Prefazione a “Radical Machines” di Éric Brogniet

versione pdf: Prefazione a “Radical Machines” di Éric Brogniet (ed. Kolibris)

Prefazione a “Radical Machines di Éric Brogniet (ed. Kolibris)

I tempi sono più che maturi per una poetica dell’apocalisse in atto; l’uomo in trasformazione esige parole nuove, versi dirompenti e scomodi che rispecchino la dissacrazione  ̶  autorizzata da noi stessi  ̶  del corpo e della natura che dovrebbe animarlo. Possediamo il coraggio necessario per descrivere questa metamorfosi epocale della carne e dello spirito? E di usare senza esitazione i termini giusti per evidenziarla? Una descrizione che non può essere acritica perché nasce cruda, già sporca di orrori ed errori, capace di denunciare la strisciante ma inesorabile alterazione dell’umanità. Una critica al mondo moderno, avanzato, tecnologico, a un’umanità che si è liberata di se stessa, ovvero della propria aleatoria caratteristica umana, di quella naturalità pensata per la sua felicità, oggi rinnegata, sovrastrutturata, privata di quasi tutti i suoi segreti.

Per intenderci su cosa stiamo osservando da anni senza realizzarne la crudeltà, occorre una nomenclatura dell’orrido che sia libera di manifestarsi; serve adoperare sfumature fantascientifiche e descrizioni apocalittiche per denunciare una realtà che da tempo ha superato la fantascienza perché l’apocalisse è qui, è bella e realizzata, vissuta e accettata quotidianamente. Una disumanizzazione che alberga, ed è a suo agio, nei non-luoghi ipotizzati da Marc Augé (nelle sale d’attesa del Nulla!), nei templi incontestati della civiltà tecnologica, negli anonimi spazi della vita sociale. Troppo in profondità ha scavato la trivella scientifica dell’Homo sapiens confuso, bisognoso di comodità e instupidito dalla luminescenza degli schermi: il suo approccio insensato al reale lo ha reso mostruoso, portatore inconsapevole di tumori interiori e di una coscienza provvisoria; assuefatto a un’informazione deformata da un cancro del linguaggio e che distrae con slogan insignificanti; a una società analizzata, sorvegliata, vivisezionata, fornitrice spontanea di dati a grandi fratelli non bene identificati, condannata in metropoli-mattatoi di vonnegutiana memoria.

In Radical Machines, Brogniet non compie profezie, non fa previsioni statistiche, ma descrive, con lo sguardo disincanto e assetato di verità tipico del cercatore di parole, quel che registra intorno a sé, oggi; riporta gli effetti dell’alienazione avvenuta, e di quella definitiva ancora in fase di completamento, con una catartica dovizia di particolari anatomo-fisiopatologici che rasenta la pornografia medica; con il suo linguaggio ibrido canta la solitudine di un’era senza anima, l’avanzare di un postumano che incombe su una naturalità dimenticata; enumera senza tregua gli oggetti angoscianti e assurdi di un’epoca caratterizzata dal disumano, dalla guerra, dalla ripetizione insensata di cicli voluti e programmati da altri, da menti sofisticate e lucidissime. Si prende la responsabilità, con una terminologia insolita in ambito poetico ma affascinante, di elaborare una poetica del transumanesimo (Stiamo entrando nell’era dell’uomo in kit!), del mito dell’immortalità sacrificando il piacere del sesso che sporca, dell’illusione dell’interconnessione che in realtà ci isola; di narrare l’epopea dell’uomo-macchina  ̶  di questo incontrollato e compiacente Tetsuo, uomo non più uomo, che non contempla più gli astri perché morto fin dall’infanzia  ̶  la cui carne è invasa dalle mosche del progresso e dell’evoluzione (ma cos’è l’evoluzione se non il risultato di un’aberrazione genetica divenuta sistema?); non senza chiedersi e chiedere al lettore quale ulteriore trasformazione attende l’uomo e come verrà giudicata l’umanità di oggi dagli abitanti del futuro. Avranno continuato (accelerando verso il vuoto) a perdere anche loro “pezzi” di quel che ci caratterizza come umani? Chi o cosa diventeremo? Che ne sarà del creato? Avrà prevalso, alla fine, la finta eternità promessa dal consumismo e dalla pubblicità sulla rasserenante verità riguardante la caducità delle cose umane e naturali? E la luminosità delle lampade all’acetilene / avrà ceduto davanti al fascio crudo dei led?

Solo un inevitabile auspicio dal poeta a un’umanità del domani migrata, forse, verso altri mondi, riaccende la speranza: Voi popolerete altre galassie / Altre lingue verranno generate da lingue morte […] Che possiate ancora annerire pagine vuote / Su qualche lontana nebulosa… Perché a dispetto di tutte le metamorfosi, la Poesia, la ricerca della parola che preserva l’anima dalla vera morte, rappresentano ancora gli unici rimedi possibili non bisognosi di macchine.

Michele Nigro

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