Perché non possiamo dirci “slammer”

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Contro presentazioni, reading e “poetry slam”

Dicono che quando si pubblica un libro poi bisognerebbe presentarlo, almeno far sapere al mondo che esiste, che ha cominciato a camminare tra le librerie, parlarne dal vivo con potenziali lettori schierati come in un plotone di esecuzione, farsi trafiggere come San Sebastiano dalle loro curiosità e dai loro pruriti da gruppo di lettura… Presentare, come a voler dire: “Ti presento Libro!” – “Ah, piacere: io mi chiamo Lettore!” – “Piacere, Libro!”. Fatte le presentazioni ognuno se ne torna a casa propria, sperando che qualcuno si porti dietro Libro per una notte di fuoco o anche solo per una romantica cena a lume di candela. Parlare di Libro dal vivo, sì, ma perché? Riparlarsi addosso dopo averlo concepito, perché? Un po’ come spiegare morbosamente l’amplesso dopo che è nato Figlio. Se è già scritto tutto in Libro, che bisogno c’è di far ripetere ad Autore cose che i lettori troverebbero leggendo Libro comodamente seduti sul divano di casa e con il rischio che Autore, non sapendo fare le presentazioni, allontani il pubblico invece di avvicinare Libro ai lettori? Molti autori, diciamocelo, risultano più simpatici quando si presentano idealmente e non in carne e ossa ai propri lettori: quante delusioni, quante mitizzazioni infrante, quante idealizzazioni della figura dell’autore andate in frantumi. E per cosa? Per non aver saputo rinunciare al “contatto umano”, alle sacrosante esigenze del marketing, al firmacopie (“Me lo rende unico maestro?” chiedeva il postino di Troisi; calcolando che in fila per l’autografo ci sono sempre decine di “postini”, fate voi il calcolo di quante “unicità” sarete padri o madri), allo “spiegone” post-editoriale, alla domandina da farsi fare alla fine della presentazione, alla stretta di mano e al selfie con l’autore che giustamente si dimostrerà irritato e “poco umano”. Addio ideale di autore, addio passione per le sue storie e i suoi personaggi, addio sacralità dell’eroe scrivente che avevamo costruito pazientemente nel nostro immaginario… Se “Misery non deve morire”, mandate un’e-mail all’autore senza stalkerarlo o spezzargli le ossa.

Poi ci sono quelli che, non contenti del semplice contatto autore-lettore, vogliono la sfida con i “colleghi”, la agognano perché solo così si sentono vivi e motivati, cercano nuove emozioni in gare improbabili e inutili, sulla falsariga di “Amici” di Maria De Filippi; si appassionano solo se vedono scorrere il sangue letterario dell’avversario sotto forma di versi recitati e sputati dalla bocca tra una performance e l’altra su un pubblico da Colosseo poetico. “Ispanico! Ispanico! Ispanico!”

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“Noi credevamo” di Mario Martone

… nonostante tutto: auguri Italia mia!

Il titolo “Noi credevamo” può essere interpretato in due modi: “noi credevamo” come a voler affermare un ideale, credere in ciò per cui si combatte e si muore. Oppure un “noi credevamo” deluso: noi credevamo di fare l’unità d’Italia e invece… Tutto qui? Questo è il risultato? Innegabile il riferimento al divario tra nord e sud e ad altre brutture insanate nonostante l’ideale unitario.

N I G R I C A N T E

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I grandi ideali spesso per farsi spazio nella storia devono sgomitare tra le bassezze della natura umana…

Chiunque si appresti a visionare il nuovo film-capolavoro di Mario Martone intitolato “Noi credevamo”, dedicato al Risorgimento, pensando di assistere a scene battagliere come nel film “Viva l’Italia” (1961) di Roberto Rossellini, è destinato a incassare una cocente delusione: non mancano, voglio precisare, le scene cosiddette “d’azione”, ma non si tratta certamente di un film realizzato allo scopo di “far ripassare la storia delle battaglie risorgimentali” a chi il Risorgimento lo ha lasciato da anni sui banchi di scuola. Garibaldi, ad esempio, non compare mai: lo spettatore intravede il Generale da lontano (lo “percepisce” quasi), verso la fine del film, sulla cima di un dirupo e vagamente illuminato da alcune torce mentre saluta le sue camicie rosse accampate intorno ai fuochi di bivacco.

I protagonisti del film di Martone sono altri: compaiono…

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