“Raccontare il silenzio”. Francesca Innocenzi su “Pomeriggi perduti”

RACCONTARE IL SILENZIO. SU POMERIGGI PERDUTI DI MICHELE NIGRO

Del titolo di questa silloge di versi di Michele Nigro colpisce il rinvio diretto ad un evento di perdita, che evoca tanto l’idea di spreco, di dispendio, quanto una nostalgica mancanza. I due significati non si escludono affatto a vicenda, essendo metonimicamente correlati, potendo cioè legarsi in una relazione di causa-effetto; ciò contribuisce a costruire un orizzonte di attesa, spia di una poetica incline ad oltrepassare il mero dato realistico e le sue pretese di univocità. Sviscerando i nuclei tematici che emergono dalla lettura dei testi si coglie, non a caso, il binomio materialità/immaterialità: da un lato la conservazione, la collezione, l’accumulo, con un’attenzione al dettaglio numericamente quantificabile; dall’altro l’incessante fluire, la familiarità con il caos, la fuga dall’ordine dell’incasellamento. La conciliazione degli opposti si concreta in un’«estetica del caos», segnale che mappa il percorso e scardina i paraventi con i quali l’individuo si autoinganna.

Si insinua tra le pagine una continua riflessione sull’essenza della poesia e sul suo possibile ruolo nel mondo. La poesia si configura come dimensione altra, che sussiste in parallelo ad una quotidianità consumistica. Nell’antitesi tra quiete e follia, tra suoni assordanti e silenzio, è attitudine che consente il distanziamento dal frastuono. Nel ciclo inarrestabile del tempo, la parola tenta di fissare bagliori di Assoluto, condizione ignota, di là da venire, intrinsecamente connessa con la dimenticanza di ciò che si è stati. «… compagno di strada / mi è il verso forte e ignoto/ ai salotti laureati/ nato da quel vivere/ che per altri vita non è»: questi versi possono considerarsi una dichiarazione di poetica, nella coscienza di uno scrivere nutrito dalla vita vissuta, voce sincera e controcorrente.

Ancora, la poesia disvela il senso di persone e cose che ci hanno preceduti, canale che raccorda il passato ad un oggi di eredità incerte; come l’amore, è epifania e sostanza sulla frontiera dell’indicibile, antidoto contro l’effimero, rimedio all’immanenza. E – quasi una poetica del vago e dell’indefinito – sono le percezioni sensoriali a fare da ponte verso l’invisibile, nel superamento delle facciate ingannevoli, raccontando il silenzio («sete di silenzio parlato»). Così accompagnano il poeta opere letterarie, come la celebre Spoon River, in grado di gettare luce sul reale, di polverizzare le illusioni dell’uomo che si crede immortale. I versi di Spoon («il credersi invidiati/ o invidiabili, immemori/ dei vermi in attesa») mi portano alla mente i crudi ammonimenti di Leonida di Taranto, epigrammista greco del IV-III secolo a.C.: «… con una simile struttura d’ossa/ tenti di sollevarti fra le nubi nell’aria!/ Tu vedi, uomo, come tutto è vano:/ all’estremo del filo c’è un verme/ sulla trama non tessuta della spola».

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L’insostenibile pesantezza dell’essere (multitasking)

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L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA DELL’ESSERE (MULTITASKING)

Elogio delle urgenze

(Riflessioni messe in ordine durante una camminata veloce)

1) La vita è inevitabilmente “multitasking”; in questa nostra particolare era storica, poi, lo è ancora di più a causa di un progresso del cosiddetto “problem solving” – niente a che vedere con l’approccio epistemologico di Popper nella sua opera finale intitolata “Tutta la vita è risolvere problemi” – che porta l’utente nel giro di poche ore a “risolvere e re-impegnarsi” senza sosta (re-engagement), come il topolino che gira nella sua ruota, ovvero a mettere da parte un problema risolto per passare a quello successivo ancora da risolvere e se non c’è un problema a inventarsene uno nuovo dal nulla perché il multitasking aborrisce il vuoto, il non fare, l’ozio creativo. Deve tenersi occupato, in eterno allenamento per dare senso (o meglio, un “certo tipo” di senso) ai giorni dell’uomo del terzo millennio. Ma il fare non sempre è sinonimo di creare, anzi: il fare compulsivo distrae dalla vera creazione solida, permanente, meditata. L’elenco degli impegni da depennare contro la settimana di Dio descritta nella Genesi. Chi vincerà stavolta?

Il problema principale con il multitasking – proprio in virtù della sua caratteristica di “contemporaneità” delle azioni – è che sono state abolite le priorità tra livelli (anche nel medioevo l’uomo era multitasking nonostante una certa specializzazione corporativistica; bisognava essere in grado di spostarsi su livelli differenti di azione e questa capacità era soprattutto dettata dal ceto sociale a cui si apparteneva e quindi dalle disponibilità economiche): oggi che l’intera umanità è in gara per una vittoria sicura – perché così gli hanno promesso e l’umanità c’ha creduto! – tutti i livelli del multitasking sono al primo posto e quindi tutti sono diventati importanti anche se molti tra questi non lo sono affatto; una voce dentro di noi sa che non tutti i livelli hanno la stessa importanza e ce lo urla, ma noi ci giriamo dall’altra parte, diamo retta solo al programma che “processa” tutto contemporaneamente, e superiamo il suono di quella voce con altri rumori creati all’uopo per non farle acquisire udibilità. Tutto deve essere risolto, il fare viene prima dell’essere, del pensare, eventualmente del rimandare a un secondo momento. Durante un funerale, mentre passa il feretro, ci scopriamo a parlare di questioni condominiali con i vicini: la morte viene misurata in millesimi e le faccende terrene non ammutoliscono nemmeno dinanzi al sacro mistero della vita che finisce, e che esigerebbe silenzio e inattività riflessiva.

2) Non tutti i livelli di questa esistenza multitasking sono piacevoli: alcuni devono essere affrontati “obtorto collo” e le questioni fastidiose, le vicende tristi, gli impegni presi, vanno risolti con una razionalità quasi automatica, d’ufficio, che a lungo andare ci rende “robotici”, veloci, efficienti, produttivi. Anche la malattia ha un suo iter diagnostico supercollaudato ed efficientissimo: i vari passaggi fanno parte di un’esperienza scientifica acquisita che è diventata routinaria, scontata, istituzionale. Il progresso medico che alcuni decenni fa stupiva i primi fortunati, oggi è vissuto in una quotidianità che non sorprende più. Anche se la strada da fare per sconfiggere molte altre malattie, e per renderle affrontabili da tutti indipendentemente dal ceto sociale o dal reddito, è ancora lunga. Ma l’approccio alla possibilità di una guarigione è diventato accessibile, sistemico.

3) Per non morire dentro e salvaguardare la parte di noi non pubblica, non indaffarata, quella più intima, vera, autentica, immobile, dopo aver affrontato i vari livelli che il quotidiano ci costringe ad affrontare, c’è bisogno di sostare per un po’ presso un “livello superiore”, imparziale, non operativo ma contemplativo, che domini sugli altri, inferiori a loro insaputa, di una visione dall’alto che ognuno di noi realizza in base al tipo di ricerca impostata, alla cultura di appartenenza, al grado di sensibilità, oserei dire “di fede”… Un livello superiore strettamente spirituale o laico-filosofico, che dia un senso al nostro multitasking di cui non possiamo fare a meno, e soprattutto ristabilisca le priorità al margine del caos. Priorità che andrebbero di fatto a “smontare” e quindi ad annullare la caratteristica funzionale del multitasking.

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Memento mori

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Il risveglio da se stessi dura poco,
una morte improvvisa sfiora il giorno
un falso dolore al petto insenziente
nascosto dietro strani enzimi serali
e si torna felici, vivi, ignoranti
verso casa, una volta ancora
 
la luna immensa nel cielo pulito
non sa niente di guerre a venire
brilla incurante sul nosocomio che ci libera,
ma fasulla è la promessa del viversi meglio
quella voglia di fuga nell’aria buia,
 
ridarsi al mondo più di ieri,
condannare rabbiosi
il sonno precedente il lampo d’inverno.
Un attimo prima di morire
si mordono i gomiti, lì la pelle è troppo morbida
per il non aver fatto, per la fortuna non braccata
come volpe d’argento e d’America
il mancato coraggio sul più bello
l’avventura senza fede,
 
non si riavvolge
l’indole inseguita sui cammini errati.
 
È un respiro nuovo di speranza
questo tornare alla strada,
il messaggio dell’amico lontano
non prevede il suo prossimo aldilà.
 
Avverte sete di esistenza
nella notte dell’alba
il graziato ramingo delle vene,
dura poco il risveglio
 
ché già reclama Morfeo
le ore negate all’inerzia.
versione pdf: Memento mori

Armistizio

“Tacciono!
le armi di logiche guerre
e le questioni di principio,
nuovi stati di felicità
ostili alla morte dell’anima…”

(Tratta da “Nessuno nasce pulito”, ed. nugae 2.0 – 2016)

N I G R I C A N T E

Title: HOMME ET UNE FEMME, UN / A MAN AND A WOMAN ¥ Pers: AIMEE, ANOUK / TRINTIGNANT, JEAN-LOUIS ¥ Year: 1966 ¥ Dir: LELOUCH, CLAUDE ¥ Ref: HOM020AO ¥ Credit: [ FILMS 13 / THE KOBAL COLLECTION ]

Tacciono!

le armi di logiche guerre

e le questioni di principio,

nuovi stati di felicità

ostili alla morte dell’anima

in chi guarda lontano

verso la patria dei sensi.

Ti sorprendi ad esistere

prevale la bellezza sull’odio

esulta lo spirito!

L’erotismo dei freddi obici

concentra un altro fuoco sulla pelle

amata,

avido di passione e di essenza

proponi un cessate il dovere,

difendi le cose che contano

e la pace del letto

dai guerrafondai della morale.

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“Rock di sera…” in spagnolo

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Sprazzi tratti dal componimento “Rock di sera… buon tempo si spera!” (pubblicato nella raccolta “Nessuno nasce pulito”), e utilizzati come flashforwards intercalati nel testo del racconto lungo “Call Center, reloaded”, sono stati gentilmente tradotti in spagnolo dalla speaker radiofonica barcellonese Maria-Rosa Monferrer… che ringrazio di cuore!

Se pone el sol triste
de comienzo de Septiembre
en los grises aparcamientos periféricos
vacíos de humanidad errante,
entre relucientes vidrios de botella
y calmos retazos de juventud.
Al fondo, paisaje de autopistas
para eléctricas notas de prueba.
Las grúas en el cielo róseo-azul
como púas dolorosas
sobre almas solitarias
esperan el rock nocturno.

Tramonta il sole triste
d’inizio settembre
sui grigi parcheggi periferici
vuoti d’umanità vagante
tra lucenti vetri di bottiglia
e calme schegge di gioventù.
Sottofondo autostradale
per elettriche note di prova.
Le gru nel cielo rossazzurro
come plettri dolorosi
su anime solitarie
attendono il rock notturno.

Dejo a mis espaldas
engaños y medias verdades
mientras piso
el acelerador melancólico
de sangre y basura.
Rincón sórdido de negra alegría
y vacías pancartas blancas
a la espera de colores y ojos.
Cuando incluso la última
flecha doliente de sol
desaparezca tras nuevas tierras,
le prenderemos fuego al escenario.
¡Ponte sol, ponte!

Mi lascio alle spalle
inganni e mezze verità
mentre spingo
sull’acceleratore malinconico
di sangue e spazzatura.
Angolo squallido di gioia nera
e vuoti cartelloni bianchi
in attesa di colori e occhi.
Quando anche l’ultima
freccia dolente di sole
scomparirà dietro nuove terre,
daremo fuoco al palcoscenico.
Tramonta sole, tramonta!

Espontáneos aglomerados humanos
en busca de energía sonora
me recuerdan soledades
o viajes para un solo pasajero.
Imaginamos ser el centro
pero siempre estamos en la periferia
de nosotros mismos
y de nuestros sueños.

Spontanei agglomerati umani
in cerca di energia sonora
mi ricordano solitudini
e viaggi per un solo passeggero.
Ci illudiamo di essere centro
ma siamo sempre alla periferia
di noi stessi
e dei nostri sogni.

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