E il giorno della fine non ti servirà la laurea

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E il giorno della fine non ti servirà la laurea 

Tempo fa risposi alle domande di un questionario proposto a più persone da una studentessa (il cui nome per questioni di privacy ovviamente non mi è possibile rivelare) in procinto di preparare una tesi di laurea sul periodo sperimentale del cantautore Franco Battiato e sul mio rapporto con lo stesso in qualità di ascoltatore/estimatore di lungo corso. Il titolo dell’intervista sopra riportato, parafrasi di un verso di un brano di Battiato, è di mia invenzione e non riguarda la tesi di laurea dell’intervistatrice e tesista. 

Esperienza con Franco Battiato

(Intervistatrice/tesista) Da quanto tempo ascolti la musica di Franco Battiato?

(Michele Nigro) Dalla fine degli anni ’70. Ma più consapevolmente dall’inizio degli ’80.

Qual è il tuo album o periodo preferito di Franco Battiato tra quelli che spaziano dall’avanguardia elettronica al pop e alla musica classica? (Se ne hai uno)

Premesso che secondo me ‘tutta’ la produzione artistica di Battiato è stata sperimentale se confrontata con il cantautorato “standard” dell’epoca, e anche dopo, posso affermare che ho amato e amo in particolare il periodo pop ovvero quello durante il quale Battiato veicolò tematiche lontane dalla cultura di massa grazie a una musicalità non più d’avanguardia, di nicchia, ma accessibile a quasi tutti gli ascoltatori.

Come hai vissuto il passaggio di Franco Battiato da un genere all’altro durante la sua carriera? Hai preferenze per uno stile musicale specifico tra quelli sperimentati dall’artista?

Non mi sono mai lasciato influenzare dai cambi di rotta del Maestro: ho ancora oggi difficoltà a collocare i singoli brani nei vari album, anche cronologicamente, perché seguo una lettura trasversale di tipo tematico e non in base al genere o al periodo, pur distinguendone ovviamente le diversità. Torno a ripetere: il pop, anche quello più tendente allo sperimentalismo, ha rappresentato a mio avviso lo stile più vincente dal punto di vista comunicativo.

Qual è la canzone di Franco Battiato che senti rappresenti meglio il suo sperimentalismo musicale? Perché?

Credo che “L’era del cinghiale bianco” (che dà il nome anche all’album che lo contiene) sia il brano da cui tutto è scaturito, il primum movens. Non solo perché segna il passaggio discografico dallo sperimentalismo al pop, ma per gli accostamenti strumentali (ad es. violino con batteria e chitarra elettrica) che caratterizzeranno in seguito una convivenza tra diversità anche su altri livelli…

RAI TV PROGRAMMA DOMENICA IN
Personaggio: FRANCO BATTIATO

Hai mai assistito ad un concerto di Franco Battiato? Se sì puoi elencare quali.

Sì, a molti. Il primissimo fu subito dopo il terremoto dell’80 in Irpinia: venne a suonare in provincia di Potenza, a Ruoti per essere precisi, con la formazione dell’epoca (Pio, Destrieri, ecc.). Ero piccolo: fu una rivelazione che tuttavia “esplose” in seguito, nella maturità. Dopo c’è stato un certo periodo di lontananza: mancai ad alcuni suoi tour, per poi riprendere a seguirlo fino alla fine. Di concerti ne ricordo uno in particolare di piazza – gratuito – ad Anagni per i 700 anni dallo schiaffo di Anagni, il 7 settembre 2003. Fu memorabile… Poi c’è stato (vado in ordine sparso spulciando tra i biglietti conservati) l’Apriti Sesamo Live (Auditorium Conciliazione Roma 2013), a Ercolano nel 2011, all’Arena del mare a Salerno nel 2013, Franco Battiato e Alice nel 2016 a Roma (Auditorium Conciliazione), all’Ippodromo delle Capannelle Roma 2011, Fleurs Tour a Napoli nel 2002… Impossibile ricordarli tutti; molti furono anche concerti di piazza o di fine anno sempre in piazza (uno tra tutti un 31 dicembre a Salerno); sempre tra quelli di piazza ne ricordo uno ad Avellino (non ricordo l’anno) in cui, stando sotto il palco, ammirai un Battiato in piena forma che suonava la sua chitarra elettrica (come poi non avrebbe più fatto rientrando in una veste più classica e sobria: per capirci, il Battiato che cantava seduto tranquillo sul tappeto)… L’ultimo a cui ho assistito, prima di quelli in cui cadde rovinosamente, è stato a Napoli in piazza Plebiscito: era già un Battiato “distratto”, disinteressato a ricordare i testi, direi “etereo”, dalla voce insicura e debole, diretto ormai verso un suo mondo interiore da cui non sarebbe più riemerso.

Hai mai avuto la possibilità di interagire con Franco Battiato? Se sì racconta l’esperienza.

Non l’ho mai inseguito per un selfie, per costringerlo a un dialogo, per esprimergli pensieri profondi, come molti suoi estimatori più coraggiosi e sfacciati di me hanno fatto nel corso degli anni… L’ho avvicinato solo una volta per avere un suo autografo sul libro “Attraversando il bardo” abbinato all’omonimo documentario in dvd. L’occasione si presentò in Cilento (Campania) nel 2015 durante un pubblico dialogo tra lui e Ruggero Cappuccio; ti allego il link all’evento.

Cosa rappresenta per te Franco Battiato? Quali emozioni o pensieri evoca nella tua mente?

Pur essendo stata una presenza virtuale, distante, per i motivi che ho già illustrato nella risposta precedente (non ho mai amato “pedinare” i personaggi famosi, amo di più la casualità degli incontri), Battiato è stato per me una guida spirituale, un Maestro, un “padre”, un ricercatore puro, ma prim’ancora è stato un colto indicatore di percorsi geografici e interiori, un istigatore a ricerche “altre”… In alcuni periodi della mia vita è stato anche un ottimo “antidepressivo” perché mi ha offerto un punto di vista alternativo, sollevandomi da certi “sbalzi d’umore”…

Perché secondo te è importante parlare di Franco Battiato oggi?

Perché, senza preoccuparmi di esagerare, posso dire che Battiato farà parte della “musica classica” del futuro; non è importante parlarne perché scomparso e quindi per tenere accesa la luce sul suo operato: non ha bisogno di questo tipo di agevolazioni perché a volte mi capita di sorprendere giovanissimi ascoltarlo in piena autonomia. Quindi c’è speranza per il domani. Credo sia importante parlare di lui oggi affinché le tematiche culturali, spirituali, veicolate dalla sua musica, restino sempre tra le priorità di chi compie un certo tipo di ricerca su se stesso e sul mondo.

Battiato-Biografia

Nello scenario italiano chi era Battiato per te e per l’opinione pubblica? C’era già una consapevolezza, diffusa o individuale, che si stava assistendo ad una vera e propria avanguardia musicale?

I più attenti musicalmente hanno subito captato il cambio di passo e l’hanno continuato a seguire in quel senso. Lego i suoi primi brani pop a epoche fanciullesche della mia vita, quindi Battiato è entrato a far parte di un substrato culturale di stampo popolare e oggi mi è difficile scindere quell’esordio dal mio vissuto: la consapevolezza su “basi scientifiche”, almeno per me, è giunta forse dopo, leggendo libri su di lui, andando a spulciare sue indicazioni al di là dei motivi musicali ma “analizzando” direttamente i testi. Temo che per altri, invece, questa consapevolezza non sia mai arrivata: Battiato per alcuni resta inaccessibile e indecifrabile, quindi ci si limita a citarlo decontestualizzando alcuni stralci dei suoi testi solo per far vedere di conoscere qualche suo ritornello. Questa consapevolezza è stata ritardata appositamente dallo stesso Battiato, credo, proprio perché scelse di utilizzare un veicolo pop: solo chi si è soffermato sulla sua opera andando al di là dei ritornelli ballabili, è riuscito forse a cogliere l’intento avanguardistico di Battiato anche da un punto di vista filosofico e spirituale.

Adesso prova delle sensazioni diverse quando ascolta i dischi di Battiato rispetto alla prima volta?

No, devo dire che alcuni brani che avrò ascoltato forse migliaia di volte non mi stancano mai e conservano una “freschezza rinnovabile” che non ho saputo riscontrare in altri cantautori. Anzi, il riascolto serve a scoprire nuove angolazioni sonore che erano state trascurate. Se invece vogliamo riferirci al riascolto all’indomani della sua dipartita da questo pianeta, allora tiriamo in ballo sensazioni che non si limitano alla nostalgia e alla malinconia, ma si caricano di una responsabilità maggiore perché si è consapevoli di riascoltare un cantautore che non vedremo mai più dal vivo e che non uscirà mai più con un suo nuovo album di inediti (nonostante l’intelligenza artificiale ci aiuti a sfornare ancora oggi brani dei Beatles raschiati da fondi discografici!)

In riferimento al tema della politicizzazione: com’era considerato Battiato rispetto agli altri cantautori dell’epoca?

La politicizzazione della ricerca musicale di Battiato è stato sempre un fenomeno che mi ha divertito; Battiato è stato “strattonato” dalla destra e dalla sinistra, un po’ come è successo a Tolkien, conteso dai neofascisti dei campi Hobbit e dal panecologismo hippie… Battiato ha sempre volato al di sopra di ogni catalogazione politica e si è occupato di cose alte e altre, nonostante si dica sempre che “tutto è politico!”. Chiaramente alcune prese di posizione, durante certi periodi storico-politici del paese, lo hanno collocato automaticamente in una precisa fascia: basti pensare a brani come “Povera patria” e ad alcune accuse certamente non velate contenute nell’album “Inneres auge”. Se c’è stata politicizzazione, è stata indiretta; a differenza di altri cantautori  ̶  come De Gregori, Venditti, De André, Claudio Lolli, Guccini… ̶  schierati politicamente in maniera più evidente, Battiato ha cercato, prim’ancora di accodarsi a un’ideologia partitica interessata a proporre un sistema politico in grado di cambiare la società, di modificare il proprio mondo, quello individuale, interiore. Battiato non giudicava la politica in sé ma le variegate (e molto spesso discutibili) tipologie umane che vi si affacciavano per coltivare interessi privati. Durante la sua unica esperienza politica presso la Regione Sicilia, qualcuno scherzosamente lo definì “assessore alle meccaniche celesti”: epiteto che a lui piacque moltissimo e che trovò divertente. Non esitò un solo istante a lasciare l’incarico quando si accorse (come forse aveva già previsto) che stava diventando un “gioco” estraneo alle sue corde.

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Quando ti sei reso conto della potenza della musica di Franco Battiato?

Quando sono stato male e ho sentito che la sua musica mi ha risollevato indicandomi percorsi interiori alternativi…

Considerando la lunga carriera del cantautore, considerando la variegatura nei temi e nei modi, come si è evoluto il tuo rapporto con l’artista?

La parte iniziale e centrale della sua carriera è stata, ma non solo per me, sicuramente la più interessante; anche i suoi ultimi lavori sono stati degni di nota ma già rappresentavano un “testamento” (citando il titolo di un suo brano), una exit strategy non solo esistenziale ma anche artistica… Spesso ho criticato l’eccesso di antologie sfornate dai suoi produttori per battere cassa: ho apprezzato di più il Battiato di quando aveva il pieno controllo della sua produzione. Salvo questi particolari ininfluenti posso dire che il mio rapporto con Battiato è stato sempre di forte curiosità e di affetto: ogni uscita di inediti era una sfida, uno studio, un confronto con altri estimatori… L’uscita di un suo album non lo vivevo come un appuntamento discografico e basta: era la voce di un amico che mi raggiungeva con parole nuove, di una guida che mi proponeva nuove vie da percorrere, che mi dava nuovi impliciti consigli di vita…

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Brodo primordiale

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I vecchi odori congelati
– eredità del professore –
diventano brodo d’autunno,
nell’acqua calda di dado
borbottano aneddoti colati
attendono pastine serali
riso al dente o tortellini

anche le farine scadute
invidiose del sedano a mollo
si fanno largo senza lievito madre
negli antri infernali del nero forno,
aspirano a essere panini poco cresciuti
molliche di tempo e speranza
per ritrovare la dimora del senso.

Si inciampa in rimasugli
di vite passate, resti di noi
di cibi per l’anima dei ricordi
stanchi riverberi casalinghi
di presenze ormai eterne.

È un riciclo di cose umane
quotidiane, sparpagliate in giro,
sussurrano usi differenziati
riesumazioni d’ufficio
per sentirsi ancora utili
alla causa della resurrezione.

Tornano in voga

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Tornano in voga
i campi di cotone
gli schiavi a ore
nel far west del disincanto.

Quale distratta discendenza
si prenderà cura e fastidi, lontane
scadenze nel tempo che non vivremo
per queste ossa di casa e memorie
delle tue foto ormai tarlate da occhi
e dolori tramandati?

Non dovremmo più scrivere
per immagini e sprazzi vaganti,
solo il linguaggio, la sua voce
è la ricerca dell’umanità poetante.
Non dovremmo più sperare
nella parola che cura e consola
ma nell’eternità che dimentica.

(ph M.Nigro©2023)

L’età dell’ironia

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Naftaline evaporano sotto forma d’insetti al naso,
il sorriso di una ritrovata donna, la ricerca della felicità
un libro già masticato da troppi inverni editati
mandarlo al macero visivo di lettori distratti,

farine di grilli per saltare la vecchiaia
altro che polvere di stelle da favole illuse!
Abbiamo avuto mille occasioni per sparire
ma insiste il dito opponibile sotto la lampada di Ritsos
lasciare almeno un verso animale,
una pensione di sincere intenzioni, un poetico rutto
nella notte indigesta delle parole in guerra.

(ph M.Nigro©2023; titolo: “Santo per caso!”)

L’età del trapasso

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(lamentazione per gli assenti in noi)

Si perdono, strada facendo, brandelli d’ingenuità
esperienza dopo esperienza
ferita dopo ferita
cicatrice dopo cicatrice
morti dopo morti
ricordando i passi falsi di ieri
tra il malaugurio d’anni bisestili.
Nel frattempo, fatto di annunci e silenzi
non è stata esclusa una qualche crescita.

“Domani, 3 settembre 2021
avrò l’età che avevi nell’ora del trapasso:
50 anni, 3 mesi, 13 giorni!”
se i calcoli non sono errati
contando gli stessi attimi d’orologio
sovrapposti tumori di stomaco e spirito
ma con cammini diversi per dislivello e trama,

a partire da domani
ogni giorno sarà un giorno in più per te, attraverso me
rubato al tuo tempo non vissuto, come se fosse tuo
anche se solo mio, gabbare l’altrui destino è impresa ardua.
Sarà simile a un affacciarsi con occhi non tuoi
da finestre d’eredi su cieli dallo stesso cognome.

Tenterò altre sterzate verso la vita matura
forse generando solo figli di carta straccia
segnando sui lenti fogli del confino
lettere imponenti di privati balsami,

ma tu resta accanto a questo figlio incompleto
seguilo in questo tuo tempo in più
regalato ai suoi progetti fumosi,
alla celebrazione fedele dell’altare lucano
agli autunni di parole da scrivere
in tuo onore e per distratte genie a venire.

versione pdf: L’età del trapasso

 “Father To Son”, Phil Collins