La parola è immagine

words and pictures

In parziale risposta al film “Words and Pictures”.

Tenterò, nel mio piccolo, di sbrogliare la questione cardine contenuta nel lungometraggio di Fred Schepisi affermando laconicamente che non c’è “guerra!” tra parole e immagini, che LA PAROLA È IMMAGINE: facendo svanire apparentemente il problema della parola il cui potere, soprattutto in passato, sarebbe stato superiore a quello dell’immagine, oggi imperante, o al contrario dell’immagine che avrebbe talmente saturato la nostra infosfera da rendere di fatto obsoleti l’importanza e quindi l’uso della parola, soprattutto quella letteraria, quella legata a una funzione più articolata, che va oltre la mera funzione utilitaristica. Apparentemente, perché in effetti il problema resta ed è irrisolto. Dicendo che la parola è immagine andiamo temporaneamente a demolire la classifica esistente tra i due mezzi di comunicazione. O almeno credo.

Dunque l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, opera creata in un’epoca in cui “la parola era ancora importante”, sarebbe un’immagine minore, non prepotente, sarebbe per l’epoca un mezzo inferiore di comunicazione? Niente affatto. Riformuliamo, allora, la questione: il problema attuale è la parcellizzazione dell’immagine, un po’ come sta accadendo con le cosiddette microplastiche. Anni fa scrissi un articolo riguardante le immagini dell’11 settembre a New York in cui ipotizzavo un pericolo per nulla fantasioso ma reale, ovvero che l’immagine inflazionata (e ritrasmessa in loop) degli aerei mentre si schiantano nelle Torri Gemelle, in maniera ipnotica, potesse disattivare il significato delle parole, dei fatti, delle argomentazioni. Può essere?

Se, al contrario, fosse vero che la parola (intesa come discorso, nel nostro caso “politico”) ha superato l’immagine (fermo restando l’ipotesi di una separazione netta tra parola e immagine) non si spiegherebbe come mai certi esperimenti di Burroughs abbiano invece dimostrato l’esatto opposto ovvero che il potere virale di certe parole-immagini resta immutato anche dopo accurata “vivisezione” del discorso politico tramite cut-up (anche in questo caso sono costretto ad autocitarmi per dei trascorsi sperimentali su un prodotto politico nostrano: Silvio Berlusconi. Leggi qui!).

C’è inoltre da sottolineare, e qui alcuni rabbrivideranno, che in Salvini c’è (inconsapevolmente) un “poeta”: il nostro ex Super Ministro infatti (e non da oggi, ma da quando ho memoria politica di lui, durante la fase di emersione dalle sottane di Bossi) usa abbondantemente la figura retorica dell’enumerazione che, grazie al suo effetto mantrico, ipnotico sulle menti bisognose di risposte semplici e rapide, riconduce a un’esemplificazione delle argomentazioni, sarei tentato di dire, figlia dei nostri tempi. Tempi in cui abbandoniamo la lettura di un post se questa dura più di venti secondi; tempi in cui sui social ha più successo in termini di like una veloce vignetta spassosa che uno “scomodo” articolo ben argomentato, e quindi palloso. La semplificazione (o declassificazione?) della parola a parola-immagine, facilmente digeribile, per un uso politico dei suoi effetti comunicativi. E più viene ridotta la portata semantica del messaggio, più ci si avvicina a una sua cristallizzazione sotto forma di immagini. In poesia è bello e giusto affermare che “la parola è immagine”; in politica non lo è, ma funziona. E questo i politici di oggi lo sanno; lo sapevano già Mussolini e Hitler con il loro cinema, e lo sapevano i soldati americani che per primi filmarono i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti. È colpa della politica? No, la responsabilità è da ricercare nella semplificazione del pensiero che tutti noi, nessuno escluso, abbiamo accettato quale passaggio evoluzionistico irreversibile e necessario. La classe politica che ne è scaturita è stata solo una conseguenza. 

Quindi non c’è gara tra parola e immagine, non c’è superamento; vi è stata semplificazione e compenetrazione, questo sì. Ecco perché è diventata superflua e a dire il vero anche un po’ stupidamente inflazionata, la contrapposizione ignorante/intellettuale nell’elettorato: è una guerra inutile alimentata da chi vorrebbe insabbiare pure questioni comunicative utilizzando un metro lombrosiano francamente offensivo. L’evoluzione comunicativa a cui accennavo può influenzare sia l’elettore colto che quello meno istruito. 

Quindi non c’è soluzione? No, non c’è, perché per riattivare la contrapposizione immagine/parola e quindi per rifarci una “verginità comunicativa” bisognerebbe fare tabula rasa, disattivare tutto per anni, spegnere tutto (social, radio, tv…), “sparaflasharci” con uno strumento simile a quello adoperato dai Men in Black, dimenticare tutto e ricominciare come fanciulli dai fonemi e dai pixel… Senza esagerare nella ricostruzione, per non morire di indigestione: un pezzettino alla volta, sorso dopo sorso, riconquistando l’ingenuità del Mondo Nuovo.

versione pdf: La parola è immagine

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