“Carte nel buio”, booktrailer #3

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Michele Nigro legge la poesia “Carte nel buio” tratta dalla sua omonima raccolta (poesie / 2019-2024), ed. nugae 2.0 – 1a edizione: maggio 2024; prefazione di Carla Malerba, postfazione di Emma Pretti.

Copertina rigida, brossura, ebook: https://www.amazon.it/dp/B0D37RYDT1

Perché questo titolo? Non si tratta di una raccolta sul Buio e sulla Luce, sulla lotta tra il Male e il Bene; non è una raccolta manichea. Carte nel buio perché ho tentato, seguendo un certo istinto di sopravvivenza, di portare luce innanzitutto nella mia oscurità che è poi l’oscurità nel mondo (del mondo), in questo nostro vagare che è “vita”. È un poetare contemporaneo che non fornisce sicurezze – seguendo il dettame fortiniano del “nulla è sicuro, ma scrivi!” -, non vuole e non può consolare, non è un facile balsamo confortante da distribuire durante le pubbliche letture come spesso accade in questi tristi tempi dominati dai guitti più che dai poeti. Si brancola nel buio accompagnati dalla sola certezza che grazie a qualche verso forse ci ricorderemo di noi stessi (o ci ricorderanno), di alcuni attimi senza cronaca lasciati indietro nel passato e destinati all’oblio; tutt’intorno a quelle carte, il nulla, la dimenticanza, l’irrilevanza. Nella poesia omonima, da cui la raccolta prende in prestito il titolo, è descritto solo uno dei tanti modi di sorprendersi al buio: il ritorno a una condizione pre-industriale e anti-futuristica, il valore romantico della carta quale unica depositaria del pensiero umano, la riscoperta di un’oscurità primordiale capace di ricondurci alle origini del mondo e della nostra stessa esistenza; contro il facile ottimismo degli abitanti nella luce. La carta non solo come prodotto materiale, ma soprattutto come luogo di esercizio alla parola che scava, punto di coagulazione di saperi non detti, intimi, che anche dopo il tentativo poetico restano indicibili.

Carte nel buio perché durante il lustro coperto dalla silloge (2019 – 2024) ne sono accadute di cose oscure, sconfortanti, portatrici di disperazione: perdite personali, pandemie, scomparsa di “maestri” e punti di riferimento culturali, guerre mondiali “a pezzi” – o in un unico atto nucleare – proiettate sul telo, ormai logoro e bucherellato dai proiettili, della Storia; involuzioni a comportamenti primitivi e degni di una specie animale che agogna l’estinzione… No, non siamo diventati migliori; non è andato tutto bene, come qualcuno auspicava. I poeti avanzano nel buio con le loro povere carte in mano; carte senza valore se non per loro stessi o per qualche lettore che non si è fermato alla premessa del libro. In questo caso la suddivisione in sezioni è servita per mettere ordine tra le mie di carte, anche se in realtà la voce è senza soluzione di continuità; si tratta di un unico, lunghissimo verso – della durata di cinque anni – che tradisce solo alcune naturali fluttuazioni di stile perché l’alchimia tra vissuto e parola, si sa, cambia nel tempo, propone nuove combinazioni con risultati a volte gradevoli, in altri passaggi un po’ meno o per niente: è il tempo neurolinguistico del poeta, e va semplicemente registrato, accettato nel suo essere imperfetto. Sarebbe inutile e capzioso tentare abbellimenti ritmici postumi per sembrare più moderni e spumeggianti: certe invasioni prosaiche nel verso sono necessarie. E neanche l’accusa di “novecentismo” scalfisce le sue intenzioni, anzi ne fa promozione sul campo.

Carte nel buio, come un’ingenua speranza poetica che avvolta dalle tenebre dell’epoca procede fiduciosa in direzione di luci lontane: che siano stelle o luci artificiali di città future non è dato saperlo; la speranza, tranne quella cristiana, non si basa su certezze di fede. Perché è solo stando al buio che si può intravedere l’uscita sperata, il varco luminoso sulle seconde vite; nel frattempo, mentre cerchiamo nuovi bagliori tra il nero notturno, la poesia ci guida tra strade anonime, parla in nostra vece, rende immortali gli estinti, traduce per noi i suoni misteriosi delle epoche attraversate, dà un senso ai bagni di realtà, registra con un linguaggio inspiegabile i fenomeni essenziali di questo disperato e bellissimo stare al mondo. (Michele Nigro)

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