Un “poetico” quesito…

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Da tempo ormai mi balena in testa un quesito a cui io personalmente ho cominciato a dare un abbozzo privato di risposta; non mi dispiacerebbe, tuttavia, se questo mio dubbio personale diventasse terreno di confronto e quindi domanda d’inizio per una discussione collettiva da lanciare su questo mio blog e sui social, se ovviamente riterrete tale mia curiosità stimolante e degna di argomentazione:

“Se un poeta dimentica le origini di una propria poesia, non ne riesce più a rintracciare le motivazioni creatrici e il momento storico personale in cui l’ha concepita, è segno negativo di superficialità, di non importanza dei propri versi, oppure è un segno positivo perché significa che ha raggiunto un grado di diluizione della propria poetica al punto che non è più importante risalire alle motivazioni dell’atto creativo e al suo momento? Mi spiego meglio: se la poesia è il risultato della ‘condensazione’ di una ricerca interiore sull’indicibile, sull’inspiegabile, sull’insondabile, il non ricordare più il punto di origine di un proprio componimento potrebbe essere considerato come il raggiungimento di un grado di liberalizzazione della propria poetica dai lacci della razionalità e della classificazione poetica? Il poeta può permettersi di perdersi e di perdere di vista il ‘primum movens’ oppure è solo il lettore che deve affidarsi a ciò che la poesia letta gli trasmette senza essere obbligato (almeno in un primo momento) a conoscere la ‘storia’ del componimento?”.

Grazie per le vostre eventuali gradite risposte!

Michele Nigro

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6 pensieri riguardo “Un “poetico” quesito…

  1. Il quesito è interessante, ma è indirizzato a due gruppi di persone differenti, mi spiego meglio: nel primo gruppo ci sono tutti coloro che scrivono “versi”, nel secondo, tutti gli altri che leggono “versi”. I primi penseranno alle loro poesie, al fatto se ricordino o meno il perché di quelle parole, di quell’evento particolare ecc., rispondendo in un determinato modo, i secondi invece, si chiederanno quando mai i versi letti siano stati spiegati per filo e per segno. Da lettrice posso dire che quasi mai accade questo, neanche quando capita di leggere delle intere raccolte, ma soprattutto, credo non ci sia neanche bisogno di saperlo. A cosa serve sapere che quelle parole erano per quel determinato accaduto nella vita del poeta? Sì, certo, delle volte è interessante, utile, chiaro, ma molto spesso si amano dei versi perché li facciamo nostri e diventano nostri in quel momento, poco ci importa del perché il poeta li abbia scritti. Ne usufruiamo totalmente è non è mai un “furto”, ma un “dono” che il poeta decide di offrire a chi voglia leggere le sue poesie.

    Forse è un quesito indirizzato più che altro a chi scrive versi, anche se credo che non ci sia nulla di “superficiale” nel non ricordare la genesi di una propria poesia. Magari dipende anche un po’ dalla produzione, da quante poesie hai scritto nel tempo. Ovvio che se ne hai scritte pochissime, molto probabilmente ancora ricordi il perché di ognuna, diversamente, sfido chiunque a conservare memoria di ogni poesia concepita…

    Scrivi: “Il poeta può permettersi di perdersi e di perdere di vista il ‘primum movens’ oppure è solo il lettore che deve affidarsi a ciò che la poesia letta gli trasmette senza essere obbligato (almeno in un primo momento) a conoscere la ‘storia’ del componimento?”

    Aggiungo che anche in un “secondo momento” il lettore difficilmente conoscerà la storia del componimento. Chi vuoi che spieghi ogni sua poesia? Tu, da poeta, muori dalla voglia di spiegare ai lettori per filo e per segno le tue poesie? Non credo!

    Grazie per lo spunto di riflessione.

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    1. No, non ci tengo proprio a fare lo “spiegone” e la mia domanda retorica era ovviamente solo una scusa per parlare di ovvietà perché in cuor mio la risposta già ce l’ho da anni ed è simile a quella data da te, cara Eufrasia, per quel che riguarda i poeti ovvero gli scriventi… Forse c’è una sola eccezione per la quale il poeta “deve intervenire” ovvero quando l’interpretazione data dal lettore è troppo audace, fantasiosa, dietrologica, direi fuorviante e non si avvicina minimamente alla verità dei fatti (perché, diciamocelo, dietro la poesia ci sono sempre fatti o “meta-fatti”, anche se può sembrare un prodotto etereo, calato dal cielo); per il resto il fare propria la poesia e lasciare che questa vada libera per il mondo fa parte del “gioco”. Grazie per aver letto e accolto il mio quesito, un abbraccio. Michele.

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  2. Buonasera Michele,
    il tuo è un quesito molto interessante. Penso che per un poeta non sia necessario ricordare l’occasione di scrittura, “il primo fuoco d’ispirazione” per la scrittura di ogni singola poesia; sono convinto che la poesia è scrittura di ricapitolazione citando un mio aforisma, uno dei tanti che hanno per tema la poesia. Io stesso non ricordo l’occasione di scrittura di ogni singola poesia che ho scritto.

    Buona poesia sempre per tutti noi!

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    1. Grazie Emanuele per questa tua “testimonianza”; la definizione “scrittura di ricapitolazione” mi piace perché riassume uno degli aspetti del fare poesia: ricapitolare, archiviare, mettere da parte il vissuto e non importa, appunto, avere la precisione dello storico con tanto di date e documenti che attestino il momento d’ispirazione… Buona poesia anche a te!

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  3. buongiorno Michele, raccolgo il tuo quesito, non in quanto ritenga me “poeta” (preferisco sempre definirmi un narratore in versi) ma perché lo ritengo interessante. Non penso affatto che sia segno di superficialità, per quanto mi riguarda molte volte un testo scaturisce da una situazione temporanea, da un ricordo, un’immagine, spesso transitoria, ma che pesca sicuramente in quel sedimento di esperienza e di vita che alberga nel profondo, e che trova poi stimolo ad uscire. Per cui credo che le motivazioni siano in realtà quasi sempre le stesse, la forma assume i contorni del particolare in sé. Il lettore è il prolungamento del “lascito” da cosa nasce cosa, non vedo mai un testo, né mio né di altri, come un monolite a sé, ma come un frammento del tutto che siamo chiamati ad intercettare o ad ignorare. Grazie per questa opportunità, spero di essermi espresso in modo abbastanza chiaro. Un caro saluto

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