiornato) è stato il grande sogno della mia passeggiata terrestre. Il neofuturismo cosiddetto, fu… l’ultima stagione creativa del Duemila, favorita dalla rivoluzione elettronica che sembrava confermare le migliori intuizioni di Marinetti e i futuristi. In senso strettamente artistico, l’ultimo volo è stato di Vitaldo Conte: per il centenario del Manifesto futurista nel 2009 nei cieli di Roma come paracadutista, declamando Marinetti all’atterraggio. Vedi su YouTube: QUI!

Dal virus e tra i suoi effetti sociali (certi, non statistiche di troppi virologi) il futuro è sicuramente ibernato, soprattutto per le nuove generazioni; il futuro tornerà solo tra decenni, siamo realmente nell’era di Orwell… Voli prossimi (neofuturistici) in senso sociale? Non credo.

Nel tuo ultimo lavoro, l’ebook intitolato “Futurismo Duemila” (Tiemme Digitali), ti occupi della storia del neofuturismo e della sua fine; ma è veramente finita? Al di là dei neologismi associati (neo, post, trans) nel corso della storia alla parola futurismo, non è appunto nei periodi di rinascita che c’è più bisogno di “avanguardia”? 

In realtà, negli ultimi anni del decennio scorso, dopo un apice, le reti neofuturiste si erano già esaurite. Siamo andati avanti il sottoscritto, Vitaldo Conte, Antonio Fiore Ufagrà, S. Giovannini e altri però singoli futuristici. Altri della rete, si occupano di percorsi laterali e personali. Naturalmente, il futurismo non ha mai esaurito la necessità storica di avanguardie plurime. Ancora ne esistono, ma strettamente letterarie o solo artistiche. Certo zeitgeist del tempo, certo livello minimo di democrazia e credibilità dei politici e dei media, la fine stessa della scienza come verosimile (in dubbio ormai dopo la gestione pandemica mondiale, per la comunicazione terroristica troppi sono persino contro i vaccini!) attualmente impedisce la nascita di nuove avanguardie globali forti. Quando si parla di rinascita postvirus vi è molta retorica irrealistica. Al massimo si può sperare in una sopravvivenza minimale creativa. Per le nuove generazioni, se si svegliano o le si lascia risvegliare, magari, potrebbe esserci una singolarità storica dirompente, il potere ai 16-40enni e relax per longevi e meno longevi… Dalla vecchia “Immaginazione al Potere” (semifallimentare) all’attuale “Follia al Potere”, per giungere finalmente un domani alla vera “Giovinezza al Potere”. E nuove arti e letterature, mix arte-scienza, parzialmente digitali…

Che ne pensi delle critiche da parte della Chiesa al Transumanesimo?

La parola dovrebbe essere Libera, quindi legittima ogni critica al cosiddetto futurismo transumanista, scientifico, all’estero tutt’ora in primo piano nelle ricerche. Vero anche che molte critiche bioetiche della Chiesa di Roma o dei “conservatori”, sono fake news mediatiche (Internet o Giornali). Recentemente ho contestato questa percezione mainstream del transumanesimo: leggi QUI! In breve, molto spesso, a parte, ripeto, legittimi dubbi, in quanto si parla di prospettive a cui mancano spesso ancora le tecnologie e anche importanti “certezze” epistemologiche, queste fake news non si riferiscono mai alle informazioni ufficiali dei più importanti (anche sul piano accademico) transumanisti internazionali (Z. Istvan, A. de Grey, M. More, R. Kurzweil, V. Pride, M. Rothblatt e molti altri), facilmente reperibili su riviste e giornali Internet ufficiali e nella letteratura postumana ufficiale. Molti timori e analisi giornalistiche sembrano al contrario proiezioni soggettive e di certi gruppi, proprio del vecchio mondo attuale e reale, proprio dopo il virus: Nuovo Ordine Mondiale, genderismo ecc. Inconciliabilità tra Chiese e Transumanesimo? Basta un Teilhard de Chardin per smentire questo passatismo… Poi, vero, dopo il virus, ingegneria genetica o altre scienze di punta vanno viste con più attenzione ecologica ed etico-tecnologica…

Segue presentazione dell’ebook:

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“Storia naturale del nerd”, su Pangea.news

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Il mio articolo “Storia naturale del nerd” (già pubblicato su “Nigricante”qui, e in seguito ripreso anche su questo blog, qui) è stato riproposto su Pangearivista avventuriera di cultura e idee, “una delle migliori rassegne culturali in Italia”, curata dal giornalista, poeta, scrittore e critico letterario Davide Brullo e che da sempre pubblica articoli interessanti e culturalmente stimolanti.

Per leggere l’articolo: QUI!

L’intervista mancata a Ted Kaczynski alias “Unabomber”

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Più di dieci anni fa tentai di intervistare in carcere, per via epistolare, Unabomber: l’intervista (ne ero consapevole già all’epoca, ancor prima di ricevere il diniego ufficiale da parte delle autorità carcerarie) non si concretizzò a causa di una serie di motivi non dipendenti dall’intervistatore né, credo, dall’intervistato che, almeno in passato, è sempre stato abbastanza “generoso” con altri interlocutori in termini di comunicabilità epistolare con il mondo esterno; motivi “istituzionali” che raccolsi in un post pubblicato sul mio blog dell’epoca: “Nigricante”.

Nel rileggere a distanza di tempo i quesiti che avrebbero dovuto dar vita all’intervista e il “cappello” a questa, non posso ovviamente non notare una generale ingenuità da parte mia (ingenuità che, mi auguro, non abbia intaccato l’urgenza ancora irrisolta di quelle domande e l’importanza socio-culturale legata a esse) e soprattutto è evidente come il fenomeno dei cosiddetti social sia del tutto assente nella formulazione dei miei interrogativi in quanto ancora agli esordi e non incisivo come ai nostri giorni; fenomeno che oggi vedrei bene di includere nei punti dell’intervista riguardanti le ragioni di un certo tipo di influenzabilità sociale.

Segue il testo del post pubblicato nel 2010:

L’intervista mancata a Ted Kaczynski alias “Unabomber”

Alcuni mesi fa, interessandomi di Singolarità Tecnologica e dei “rimedi” proposti da chi vede nel fenomeno una seria minaccia per l’umanità, ebbi l’istintiva e per certi versi incauta idea di scrivere una lettera-intervista al detenuto Theodore John Kaczynski, tristemente noto anche come Unabomber, rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Florence (Colorado – U.S.A.) dove sta scontando l’ergastolo senza alcuna possibilità di sconti di pena o altre agevolazioni riservate a quei prigionieri capaci di avere nel corso degli anni una cosiddetta “buona condotta”.

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Theodore John Kaczynski is flanked by federal agents as he is led to a car from the federal courthouse in Helena, Mont., Thursday, April 4, 1996. Kaczynski, the suspected Unabomber, was charged with one count of possession of bomb components. (AP Photo/John Youngbear)

Lo scopo della mia lettera-intervista (Ted Kaczynski in questi anni di detenzione ne ha ricevute migliaia di lettere, certamente non tutte approdate nella sua cella) era quello di approfondire le tematiche decisamente interessanti, nonostante i metodi illogici e disumani adottati dal nostro ecoterrorista, contenute nel Manifesto di Unabomber (titolo originale: “La Società Industriale e il suo futuro“). Un “saggio” costituito da 232 punti in cui è riassunto, a volte in maniera lucida, geniale e convincente, altre volte scadendo in passaggi ingenuamente farneticanti, l’intero pensiero socio-ecologico, tecno-scettico quando non apertamente luddista, e rivoluzionario dell’ex matematico di Harvard e Berkeley.

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Allegata alla lettera-intervista una copia del mio breve saggio “La bistecca di Matrix”: una specie di piccolo “dono” o, se preferite, uno “scambio di opinioni” su questioni di interesse umanistico affrontate in maniera diametralmente opposta a quella di Kaczynski: boicottare in maniera pacifica… scegliendo! Dopo alcune settimane ecco arrivare la tanto agognata risposta ma non da parte di Kaczynski, bensì da parte dell’istituto penitenziario.

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Solstizio d’inverno

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Sol Invictus

Con silenzioso passo pagano
percorro l’orizzonte cittadino
immemore e avido di luce,
scavalco il tanto atteso messia
fino a riconquistare le origini
di seppelliti saperi a oriente.

Lunga sarà la notte dell’eterno ritorno,
speranze risalgono dalle tenebre.

Antenati senza orologio
andavano a pranzo
osservando
il sole nel cielo.

(tratta da “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

– video correlato –

“Jesce Sole”, da La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone

L’eclissi

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L’eclissi 

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“Buongiorno a tutti gli amici ascoltatori sintonizzati sulle frequenze di Radio Halley che vi trasmette il meglio della musica dalla caldissima Napoli… Oggi è l’11 Agosto 1999… mi dispiace per quelli che sono rimasti in città, ma questa temperatura tropicale non scenderà fino al prossimo martedì…!” – informava sadicamente lo speaker nell’introdurre il suo programma musicale, mentre un condizionatore d’aria puntato dritto in faccia lo predisponeva a sinusiti invernali.

Già da un’ora Niccolò era salito sul campanile della chiesa di San Sebastiano al Vesuvio e, dopo aver sintonizzato la radiolina, si diede da fare per allestire una base d’appoggio per la sua videocamera. La batteria era carica e il quadratino di lastra radiografica, ritagliato per l’occasione da un vecchio rx toracico della nonna, era stato fissato con del nastro adesivo sull’obiettivo. Una precauzione necessaria perché questa volta non si trattava della solita “prima comunione” o di un tipico matrimonio estivo al Sud, ma Niccolò stava preparando la ripresa di uno degli eventi astronomici più interessanti di quel “fin de siècle” tanto atteso da programmatori di computer e astrologi catastrofisti.

La lente della videopostazione casereccia era stata puntata verso il dio Ra, meglio conosciuto come la stella Sole, e Niccolò attendeva fedele l’inizio delle danze cosmiche. Stava per assistere all’ultima eclissi solare del ventesimo secolo e la prossima sarebbe stata troppo lontana nel tempo per fare ottimistiche previsioni mediche su di una sua futura presenza fisica.

“Non è possibile perdere un autobus che ripassa dopo ottant’anni!” – pensò Niccolò sarcasticamente. Di tanto in tanto, affacciandosi dal campanile sulle strade calde e vuote, Niccolò contemplava la desertica solitudine in cui si era andato a impelagare quella mattina a causa dei suoi folli interessi astronomici. Mentre il novantanove per cento della popolazione si trovava al mare, lui cercava di puntare la sua insignificante videocamerina verso uno dei reattori nucleari più potenti dell’universo.

“Non sto bene mentalmente!” – pensava con ironia di se stesso in quei momenti. E l’insolazione che di lì a poco si sarebbe procurato, avrebbe peggiorato le sue condizioni psicologiche già precarie. Ma era felice così. Non aveva mai rifiutato un “impegno scientifico” in nome della mondanità e preferiva le notti stellate trascorse su un plaid alle discoteche rumorose delle località turistiche. Queste scelte radicali forse avevano intaccato la sua elasticità sociale ed era in nome di un coltivato “orgoglio culturale” che si trovava appollaiato su un campanile nel mese più caldo dell’anno. E da lì poteva ammirare anche un altro storico esponente della fenomenologia naturalistica: il Vesuvio, lo Sterminator Vesevo immortalato anche da Leopardi.

Ma non era la settimana dedicata alla vulcanologia e così riprese a guardare attraverso l’oculare della videocamera sperando che la debole protezione posta dinanzi all’obiettivo proteggesse i circuiti interni dalla fusione. L’immagine era perfetta nella sua monotonia e al centro del video il protagonista insolito di quel lungometraggio appariva come un cerchio lucente la cui antica potenza era domata da un irriverente pezzetto di radiografia. Intorno al cerchio di fuoco, a perimetrarlo, si delineava la “corona solare” come quella di un re seduto sul trono, alla vigilia dello spodestamento. Ogni tanto un gruppo di nuvole dispettose si divertiva a passare dinanzi al “set cinematografico” come per ricreare la scena fumosa di un incendio cosmico.

“Che secolo il Novecento!” – rimuginava Niccolò – “… guerre, invenzioni, rapidi mutamenti su scala mondiale, scoperte sensazionali, energie spaventose, viaggi impossibili, tecnologie inconcepibili… E tutto questo mentre l’immutabile gioco celeste di eclissi e stelle morenti si consumava sulla fredda landa di una lente telescopica.”

La luce solare impiega 8 minuti e 18 secondi per raggiungere la Terra e Niccolò pensava che durante quel breve intervallo di tempo si può nascere e si può morire.

Improvvisamente il primo timido lembo di Luna si interpose tra la nostra casa – il pianeta Terra – e la “fornace della vita”, il Sole.

Un’unghiata lunare. Era un momento emozionante. Ma non lo era stato sempre per tutti.

In altre epoche ci sarebbero state reazioni diverse: flagellazioni espiatorie, pentimenti d’urgenza, confessioni pubbliche, sacrifici umani e terrori superstiziosi. Dalla radio del presente, invece, i cronisti raccontavano a caldo, dalle varie città d’Italia e del mondo, le sensazioni della gente: a Sofia ci si aspettava un’improbabile crollo del Capitalismo in concomitanza con l’eclissi, mentre dalla pragmatica Germania giungevano consigli a non abbassare la guardia nei confronti dei borseggiatori che avrebbero approfittato del buio anomalo.

Nessuna atmosfera da “anno mille”. La calda consapevolezza assicurata dalla scienza aveva assopito gli istinti magici ormai da tempo. Per fortuna. Anche se, sotto la cenere delle sovrastrutture culturali, l’uomo continuava ad alimentare una brace irrazionale.

Gli astrofili erano già armati fino ai denti per assistere all’evento: pezzi di vetro scuro, schermi da saldatore, buste nere della spazzatura. Ma qualcuno avrebbe perso la vista perché non istruito a dovere sulle conseguenze della visione diretta del dio Ra.

“Non si può guardare direttamente il volto di una divinità senza pagare un prezzo alto!” – pensò cinicamente Niccolò in un attimo di delirio religioso.

L’irregolarità del vento solare disturbava le frequenze radio e così, di tanto in tanto, Niccolò doveva cercare nuove stazioni e nuove canzoni per quella insolita colonna sonora: l’unica libertà che si era concesso quella mattina. Alla severità dell’evento cosmologico aveva contrapposto un leitmotiv da spiaggia californiana per rammentare a se stesso che, nonostante il rigore scientifico dedicato all’eclissi, faceva sempre parte di quell’effimero formicaio chiamato “umanità” caratterizzato da frivolezze e canzoncine.

Il silenzio cosmico non lo avrebbe accusato di vilipendio.

La Luna, impercettibilmente, completava la sua opera di interposizione, come una donna gelosa che cerca di distrarre il suo uomo caloroso da una rivale lussureggiante. Ma solo in alcune parti del mondo avrebbero sperimentato gli effetti dell’eclissi totale.

“La strana notte”, affievolendo le ombre, induceva i colombi torraioli a gonfiare le penne e a riunirsi in gruppo per l’inatteso imbrunire, ignorando che dopo pochi minuti avrebbero ricevuto l’ennesima sveglia dal sole nascosto.

Intanto dalla radio una sfida a onde medie – “La canzone del secolo” – presentava i suoi candidati per un altro inutile scettro. Quale sarebbe stata la canzone del secolo? Quale motivetto avrebbero votato i fedelissimi radioascoltatori? A Niccolò non importava nulla. Ascoltava e basta.

E mentre saltellava sul campanile infuocato, tra una canzone e l’altra, rileggeva mentalmente i suoi appunti di astrofisica:

“… ogni volta che due masse qualsiasi si trovano presenti nello spazio, si manifesta tra di esse una forza attrattiva direttamente proporzionale alle masse stesse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra i rispettivi baricentri. Tale forza è detta gravitazione universale. La sua espressione matematica assume la forma seguente:

f = k  m 1 m 2 / ( r )²

dove m1 e m2 sono le masse, r la distanza e k una costante universale…”.

La precisione e, al tempo stesso, la presunzione racchiuse in quella formula lo entusiasmavano e lo deprimevano. Sapeva bene che molti cervelli e molti secoli erano stati necessari per definire, correggere e rafforzare la Legge della Gravitazione Universale, ma l’evento a cui stava assistendo confortava la sua personale convinzione che l’errore facesse parte di un Piano Superiore e che l’eclissi, solo all’apparenza anomala, rappresentava la conferma di una precisione calcolata.

Sempre dagli appunti:

“… il piano dell’eclittica e il piano su cui è situata l’orbita percorsa dalla Luna attorno alla Terra, formano un angolo di 6° e, a ogni lunazione, la Luna incontra il piano dell’eclittica in due punti detti nodi… il fenomeno dell’eclissi si verifica soltanto se tali nodi vengono a trovarsi esattamente sulla retta che congiunge la Terra col Sole… si è osservato che il fenomeno dell’eclissi si rinnova quasi regolarmente per ogni 223 lunazioni…”.

Nulla è lasciato al caso nella “routine” universale: nemmeno l’errore. E quasi tutto può essere calcolato.

L’errore è la pausa dalla regola, la distrazione dal Piano, l’aritmia sinusale, la poesia inedita di Dio, il filo di lana che sfugge alla maglia, il vizio del Creatore, la sbavatura d’inchiostro sulla rivista patinata, le gambe storte del campione, il graffio sul disco, la sordità del compositore… L’errore è la compassione che si prova per il magnifico, è l’aberrazione che sfida la Noia, è la fuga dello Spirito dall’impegno del Materialismo, è il piccolo mammifero che sopravvive all’estinzione, è “la pietra scartata dai costruttori, divenuta testata d’angolo”, è l’amico dimenticato, è la prima cellula tumorale, è la madre che uccide il neonato, è la nave inaffondabile che affonda, è il grattacielo che crolla, è l’eroe che muore per un raffreddore, è la pioggia col Sole, è il fiore che spacca l’asfalto, è le “Tredici variazioni sul tema” di Jill Sprecher… È la vita.

“L’idea è morta… L’Errore ha annunciato i nomi del Governo Rivoluzionario… Lutto in famiglia!” – urlò come un dannato Niccolò dal campanile verso un vecchietto seduto sotto un albero il quale, mentre si asciugava il sudore con un fazzoletto bianco, lo sventolò verso l’astrofilo pazzo come per dire: “… Hai ragione! … Mi arrendo!”.

“Il Cambio-di-Idea è consultabile alla pagina 33 del capitolo Difetti, paragrafo Falliti…!” – disse poi a se stesso rientrando nel campanile.

Il caldo sortiva già i suoi primi effetti, quando improvvisamente sprazzi di biografie di personaggi famosi si affacciarono nella memoria del ragazzo:

“… abbandonò presto la professione di ingegnere per dedicarsi al jazz e alla letteratura…”; “… Condannato a morte nel 1849 con l’accusa di attività sovversiva, si vide commutare, ormai davanti al plotone di esecuzione, la pena a 4 anni di lavori forzati…”; “… Dopo aver studiato medicina, si unì al gruppo di giovani intellettuali riuniti attorno a Pietro Gobetti. Dedicatosi alla pittura, fece parte dei Sei pittori di Torino che si dichiararono avversi ad ogni forma di accademismo…”.

“Viviamo di abitudini e aborriamo l’ignoto…” – continuava Niccolò – “… senza il coraggio della retrocessione, senza colpi di coda, evitando quelle periodiche sconfitte che ci fanno crescere e ci fanno più belli e maturi!” – e ripensava agli studi di astrofisica da poco abbandonati per noia.

Anche nella tanto amata sinfonia numero 40 in Sol minore k.550 di Mozart c’erano degli “errori”, ma era proprio grazie a essi che l’anima del giovane misantropo veniva toccata in profondità. Errori di lunghe riflessioni dopo ritmi serrati e decisi e di tonalità incalzanti che nascondevano tensioni spirituali infinite e suddivise, per motivi di burocrazia musicale, in “molto allegro”, “andante”, “minuetto: allegretto”, “allegro assai”.

“Siamo tutti schiavi della forma e c’è sempre un ricco e grasso vescovo da cui farsi commissionare un lavoro…” – concluse beffardo.

Niccolò si sentiva confortato dai suoi stessi pensieri perché nella sua brevissima vita aveva commesso già molti errori e pur trattandosi di errori “umani” sapeva in cuor suo che facevano parte di un Piano.

Anzi, di una Legge.

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Rimani nella luce

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Rimani nella luce
(Remain in light)

Con occhi sbarrati, saturi di buio
e quella paura di illogiche cecità, agguati nel sonno
restavi sveglio come un’insonne sentinella
cercando punti luminosi, coordinate per vedenti
astronomia da camera
nell’oscuro silenzio di notti orfane.

Rimani nella luce
piccola anima insicura!

In soccorso a riposi spezzati
l’oftalmologia di Morfeo,
ninna nanna scientifica
cantata al tramonto
d’infantili ossessioni.

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L’agenda

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Luigi Pirandello

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Sigmund Freud

L’agenda

dedicato a Luigi Pirandello e Sigmund Freud

L’ordine regnava indisturbato tra le pagine dell’agenda di Aldo.

Sarebbe stato difficile risalire alle origini di quell’impeto organizzativo, anche se i suoi ex compagni di scuola dichiaravano candidamente di non averlo mai sorpreso con la cartella in disordine e il diario senza i compiti elencati per materia.

Conclusi brillantemente gli studi presso il liceo classico “Orazio Flacco” di Busto Arsizio, senza battere ciglio si iscrisse alla facoltà di Storia dell’Università di Milano e polverizzando tutti i record fino ad allora monitorati dall’ateneo ambrosiano, riuscì a laurearsi con il massimo dei voti e la pubblicazione della tesi, chiedendo di poter anticipare di una sessione la seduta di laurea.

Fu una discussione quasi solitaria. C’erano lui, alcuni fedeli colleghi universitari, i genitori e il motivo di tanta fretta: Gisella. Si erano conosciuti tra il terzo e il quarto giorno di corso al primo anno e fu quasi subito amore.

Titolo della sua audace tesi: “La disorganizzazione tattica e logistica di Napoleone durante la campagna di Waterloo”.

Aldo aveva programmato tutto. “Non appena sarò laureato, andrò a lavorare presso l’archivio storico della Fondazione San Mauro di Abbiategrasso; il Presidente è uno zio di mamma…” – tranquillizzando Gisella sul futuro economico del loro connubio durante le soavi passeggiate domenicali lungo i Navigli.

“Per quanto riguarda la casa, non preoccuparti cara… Ho pensato a tutto io! Esattamente tra una settimana avrò un appuntamento alle 11 e 15 con l’architetto Righelli, un vecchio amico di papà, che ristrutturerà la casa della mia nonna materna. Sei contenta, amore?” – interrogava Aldo, quasi per dovere d’ufficio, la dolce Gisella che, un po’ per carattere e un altro po’ perché non riusciva assolutamente a contenere l’entusiasmante e preponderante capacità organizzativa del futuro marito, rispondeva sempre con un tenero e rilassato sorriso.

Tra Aldo e Gisella conviveva da anni una terza presenza: l’agenda di Aldo.

Una presenza discreta ma decisiva, elegante e al tempo stesso dittatoriale, senza la quale non si faceva nulla e non si andava da nessuna parte, capace di determinare, negli anni successivi al matrimonio, la definitiva e insindacabile cancellazione del verbo ‘approssimare’ dal vocabolario della coppia.

Da quella tenera e composta unione erano nate Valeriana e Clotilde: due splendide bambine di impareggiabile intelligenza e dolcezza caratteriale. Pazienti fotocopie della madre.

Dopo la morte dello zio materno, senza sortire sorpresa alcuna, Aldo fu nominato Presidente della Fondazione San Mauro così come era stato ordinato dal defunto nel suo testamento.

La vita di Aldo e Gisella era perfetta. I giorni e gli anni trascorrevano lieti e senza attriti. Le asperità e i dubbi venivano appianati con leggerezza da una sorta di dialogo telepatico o da gesti impercettibili e decifrabili solo dai membri della coppia. Il tempo non era nient’altro che un giocattolo facile da smontare e rimontare in base alla volontà del capofamiglia.

“L’esistenza è un puzzle” – ricordava la targhetta posta sulla scrivania nell’ufficio di Aldo. Bastava solo incastonare i vari pezzi di tempo nel modo giusto e l’immagine della propria giornata sarebbe apparsa in tutta la sua perfezione. Tornando da lavoro Aldo riviveva, ormai da anni, i soliti gesti collaudati: posava il cappello sulla consolle dell’entrata, salutava Gisella che si affacciava teneramente dalla sala da pranzo mostrando solo la testa, si toglieva le scarpe, s’infilava le pantofole e dopo aver appeso la giacca all’attaccapanni, indossava soddisfatto la vestaglia da camera. Rarissimi i momenti in cui invertiva la sequenza delle operazioni. Gisella ricordava solo un paio di eventi durante i quali Aldo “si lasciò prendere la mano dal tempo”: quando lo chiamò urgentemente in ufficio non appena si ruppero le acque al termine della gravidanza di Valeriana e quella volta nel Febbraio del 1983 quando la salutò affacciandosi nella sala da pranzo con ancora il cappello in testa. Piccole distrazioni perdonabili di un giovane maritino inesperto e intemperante.

La seconda metà del tardo pomeriggio Aldo la trascorreva nel suo studio privato. Confortato dal caldo abbraccio della sua vestaglia da camera preferita, si abbandonava, prima di cena, alla sua attività prediletta: l’organizzazione dell’agenda.

Aveva una bellissima agenda: i fogli erano bordati in oro e la copertina in pelle di color marrone scuro emanava un odore di stabilità storica.

Ogni giorno Aldo lucidava la copertina con un apposito prodotto svizzero che rendeva elastica la pelle e cancellava le innumerevoli impronte dopo una giornata di duro lavoro e di maneggiamenti. Il laccetto dorato che accompagnava fedele, pagina dopo pagina, il susseguirsi dei giorni non era sfilacciato alla punta come spesso accade nelle agende delle persone sciatte, ma Aldo aveva provveduto a prevenirne lo sfilacciamento con una linguetta di plastica trasparente. Abbinato al prezioso strumento di lavoro e di vita, una penna stilografica con inchiostro impeccabilmente nero regalatagli da Gisella in occasione del loro primo anniversario di matrimonio.

Aldo viveva l’intera giornata aspettando quel momento di rilassamento e di pacata confidenza con la sua amante cartacea. Si sedeva alla scrivania e sotto la luce del lume apriva con un gesto da maestro la sua meravigliosa agenda. Toglieva il cappuccio alla penna e con la precisa leggiadria di uno spadaccino depennava soddisfatto gli impegni affrontati, gli appuntamenti vissuti, le commissioni sbrigate e anche le più insignificanti azioni meticolosamente programmate il giorno prima: “ore 8:00, primo caffè con il capo settore ricerche storiche della Fondazione… fatto! Ore 10:30, riunione generale con i soci onorari della Fondazione… fatto! Ore 11:45, appuntamento con lo storico e scrittore Berardinelli per la stesura della prefazione da me curata al suo nuovo saggio intitolato Storia e tempismo storico… fatto!”

E trascinando il suo parossismo organizzativo anche nella sfera privata: “ore 16:10, riunione insegnanti-genitori; scuola media di Valeriana… fatto! Ricordare a Gisella che posso farci un salto anche io da solo. Ore 17:30, appuntamento dall’ortopedico di Clotilde per ritirare il referto… fatto! Ore 17:50, comprare fiori per Gisella… fatto! Ore 18:15, fare un unico squillo sul telefono di casa per far capire a Gisella che sto per arrivare a casa… fatto!”

Aldo non tralasciava nulla. Anche quei gesti di umana dimenticanza che possono rendere gradevole e intrigante un normale rapporto tra esseri imperfetti, Aldo li aveva eliminati fin dalla notte dei suoi tempi tardo adolescenziali.

Credeva, in questo modo, di poter controllare la propria esistenza, le sfortunate coincidenze e le sciagure di una vita lasciata al caso.

Il “Caso”: un’entità che terrorizzava Aldo. Il “buio” e il “vuoto”, nella scala delle fobie umane, potevano risultare tutto sommato piacevoli se rapportati alla insondabile e incontrollabile libertà del “Caso”. Un mostro con ventiquattro teste, quante sono le ore di una giornata, che spruzzano acidi corrosivi a base di “dolce far niente” e “svago”.

Quante vite erano state sprecate nel mondo e nel corso della storia solo perché non avevano ricevuto una adeguata e saggia programmazione. Gente che bighellonava tra le strade di un’eterna indecisione, abituata a vedere appassire i migliori anni della propria esistenza dietro bigliettini volanti e pro memoria scadenti. Menti deboli e senza futuro.

“Per fortuna che ogni anno, in occasione del Santo Natale, io regalo ai dipendenti della Fondazione… una bella agenda!” – ricordava orgogliosamente Aldo mentre osservava con sgomento dai finestrini del filobus le masse informi di persone che ondeggiavano nel mare dell’approssimazione. La sua vita, invece, era come il motore di una Ferrari e le ore della sua esistenza perfette e cadenzate come il movimento degli ingranaggi del miglior orologio svizzero.

Ma i suoi pensieri sarebbero stati, di lì a poco, sconvolti da una serie di eventi che avrebbero senz’altro minato la sua filosofia di vita apparentemente inossidabile.

Eventi che, distaccandosi dalla spiegazione razionale degli accadimenti naturali, approdavano nel tunnel buio delle ipotesi surreali.

Una sera, tornato a casa dopo una giornata di lavoro, Aldo si predispose ad assecondare il suo hobby preferito. Aprì l’agenda in corrispondenza del giorno appena trascorso e con la punta della stilografica andò alla ricerca delle voci che avevano ricevuto la dovuta attenzione e attendevano solo di essere finalmente depennate: “ore 9:00, scrivere lettera al Presidente dell’Associazione Bibliotecari della Regione Lombardia… fatto! Ore 9:46, mandare inviti al consolato spagnolo per la serata dedicata alle opere di Cervantes… fatto! Ore 10:18, toccare il sedere della segretaria…

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The Padre P.I.O. Show, reprised

Perplessità in salsa sci-fi sui santi e beati plastificati, cerificati, reliquizzati…

p.i.o

“… La robotica aveva fatto passi da gigante durante quegli ultimi venti anni e l’immagine del santo con il volto siliconato, che suscitò tanto scalpore nel 2008, stava per essere archiviata definitivamente. Le ricerche riguardanti il cervello positronico avevano dato molte soddisfazioni sul versante della gestione industriale e commerciale: robot capaci di gestire sportelli bancari, o di pilotare petroliere in pieno oceano senza commettere alcun errore, avevano da tempo fatto la loro comparsa sui vari scenari della vita pubblica.

Stavolta si trattava, però, di applicare gli stessi concetti in un campo decisamente più delicato ed emotivamente sensibile: riproporre al pubblico credente il corpo di un santo morto da sessant’anni. L’equipe internazionale di esperti aveva lavorato per più di un anno sui pochi resti del frate, cercando di riprodurre un simulacro umanoide in metallo leggero. Non era tanto importante creare esattamente le fattezze corporee del santo che sarebbero state ricoperte da una muscolatura e un tegumento in gomma compatta e dall’immancabile saio, quanto piuttosto fabbricare delle mani convincenti e soprattutto un volto “realistico”, utilizzando una plastica morbida capace di assecondare i movimenti dei sottostanti meccanismi robotici; congegni precisissimi che avrebbero dovuto interpretare esattamente le espressioni umane, le smorfie, gli stati d’animo del frate. Un’impresa faraonica, se confrontata con la vecchia e sorpassata maschera in silicone.

I tecnici, grazie alla prova a cui stavo per assistere, avrebbero presto saputo se gli sforzi di quei lunghi mesi fossero stati inutili o se potevano finalmente dichiarare aperta una nuova stagione della robotica. Il “santo robot” avrebbe potuto interagire con i fedeli, ascoltarli, toccarli, benedirli, schiaffeggiarli se necessario, coccolarli, sbatacchiarli, incensarli, trastullarli, mandarli fuori a pedate dalla cripta, tirare le orecchie ai bambini, confessarli, ungerli, battezzarli, sposarli, cresimarli proprio come avrebbe fatto il vero frate Pio da Pietrelcina durante gli anni perduti della sua vita carnale.

Si passava così da una venerazione statica a una venerazione dinamica e interattiva: i fedeli, pur sapendo che non si trattava di un vero corpo umano, sarebbero stati felici di illudersi dinanzi al robot. Avrebbero fatto finta di poter recuperare un rapporto mai vissuto con il famoso frate; si sarebbero riscaldati al fuoco confortante delle sue sante parole come bimbi seduti ai piedi di un nonno ecumenico, parole elaborate in tempo reale e senza esitazione dal calcolatore centrale del p.i.o.

Avrebbero, insomma, vissuto una nuova e sofisticata fase di illusione attuata dalla santa madre chiesa, che farebbe di tutto pur di non allentare la presa sull’emotività e sulla fedeltà delle sue pecorelle smarrite.

La spettacolarizzazione della religione stava per raggiungere il suo massimo livello storico, facendo apparire ridicoli tutti gli sforzi architettonici dei secoli passati, tutte le crociate lanciate in nome di Dio, tutta la maestosità del vicario di Cristo fatta di ori e raffinati paramenti…”

Pdf dell’intero racconto*: The Padre P.I.O. Show, reprised

*racconto apparso per la prima volta sul n. 17/18 – 2008 della rivista “Nugae”; in seguito pubblicato anche sul blog “Nigricante”, nella raccolta di racconti “Esperimenti” e nell’antologia “Nostra Signora degli Alieni”.

Tenersi al mondo

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a Gabriele Galloni*

Mi stupirò per sempre
dell’aria sotto l’ala che fa portanza
del ferro contro ferro sulle rotaie
scintillanti nella notte della storia,
di quest’uomo, errore evolutivo
che sogna e muore, progetta e crepa
si rialza e s’ammazza
lavora e soccombe,

spera e non vede
l’inconsistenza dell’alito
che lo tiene al mondo.

∗ dedica postuma,

poesia pubblicata, inconsapevolmente, nel giorno della sua partenza.

Limbico on the moon

NPG x125527; Arthur Koestler by Ida Kar

If you believed they put a man on the moon, man on the moon.
If you believe there’s nothing up my sleeve, then nothing is cool.

(R.E.M. – Man on the moon)


Un cervello ancestrale pulsa
sotto le viscere della coscienza.
Rozzi istinti primordiali e antiche memorie
riemergono prepotenti
dalle mode della neocorteccia.
Confusione e conflitto
tra nuovi pensieri e gesti antenati,
nel mammifero superiore
persiste l’utopia del controllo.

Rettili in giacca e cravatta
inviano sonde su lontani pianeti,
testimoni meccanici
di un riuscito errore evolutivo.

(tratta dalla raccolta “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

(immagine: Arthur Koestler FONTE)

– video correlato –

“Man on the moon” – R.E.M.

C’ero anch’io a Hiroshima

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C’ero anch’io a Hiroshima
quella mattina d’agosto,
la speranza del quotidiano
evaporava tra le dita
insieme a corpi ingenui.
Orgogli imperiali
abbattuti a suon di atomi,
non resta che l’ombra
del tuo respiro amoroso
sulla pelle dell’anima.

(tratta da “Poesie minori. Pensieri minimi” vol.1, ed. nugae 2.0 – 2018)

(immagine: dal film Hiroshima mon amour)

– video correlato –

“Enola Gay”, Orchestral Manoeuvres in the Dark