Robert Frost: due modi di tradurlo…

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Non sono un traduttore, non posseggo gli strumenti e le competenze necessarie per poter giudicare le altrui traduzioni; credo, tuttavia, di essere almeno un lettore curioso, attento quanto basta, che ama confrontare, allineare i testi per cogliere parallelismi, convergenze o divergenze, scelte traduttologiche lineari o ricercati “tradimenti”… Mi è capitato recentemente di mettere a confronto due raccolte di traduzioni (nate quasi insieme!) tratte dalla vasta produzione del poeta americano Robert Frost — conosciutissimo a livello “interplanetario” soprattutto per la sua The Road Not Taken (La strada non presa)—: la prima, intitolata Fuoco e ghiaccio, edita dalla ben nota Adelphi (2022), con traduzioni di Silvia Bre (e a cura di Ottavio Fatica); la seconda a cura dello scrittore, poeta e traduttore teramano Massimo Ridolfi, intitolata Il Contadino della Nuova Inghilterra – Into a life: Robert Frost – The Five Books & Twilight, volume primo Libro VI° – VII° (edita da Letterature Indipendenti; collana “Seguire le immagini” – 2022).

“Capro espiatorio” di questo mio gioco al confronto è la poesia To the Thawing Wind, dalla raccolta di esordio A boy’s will (1913), e già dalla traduzione del titolo si capisce a che tipo di “battaglia” assisteremo: se per la Bre è “Al vento del disgelo”, per Ridolfi la scelta cade su un meno “bello” ma più fedele “Al disgelante vento”. Chiaro è fin dall’epigrafe (affidata a Quasimodo) l’intento di Ridolfi: “… ho condotto queste traduzioni […] per un accostamento più verosimile a quei poeti dell’antichità che […] sono arrivati a noi con esattezza di numeri, ma privati del canto”. Seguendo questo “comandamento quasimodiano”, se per la Bre “loud Southwester” diventa “sonoro libeccio”, per Ridolfi è e resta “fragoroso Sudovest” (si veda la foto con le due traduzioni a confronto) che per un lettore non avvezzo all’approfondimento dei significati non corrisponderebbe all’indicazione di un vento (nonostante sia nota quasi a tutti la direzione del libeccio che è proprio da sud-ovest). Se per alcuni traduttori è più urgente risolvere i problemi di interpretazione al posto del lettore, per altri la priorità durante una traduzione ricade sul rispetto della fonte, anche a costo di rimetterci in bellezza sonora, in fluidità in fase di lettura. Sono scelte, entrambe valide, forse entrambe non criticabili in nessun caso.

E poi: “singer” per la Bre è “cantore”, che fa più bella figura in un contesto poetico (“Porta il cantore”), per Ridolfi è e resta “cantante” (“Porta il cantante”: come quando ci si procura un cantante per una serenata); “nester”: in questo caso, a differenza del vento, la traduttrice di Adelphi sceglie di sottintendere (“e chi fa il nido”), non specificando chi faccia il nido (esistono diversi tipi di animali che nidificano, non solo gli uccelli), mentre Ridolfi si mette al sicuro parlando chiaramente di “uccello migratore” perché l’associazione con il libeccio apre a qualcosa portato in volo, proveniente dall’aria, dal cielo, da lontano.

Interessanti entrambe le traduzioni di “Make the settled snowbank steam”: anche se al “svapori” della Bre, personalmente preferisco il “Fai vapore” di Ridolfi — al di là del rispetto nei confronti del verbo “make” — in quanto riproduce in maniera più verosimile l’azione dell’elemento meteorologico — il vento — sul cumulo di neve che se per Ridolfi è ancora “tenace” (“settled”), fornendo l’immagine di una formazione nevosa che non intende cedere il passo alle naturali e cicliche trasformazioni stagionali, per la Bre è solo un cumulo di neve… e basta. In questo caso il traduttore sceglie addirittura di eliminare un termine (“settled”), di non tradurlo, di scartarlo dal contesto come quando in alcune scene comiche viste al cinema, il meccanico nel rimontare il motore appena aggiustato si accorge di aver lasciato fuori alcuni pezzi e che in fin dei conti per lui erano comunque troppi, tanto il motore funziona lo stesso. O forse perché si pensa che chi è tenace non possa svaporare?

Discutibile anche la scelta, da parte della Bre, di tradurre “make it flow” con “fa’ che fluisca”; è più verosimile che una finestra grondi (Ridolfi) acqua durante un temporale. Diametralmente opposta è la traduzione di “Melt it as the ice will go”: per la Bre c’è un “mentre”, un parallelismo di azione tra il vetro bagnato dalla pioggia e lo scioglimento del ghiaccio, per Ridolfi c’è un “come fosse”, una similitudine tra vetro e ghiaccio entrambi “sciolti” dall’acqua piovana.

“Tana” e “giaciglio”, entrambi termini validi per il “narrow stall” di Frost: anche se forse mi affascina di più la stato di “rintanato” espresso dalla scelta di Silvia Bre, come di un buen retiro sconvolto da un evento inatteso, violento, che irrompe nella quiete del poeta, il quale accoglie benevolmente il cambio di stagione e desidera (“irrompi” è un invito come il “Vieni” o il “Giungi” del primo verso) uno sconvolgimento delle proprie abitudini.

Se per la Bre “Swing” è un ballo causato dal libeccio (difficile non cedere al riferimento al famoso genere musicale nato negli anni venti), per Ridolfi i quadri alla parete semplicemente dondolano. Se nella raccolta dell’Adelphi le pagine sono “schioccanti” nel senso di tintinnanti (“rattling pages”) come se fossero gli ornamenti in vetro di un lampadario mosso dal vento (ma le pagine sono fatte di carta e non di vetro, quindi giustamente “schioccano” quando investite da folate di vento), per Ridolfi sono pagine e basta.

Per entrambi i traduttori, però, come a ricongiungersi in una inevitabile sintonia finale, il vento ha la fondamentale e vitale funzione di sparpagliare le poesie del nostro Poeta sul pavimento, di sconvolgere finalmente i suoi schemi, la sua routine di scrittore impegnato sulle “sudate carte”. Robert Frost vuole essere “stanato”, desidera sciogliersi come neve per fluire verso il mondo, verso la stagione che fa uscire in strada liberamente.

Bellissimo e ricco di promesse il verso che chiude il componimento “Turn the poet out of door”: anche stavolta la Bre “infedelmente” tradisce, traducendo con un “caccia il poeta fuori allo scoperto”, senza alcuna correlazione tra “fuori allo scoperto” e “door” ovvero la porta attraverso la quale avviene la liberazione. Ancora una volta termini che scompaiono nel nulla! Meno elegante, ma con un divertente retrogusto da filastrocca, la “paronomasia” di Ridolfi: “Riporta il poeta fuori dalla porta”.

Affascinante e complesso è il mondo della traduzione: se il poeta interpreta il mondo attraverso i suoi versi, il traduttore ha l’arduo compito — grazie al quale possiamo godere del pensiero di scrittori e poeti espresso con altri linguaggi — di “reinterpretare un’interpretazione”, di rendere fruibile il lavoro altrui nella consapevolezza di andare in un certo qual modo incontro a un “tradimento”, a una personalizzazione del significante e a volte anche del significato. Come abbiamo potuto notare dal confronto riportato in questa sede, il traduttore spesso deve scegliere (o meglio, sceglie di scegliere) tra una traduzione “fedele” all’originale — il che non sempre coincide con quella che definiamo “traduzione letterale”, anzi da questa dovrebbe il più possibile distinguersi — e una traduzione “infedele”, che mette al primo posto la fluidità e la resa finale del tradotto — in nome di un meccanicismo traduttologico non sempre condivisibile (l'”esattezza di numeri” a cui si accennava nell’epigrafe scelta da Ridolfi per il suo libro) —, a volte addirittura ignorando alcuni termini esistenti nel testo originario e quindi considerati non necessari all’economia del testo di “arrivo”. Dall’altro lato la traduzione “parola per parola” di un testo senza adottare un “buon collante” capace di riprodurre lo stile e il ritmo dell’originale, può creare altrettanti danni. La fedeltà a tutti i costi potrebbe addirittura danneggiare il messaggio dell’autore che spesso è veicolato più dalla musicalità dei suoi versi che dal loro significato da un punto di vista strettamente semantico. Insomma, tradurre è proprio un bel rompicapo!

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